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Il Molise ringalluzzisce Renzi, ma il centro resta ancora un enigma
Matteo Renzi stavolta ha puntato sul cavallo giusto e ora la vittoria del candidato azzurro in Molise, Francesco Roberti, appoggiato anche dal Terzo polo, è un’ulteriore carta da giocare sul tavolo del governo, qualora le fibrillazioni in seno alla maggioranza costringessero la premier Giorgia Meloni a chiedere qualche soccorso esterno.
Centro sì, ma quale?
Ma se il senatore di Rignano può ostentare un successo rispetto al fallimentare risultato del ricomposto campo largo, che ha appoggiato la corsa a governatore del sindaco M5s di Campobasso Roberto Gravina, ha maggiori difficoltà nel costruire una narrazione su quanto sia determinante il suo centro. Guardando al Molise, infatti, viene subito da chiedersi, appunto: quale centro? Tanto per cominciare il neo governatore proviene dalle fila di Forza Italia che, soprattutto in funzione anti-Renzi, si è sempre dichiarata l’unica vera forza moderata. Senza contare il variegato voto centrista che ha premiato Roberti raggranellando in tre distinte liste quasi il 18 per cento di consensi. Dettagli, però, visti dal quartier generale renziano che comunque manda segnali a Palazzo Chigi. Le parole dell’ex coordinatore nazionale di Iv Ettore Rosato al Messaggero ne sono la prova: «Dire di essere al centro e pensare che le alleanze vadano fatte solo col centrosinistra è una contraddizione in termini», ha sottolineato. E poi ancora: «Fare il centro significa decidere non in base all’opportunismo delle situazioni, ma scegliere le proposte migliori per ogni specifico territorio».
Renzi, bastone e carota con Palazzo Chigi
Insomma, la consacrazione della più classica politica del pendolo o, se si preferisce, dei due forni. Peccato, però, che non sia facile da attuare, se non con una davvero disinvolta postura sui diversi dossier. E così, rispetto all’esecutivo, mentre sul caso Santanché Renzi si sfila, parlando a Metropolis di una «vicenda che non è politica», di contro c’è da registrare una linea dura di tutto il Terzo polo sul Mes e più dialogante sulle riforme istituzionali e della giustizia. Oscillazioni che non forniscono grosse rassicurazioni a Palazzo Chigi. Per quanto, alla fine della fiera – e questo potrebbe essere il vero punto di forza renziano –, in caso di bisogno difficilmente la maggioranza rifiuterebbe l’apporto di una terza gamba. Con buona pace di Meloni che, sempre se costretta, preferirebbe nel caso tornare alle urne, dovendo però fare i conti con gli eletti (di maggioranza e di minoranza), sempre contrari a rinunciare alla poltrona.
Il Terzo polo e l’incognita Europee
Ma i punti di forza dell’ex premier finiscono qui. Le Europee, infatti, sono una prova complessa per i renziani. Intanto deve reggere l’intesa con Azione. Tuttavia, per superare la soglia di sbarramento del 4 per cento occorre raggiungere un accordo anche con altre forze, a cominciare da +Europa. Ed ecco che per prima cosa ci sarebbe da chiedersi: come si giustifica il dialogo di Iv col governo mentre il partito guidato dal deputato Riccardo Magi si scontra con la premier Meloni, come è successo ieri in occasione della giornata mondiale contro le droghe? Senza contare inoltre che, in vista dell’appuntamento col rinnovo del Parlamento Ue, ci sarebbe da stabilire un dialogo, per esempio, pure con Cateno De Luca. E qui, non per ridimensionare le ambizioni renziane, le premesse non sono le migliori visto che il sindaco di Taormina e leader di Sud chiama Nord ha tutta l’intenzione di non farsi divorare in primis proprio da Renzi e ha già messo in chiaro la sua disponibilità solo a un «matrimonio d’interessi»: «Ci interessa individuare», ha ribadito l’11 giugno scorso in un’intervista a QN, «con chi saremo in condizione di valorizzare il nostro brand». Non senza dettare le sue condizioni: essere capolista nelle due circoscrizioni del Sud e delle Isole. Il Molise, dunque, potrebbe sì rivelarsi una sorta di laboratorio per il centro, ma anche rimanere un caso isolato. Come lascia presagire uno dei prossimi dossier nell’agenda politica e cioè il salario minimo. Su questo, d’altronde, Carlo Calenda ha fatto una scelta di campo: intraprendere un dialogo con il centrosinistra. Da qualunque prospettiva lo si guardi, il centro si prefigura il solito fritto misto. Sarà pur vero, come sostiene Rosato, che non possono esserci abbracci a prescindere, a destra come a sinistra. Ma è altrettanto vero che un mix di ingredienti troppo eterogenei non ha mai portato bene.