Google affronta una nuova indagine antitrust in Giappone

Dopo l’indagine avviata dal dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti a settembre del 2023, Google dovrà affrontare un nuovo processo antitrust anche in Giappone. Le accuse sono le stesse: presunte violazioni e pressioni su produttori locali per escludere le app concorrenti. Sono i primi procedimenti antitrust avviati contro una grande azienda tecnologica da quello contro Microsoft del 1998.

Google eserciterebbe pressioni scorrette sui produttori di smartphone

L’antitrust giapponese ha avviato l’indagine sospettando che l’azienda statunitense eserciti pressioni scorrette per chiedere un trattamento preferenziale ai produttori di smartphone. Nello specifico, l’autorità garante delle concorrenza e del mercato nipponica sostiene che il gigante della tecnologia possa aver violato la legge anti-monopolio, cercando di fare includere le sue app di ricerca nei dispositivi, con le icone poste in posizioni specifiche, e negli accordi che stipula con i produttori di dispositivi Android per escludere le app di ricerca concorrenti dai loro prodotti in cambio della condivisione dei profitti generati dalla pubblicità derivata dalle ricerche su Google. La decisione del garante arriva dopo che le autorità europee hanno reso più rigide le regolamentazioni per le grandi aziende tecnologiche made in Usa, come Google, Apple, Facebook e Amazon, conosciute collettivamente come Gafa, accusate di ostacolare la libera concorrenza e di fatto monopolizzando il mercato.

Google affronta una nuova indagine antitrust in Giappone
Smartphone Huawei sui quali sono installate di default le app di Google (Getty Images).

Il processo antitrust sul gigante del web negli Stati Uniti

Google è anche oggetto di un procedimento giudiziario da parte del dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti con l’accusa di aver abusato della sua posizione dominante nelle ricerche online per impedire l’emergere di concorrenti. Attualmente Google detiene il 90 per cento del mercato dei motori di ricerca negli Stati Uniti, mentre Bing di Microsoft ne detiene meno del 5 per cento. Secondo l’accusa del Dipartimento di giustizia, il gigante del web avrebbe speso illegalmente miliardi di dollari in accordi esclusivi con varie aziende tech, in particolare Samsung e Apple, per avere il proprio motore di ricerca installato di default sui loro dispositivi, utilizzando così la propria posizione dominante per negare ai rivali l’accesso alle query di ricerca e ai clic,  impedendogli di prendere piede nel mercato della ricerca online. L’azienda di Mountain View si è difesa sostenendo che il suo vantaggio competitivo non sia frutto degli accordi commerciali, ma della qualità superiore della sua tecnologia.

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