Il calcio e la sindrome saudita: perché l’assalto dei petrodollari ci sta facendo ammattire

La scalata saudita nel calcio si fa inarrestabile e le reazioni da parte europea sono sempre più isteriche. Manifestano una paura scomposta, perché emotivamente sregolata ma anche colma di incoerenze. Quei petrodollari intimoriscono, ma al tempo stesso sono ambiti. La solita doppia morale, poiché li si valuta a seconda che schiaccino nell’angolo di una concorrenza non sostenibile o che diano ossigeno a finanze asfittiche. Ma al di là dell’incoerenza, cosa davvero fa paura di questa massiccia dimostrazione di forza finanziaria saudita?

Il calcio e la sindrome saudita: perche? l'assalto dei petrodollari ci sta facendo perdere il lume
Cristiano Ronaldo gioca nell’Al-Nasrr (Getty).

In gioco ci sono potere politico ed egemonia culturale

Risposta semplice: si ha paura di perdere centralità. Che significa veder dissolvere non soltanto potere economico e politico, ma anche egemonia culturale, facoltà di dettare l’agenda delle priorità, governare i processi di mutamento. Detto in termini semplificati: è la paura di essere provincializzati. Una prospettiva difficile da accettare, ma che si espande nel mondo del calcio (e dello sport in generale) in piena coerenza con quanto sta accadendo nel vasto scacchiere globale della politica e dell’economia, col possibile allargamento dei Brics di cui proprio i sauditi dovrebbero essere parte. Una paura umanamente giustificabile, ma che comunque non servirà a cambiare la direzione delle cose. Né lo farà l’atteggiamento spocchioso da nobili in decadenza che guardano con terrore alle nuove élite. Tanto più se quelle nuove élite stanno usando il medesimo mezzo dei nobili in decadenza per acquisire posizione di supremazia: la forza del capitale.

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Il principe saudita Mohammad bin Salman (Getty).

L’inarrestabile scalata: golf, cricket, Formula 1, tennis…

Partiamo da un assunto: i sauditi si stanno prendendo non soltanto il calcio, ma lo sport intero. Si annettono il golf con la Liv Golf, si apprestano a fare altrettanto col cricket, hanno messo le mani sul vasto fenomeno degli e-sport, vogliono il secondo Gran Premio annuale di Formula 1 (dopo l’appuntamento fisso a Gedda) da far disputare nella città futuristica di Neom, nella stessa Neom ospiteranno i Giochi invernali asiatici del 2029, hanno appena soffiato la Next Gen di tennis a Milano. Avrebbero voluto anche il Mondiale di calcio 2030, ma infine hanno deciso di desistere per puntare all’edizione di quattro anni dopo.

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Sergej Milinkovic-Savic dell’Al-Hilal (Getty).

L’economia dell’intrattenimento sarà cruciale come le rinnovabili

Dunque si tratta di un’espansione a tutto campo, che vede lo sport come un pezzo strategico nel campo dell’economia dell’intrattenimento. Che è anche una delle economie cruciali del XXI secolo, unitamente a quella delle energie rinnovabili. Il piano strategico di sviluppo nazionale, Vision 2030, consegna allo sport grossa parte delle ambizioni di fare dell’Arabia Saudita una potenza globale non soltanto sul piano economico, ma anche sul piano culturale e degli stili di vita.

Il calcio, una macchina da debito schiacciata dal suo gigantismo

In un contesto strategico del genere, il calcio non poteva che essere il bersaglio grosso. Grosso e fragile. Perché il movimento calcistico globale è una macchina produttrice di debito, a rischio di rimanere schiacciata dal suo stesso gigantismo. E dunque se arriva un attore capace di iniettare denaro nel movimento, per di più in quantità esagerate, viene ben accolto. Ma che succede se chi inietta il denaro nel movimento vuol comprarsi il movimento stesso, escludendo chi fin qui lo ha controllato? La risposta sarebbe semplicissima: se succede è perché è inevitabile che succeda. Si tratta di una fra le tante applicazioni della spietata e darwinista logica del mercato. Chi ha inventato questa logica? Pietoso silenzio.

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Karim Benzema dell’Al-Ittih?d (Getty).

A colmare lo scarto di appeal ci pensa il più convincente degli argomenti

I sauditi comprano adesso come compravano negli anni passati. Con una differenza, tuttavia. Che negli anni passati compravano calciatori a fine carriera, ciò che faceva del loro campionato un cimitero degli elefanti. Invece adesso vogliono il meglio. Calciatori nel pieno dell’attività, pronti a trasferirsi in un campionato non ancora di prima fascia, convinti dal richiamo irresistibile del denaro. Ancora una volta, si tratta dell’applicazione di una logica elementare: il soggetto più ricco si prende il meglio disponibile sul mercato, e se c’è da colmare uno scarto di appeal (campionato nazionale non seducente) lo si colma col più convincente degli argomenti. Storicamente le società calcistiche europee hanno fatto incetta di talento estero applicando questo schema. E così hanno costruito un vantaggio competitivo (l’Europa come terra calcistica di approdo) che però adesso non è più sufficiente.

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Firmino e, dietro di lui, Mendy, Demiral e Ibanez, tutti dell’Al-Ahli (Getty).

Gabri Veiga testimonia il definitivo mutamento di mentalità

Né basta rivendicare la superiore qualità delle principali leghe europee rispetto al campionato saudita, per provare a arginare la tendenza. Perché se un giovane come lo spagnolo Gabri Veiga, con tutta una carriera davanti a sé, preferisce la Saudi Professional League (Spl) alla Serie A (il Napoli, nella fattispecie), significa che non è più nemmeno una questione di superiore offerta economica. Piuttosto, si è avuto un lento ma costante mutamento della mentalità che investe i calciatori in primis. E i calciatori di quest’ultima generazione hanno un’idea completamente diversa dello sviluppo di carriera. Un’idea post-agonistica, che privilegia la realizzazione economica a quella sportiva. E chissà che un giorno non si scopra un rovesciamento del ciclo: coi calciatori migliori che vengono a chiudere la carriera in Europa dopo aver gonfiato il conto in banca a Riad e dintorni.

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Gabri Veiga del Celta Vigo: ha preferito l’Al Ahli al Napoli (Getty).

L’argomento (fuori luogo) della Superlega: era un livello sovranazionale

In queste settimane di confusione da rischio provincializzazione è capitato di sentire tirare in ballo argomenti sommamente forzosi. Spicca la recriminazione sulla mancata realizzazione della Superlega per club, vista come una soluzione meno peggio della scalata saudita. A questo argomento rispondiamo con un interrogativo: ma che ci azzecca? La Superlega doveva essere un’organizzazione sovranazionale (con relativa competizione) che avrebbe impattato sull’Uefa e indebolito i campionati nazionali. Qui invece siamo in presenza di una lega nazionale che si sta espandendo, fino a minacciare le principali leghe europee. La Saudi Pro League non sarà mai una Superlega, magari non arriverà mai a essere nemmeno una lega del massimo livello sul piano internazionale. Riproduce piuttosto uno schema da Nba, con la centralizzazione della governance dei club e delle decisioni, ma rimane una lega nazionale. Qualcuno si sente di strepitare contro la Nba? Aggiungiamo: se la Superlega fosse partita, i sauditi si sarebbero comprati pure quella. Amen.

Il no per Salah e i timori della Premier League: perdere il primato

Già che è stata menzionata la Nba, giusto deviare sulla Premier League inglese. Che è la Nba del calcio e perciò si ritiene seriamente minacciata dalla Saudi Pro League. Il rifiuto del Liverpool di cedere Mohammed Salah all’Al-Ittihad è stato accompagnato dalla precisazione che il calciatore non verrà ceduto ai sauditi indipendentemente dall’offerta. Domanda: non verrà ceduto perché ritenuto indispensabile, o perché non lo si vuol cedere ai sauditi? L’interrogativo apre scenari che riguardano proprio la Premier. Per il momento la massima lega inglese non vede minacciato dagli arabi il primato calcistico globale, ma a lungo andare la corsa finanziaria al rialzo potrebbe rivelarsi sanguinosa. In questo momento sono proprio gli inglesi a temere più di tutti la forza dei sauditi, anche perché sanno che toccherebbe a loro sfidarli. Ma come farebbero? I sauditi li hanno in casa, come proprietari del Newcastle United. Saranno anni molto difficili per la Premier.

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Momo Salah è stato dichiarato incedibile dal Liverpool (Getty).

Esiste una soluzione? Forse solo accettare le regole e abituarsi

Ma allora come si può rimediare? Francamente non vediamo quali possano essere i rimedi. Ribadiamo: se la logica è quella del mercato, promossa nel calcio proprio dagli europei, bisogna accettarla. E aspettare di vedere quanto durerà l’ondata saudita. Abbiamo visto tramontare l’epoca degli oligarchi russi, e poi esplodere la bolla cinese dopo soli due anni dal suo avvio. Quanto vorranno e potranno ancora spendere i sauditi per assicurarsi il controllo del giocattolo? Questo è il vero interrogativo. Tutto il resto è paura di provincializzazione. Passerà con l’abitudine.

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