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I3A di Torino: che fine ha fatto il progetto dell’istituto italiano per l’Intelligenza artificiale
Un fantasma si aggira per il Piemonte: quello dell’Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale (I3A), pensato nel 2020 dal governo Conte II e gradualmente sparito dai radar dell’agenda politica. Quando nel settembre 2020 il governo giallorosso iniziò a concepire un centro italiano per l’innovazione e la raccolta di idee riguardanti il futuro dell’Ia in Italia, trovò sotto la Mole un ambiente decisamente fertile e particolarmente attivo per la visione anticipatrice sul tema del tessuto imprenditoriale, del mondo accademico (Politecnico in testa) e di un protagonista inatteso: la Chiesa locale. L’idea di candidare la città era stata lanciata a inizio luglio dello stesso anno dalla Chiesa torinese, attraverso don Luca Peyron, direttore della Pastorale Universitaria e del Servizio per l’Apostolato Digitale dell’Arcidiocesi. Ottanta milioni di euro di finanziamenti per un ente sotto il controllo del ministero dell’Economia, dell’Università e dello Sviluppo economico. Era questa l’ipotesi iniziale dei giallorossi. Ma tutto è rimasto lettera morta.

L’arrivo di Draghi e l’esclusione del centro dai progetti finanziati dal Pnrr
L’idea di un grande centro di ricerca torinese per l’Ia è stata poi ampiamente trasfigurata da una serie di questioni politiche e strategiche: all’idea di costituire l’I3A attraverso un’apposita fondazione finanziata da fondi pubblici si è sovrapposta dapprima la svolta istituzionale a Roma, che ha portato all’avvicendamento tra Giuseppe Conte e Mario Draghi, e in seguito la riscrittura del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che ha sostanzialmente escluso il centro per l’Ia a Torino dai progetti finanziati. Da allora è iniziata una serie di giochi di specchi che hanno avuto per protagonisti, in diversi ruoli, numerosi esponenti di punta del mondo politico.

L’ok al Centro italiano di ricerca per l’automotive e l’aerospazio
Nell’aprile 2021 l’attuale ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, il piemontese Gilberto Pichetto Fratin, allora senatore di Forza Italia e viceministro dello Sviluppo Economico nel governo Draghi, rassicurò l’allora sindaca pentastellata Chiara Appendino sul fatto che l’esclusione dell’I3A dal Pnrr sarebbe stata solo una formalità: «La sede dell’Istituto di intelligenza artificiale sarà a Torino», assicurò aggiungendo: «I decreti attuativi del Recovery Fund lo specificheranno, formalizzando l’intesa non scritta dei mesi scorsi». Partì così un tira e molla. L’I3A fu assegnato a Torino da Conte e dal ministro dell’Innovazione Paola Pisano (ex assessore del capoluogo piemontese) mentre il governo Draghi mise in campo l’idea, confermata dal ministro dell’Università Maria Cristina Messa, che la città avrebbe dovuto partecipare come tutte le altre ai bandi di gara per l’assegnazione del centro con i fondi Pnrr. Di I3A, nota Lo Spiffero, con Draghi però non si parlò più. Messa faceva riferimento «ai partenariati attivati sui fondi Pnrr che saranno assegnati a 10 consorzi in Italia che si formano e competono per avere quelle risorse», mentre a luglio 2021 l’esecutivo di unità nazionale varò la legge che istituiva nel capoluogo piemontese «il Centro italiano di ricerca per l’automotive e l’aerospazio, con uno stanziamento di 20 milioni all’anno, circa un quarto rispetto agli 80 milioni previsti in un primo tempo per il cosiddetto I3A». Il Centro che a Torino prendeva vita sostituiva l’I3A? Non per gli amministratori di ieri e di oggi della città. Stefano Lo Russo, sindaco dem dall’ottobre 2021, a maggio 2022 ricordava che tecnicamente l’I3A «non esiste», definendo però il Centro su automotive e aerospazio, focalizzato sull’uso dell’Ia nei settori industriali critici per il territorio, un «buon punto di partenza». Tutto chiaro? Assolutamente no, e non c’è nulla di ordinario in questa vicenda in cui dichiarazioni informali, stanziamenti di fondi e programmi si mischiano in un mostro burocratico che fa perdere tempo al Paese mentre fuori dall’Italia si disegnano le linee guida della rivoluzione tecnologica dei prossimi decenni.

Il governo Meloni, il pressing di Appendino e il nulla di fatto
L’ultimo capitolo della telenovela va in scena col governo Meloni. L’I3A appare ormai tramontato, ma resta una legge istitutiva del Centro di ricerca italiano su automotive e aerospazio. Lo Russo e il presidente di centrodestra della Regione Piemonte, Alberto Cirio, hanno fatto fronte comune per dare attuazione almeno a ciò che resta del piano originale di trasformare Torino nel polo nazionale dell’Ia. Daniele Franco, nella fase finale dell’era Draghi, aveva nominato presidente della Fondazione destinata a rendere il centro di ricerca operativo un grand commis di sua fiducia, Filippo Giansante. Fatto il centro, basterebbe finanziarlo. Cosa non impossibile, si penserà, per il governo più “piemontese” (cinque ministri) degli ultimi decenni. E invece… La manovra 2022 non ha stanziato nemmeno un euro per un centro operativo a Torino. Appendino, questa volta nella veste di battagliera deputata dell’opposizione a novembre 2022, mentre si avvicinava la discussione sulla Legge di Bilancio, presentò un’interrogazione alla sottosegretaria al Made in Italy Fausta Bergamotto (Fdi). La cinque stelle strappò all’esponente meloniana una deadline generica per la costituzione dello statuto del Centro deliberato nel 2021. «Poche settimane», rispose Bergamotto. A marzo, notava Il Post, nulla era stato pubblicato. E ancora oggi non si trova notizia di statuti dell’ente.

A causa della burocrazia la competitività italiana rischia di rimanere al palo
Nel frattempo, un emendamento di Appendino per destinare al centro torinese 5 milioni di euro di fondi pubblici, un quarto dello stanziamento legalmente previsto, è stato dichiarato inammissibile. E ora, mentre la discussione per la manovra di autunno si avvicina, che succederà? Contattate da Lettera43, Appendino e Bergamotto non hanno risposto a richieste di commento. E mentre Giorgia Meloni stringe mani illustri, come quella di Elon Musk, parlando di presenza italiana nella tecnologia di frontiera, restano aperte sfide concrete e reali. Insieme con il rischio che un fondo pubblico di entità relativamente contenuta per avviare un progetto italiano di ricerca sull’Ia complementare a quella di atenei e imprese si perda nelle gore morte della burocrazia e dei palleggi politici. La storia dell’I3A e del suo successore a oggi solo teorico è la classica storia all’italiana di progetti che invecchiano prima di prendere corpo, di opportunità mancate e di incomprensioni destinate a danneggiare la competitività del Paese.