In autoesilio, condannato, comunque vincente: come Shinawatra ha influenzato la politica in Thailandia

Accolto da centinaia di sostenitori all’aeroporto Don Meuang di Bangkok, l’ex primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra è rientrato in patria dopo 15 anni in autoesilio, spesi soprattutto tra Londra e Dubai. Subito prelevato dalle autorità per essere portato in carcere e poi di fronte alla Corte suprema, è stato poi condannato a otto anni di reclusione: una pena accorciata di due anni rispetto ai 10 che gli erano stati inflitti in contumacia mentre si trovava all’estero. Non è detto però che il politico più influente di Thailandia finisca davvero dietro le sbarre o che, perlomeno, ci rimanga a lungo. Secondo molti osservatori politici l’accordo post-elettorale stretto tra il suo partito Pheu Thai e il governo uscente (erede della giunta militare salita al potere con un golpe nel 2014), che ha portato alla nomina del fedelissimo Srettha Thavisin come primo ministro, prevedere anche una qualche forma di grazia o amnistia.

Thaksin Shinawatra è tornato in Thailandia dopo 15 anni di autoesilio proprio nel giorno in cui un suo fedelissimo viene eletto premier.
Thaksin Shinawatra (Getty Images).

Shinawatra, il re delle telecomunicazioni diventato primo ministro

Imprenditore capace di creare un impero finanziario nel settore delle telecomunicazioni, il 74enne Shinawatra è entrato in politica nel 1994, quando accettò l’offerta di diventare ministro degli Esteri nel governo di Chuan Leekpai. Quattro anni dopo aveva poi fondato il Thai Rak Thai, partito populista capace di guadagnarsi rapidamente un seguito di sostenitori nel nord del Paese. Leader indiscusso del partito, nel 2001 era stato poi eletto primo ministro del Regno di Thailandia. Confermato nel 2005 ma nel frattempo coinvolto in vari scandali finanziari, a settembre del 2006 fu deposto da un colpo di Stato senza spargimento di sangue mentre era a una riunione dell’Onu a New York. Accusato di corruzione e abuso di potere, così come di scarso rispetto nei confronti della monarchia, da allora ha quasi ininterrottamente vissuto in esilio. Nel 2008, tra l’altro, la società Uk Sport Investments, controllata proprio dall’ex premier thailandese, fu costretta a vendere il Manchester City (comprato l’anno prima) all’Abu Dhabi United Group for Development and Investment a causa della problematica situazione legale della famiglia Shinawatra.

Thaksin Shinawatra è tornato in Thailandia dopo 15 anni di autoesilio proprio nel giorno in cui un suo fedelissimo viene eletto premier.
L’arrivo di Thaksin Shinawatra a Bangkok (Getty Images).

Anche la sorella Yingluck è stata deposta da un colpo di Stato

Primo ministro tra il 2001 e il 2006, Shinawatra ha continuato a esercitare un’enorme influenza politica anche dall’estero controllando con i suoi alleati il Partito del potere popolare, ossia il maggior partito di governo tra il 2007 e il 2008, poi disciolto dalla Corte costituzionale al pari del Thai Rak Thai. Successivamente ha dato vita al Pheu Thai, tramite il quale nel 2011 è stata eletta prima ministra la sorella Yingluck Shinawatra, anch’essa in seguito deposta da un golpe militare nel 2014: incriminata per inadempienza al dovere, come il fratello maggiore si è rifugiata all’estero prima della sentenza che l’ha condannata in contumacia a cinque anni di detenzione.

Thaksin Shinawatra è tornato in Thailandia dopo 15 anni di autoesilio proprio nel giorno in cui un suo fedelissimo viene eletto premier.
Pita Limjaroenrat (Getty Images).

L’accordo a sorpresa tra il governo uscente e il Pheu Thai 

Le elezioni parlamentari del 2019, le prime dopo il colpo di Stato del 2014 che consegnò il potere al comandante in capo dell’esercito Prayut Chan-o-cha, videro la vittoria del Pheu Thai. Ma i militari impedirono la formazione di un governo civile. Salto in avanti di quattro anni ed eccoci a maggio 2023 per una nuova tornata elettorale che ha registrato l’affluenza record del 75,22 per cento e l’affermazione, come principale partito del Paese (38 per cento delle preferenze), del riformista Kao Klai guidato dal giovane e popolare imprenditore Pita Limjaroenrat, pronto a formare un’alleanza con il Pheu Thai (giunto secondo) per mandare via gli ex golpisti dal governo. Ma le peculiarità del sistema politico thailandese – il Senato viene di fatto eletto dai militari – ha impedito a Pita di ottenere la maggioranza parlamentare. E così, benché l’esercito abbia contrastato a lungo la famiglia Shinawatra, il 21 agosto il Pheu Thai ha annunciato una coalizione di 11 partiti che comprende movimenti chiave del governo uscente, erede della giunta militare che aveva preso il potere nel 2014, come il Palang Pracharat, che ruota attorno all’ex generale Prawit Wongsuwan, e lo United Thai Nation Party, creato ad hoc dal premier uscente (anche lui un ex generale) Chan-o-cha.

Thaksin Shinawatra è tornato in Thailandia dopo 15 anni di autoesilio proprio nel giorno in cui un suo fedelissimo viene eletto premier.
Srettha Thavisin (Getty Images).

Meglio Shinawatra che i riformisti: la scelta dei militari 

I militari, insomma, hanno accettato il male minore. Meglio stringere accordi con la nemesi Shinawatra piuttosto che vedere al potere il Kao Klai, che aveva nel programma elettorale la riforma delle forze armate e l’abolizione del reato di lesa maestà nei confronti della monarchia. Da qui il ritorno dall’esilio dell’imprenditore ed ex premier, proprio nel giorno in cui il parlamento di Bangkok ha eletto il nuovo premier alla prima votazione: Thavisin, magnate immobiliare candidato dal Pheu Thai e fedelissimo di Shinawatra, che per 15 anni ha di fatto guidato il partito dall’estero. E adesso? Secondo gli osservatori politici, l’accordo siglato con il governo uscente, erede della giunta militare che nel 2014 aveva preso il potere con un golpe, prevede la grazia o l’amnistia per Shinawatra. Che, altrimenti, non avrebbe avuto davvero alcun motivo per rientrare in patria.

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