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Fuortes, le sfide al San Carlo e un bilancio del suo lavoro a Roma e Verona
La designazione dell’ex ad della Rai, Carlo Fuortes, come prossimo sovrintendente del San Carlo è una vittoria del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, resa possibile da un assist governativo. Tale appare il decreto che ai primi di maggio ha messo fuori gioco per motivi anagrafici Stéphane Lissner, il quale ha compiuto 70 anni lo scorso gennaio e decade dall’incarico a causa della sua età. Salvo l’esito del ricorso alla magistratura: udienza l’11 settembre. Fuortes, inizialmente in apparenza non interessato, si è fatto convincere nel giro di un paio di mesi e Manfredi ha potuto annunciare con toni trionfalistici il suo prossimo arrivo. Manca solo il decreto di nomina del ministro della Cultura, che non sembra in dubbio. Quasi generale l’apprezzamento per la designazione approvata dal Consiglio di indirizzo. Solo il rappresentante della Regione si è astenuto, ma per una posizione critica sulla gestione precedente, non ancora chiarita. L’unica nota di prudente attendismo è venuta quindi dai rappresentanti sindacali dei dipendenti della Fondazione del Teatro di San Carlo.
Il braccio di ferro con il coro e l’orchestra dell’Opera di Roma e la rottura con Muti
La storia di Fuortes, 64 anni a settembre, è in effetti quella di un dirigente culturale che ha improntato le relazioni sindacali a un forte e spesso conflittuale decisionismo. Passato a dirigere l’Opera di Roma dopo una ultra-decennale gestione del Parco della Musica, il manager approdò su tutte le prime pagine ai primi di ottobre del 2014. Fu allora che il consiglio di indirizzo del Costanzi approvò la clamorosa e inedita strategia proposta dal sovrintendente, in carica da neanche un anno: licenziamento in tronco del coro e dell’orchestra, 180 persone in tutto, e passaggio all’esternalizzazione per queste funzioni. Decisione inevitabile, disse Fuortes, appoggiato dall’allora ministro della cultura Dario Franceschini, per cominciare a mettere ordine nei disastrati conti della Fondazione lirico-sinfonica romana che aveva un debito sopra i 30 milioni di euro e bilanci non in ordine. La decisione mandava un segnale molto forte a masse artistiche che avevano costellato l’estate romana (spettacoli a Caracalla) con ripetute iniziative sindacali di rottura, collegate a richieste soprattutto economiche, fino a incrinare il rapporto con Riccardo Muti, che sembrava destinato ad assumere un ruolo centrale nella programmazione e che invece se ne andò sbattendo la porta e rinunciando all’Aida inaugurale, prevista per la fine di novembre. L’atto di forza durò poco: un mese e mezzo dopo, i licenziamenti furono annullati sulla base di un accordo che vedeva gli stipendi di orchestrali e coristi ridotti in media del 5-10 per cento. Ma che poneva d’altro canto le basi per un forte aumento della produttività artistica.
La parentesi a Verona come commissario straordinario della Fondazione Arena
Un anno e mezzo più tardi, ad aprile del 2016, Franceschini avrebbe inviato Fuortes a Verona come commissario straordinario della Fondazione Arena sull’orlo della liquidazione, voluta dall’allora sindaco Flavio Tosi. In questo caso non furono annunciati licenziamenti: il piano-Fuortes (che rimase in carica solo sei mesi e a Verona si fece vedere un paio di volte) era basato sull’abolizione del corpo di ballo e sul taglio temporaneo delle retribuzioni dei dipendenti, ridotti al minimo da un’adeguata campagna di pensionamenti anticipati e agevolati. In pratica, fino alla fine del 2018 è stato in funzione un part-time verticale costituito dal blocco di 52 giornate lavorative all’anno: di fatto una serrata di due mesi, con la Fondazione chiusa in ottobre e in novembre. In questo modo, i compensi dei dipendenti – che tuttavia avevano dato il loro assenso al piano – sono stati ridotti di due mensilità, taglio solo parzialmente compensato dalla cassa integrazione. Una riduzione superiore al 10 per cento.
Al San Carlo Fuortes trova bilanci in equilibrio, risultati di esercizio positivi e un debito cospicuo ma sotto controllo
In realtà, Fuortes non trova a Napoli (dovrebbe insediarsi a settembre: stipendio al massimo consentito dalla legge 248 mila euro all’anno) una realtà neanche lontanamente paragonabile a quelle di Roma nel 2014 e di Verona nel 2016. Secondo gli ultimi dati (la relazione semestrale del commissario straordinario del governo per le Fondazioni lirico-sinfoniche), la situazione è al momento ordinata: bilanci in equilibrio, con risultati di esercizio positivi da 10 anni a questa parte, debito sempre cospicuo (la Fondazione San Carlo è fra le numerose ammesse ai benefici della Legge Bray del 2013, che ha concesso ai teatri musicali importanti finanziamenti a tassi agevolati) ma sotto controllo, intorno ai 25 milioni, grande ritorno del pubblico dopo la pandemia.
Al netto dell’inizio burrascoso, l’ex ad Rai ha portato il Costanzi a un livello di qualità toccato raramente nella sua storia
Al di là delle preoccupazioni sindacali, la designazione chiude la non esaltante parentesi di Fuortes in Rai e lo riporta sul terreno che gli è più congeniale, nel quale ha da tempo dimostrato di sapersi muovere non solo con chiara visione delle problematiche gestionali, ma con ricchezza di idee e solido bagaglio culturale. Dopo la tumultuosa annata iniziale, per certi aspetti nonostante questo esordio problematico, il suo lavoro ha in effetti portato il Costanzi – secondo parere critico pressoché unanime – a un livello di qualità toccato raramente nella sua storia ultracentenaria. Decisive, in questo senso, scelte di programma di notevole interesse, non necessariamente attente solo al grande repertorio, ma sempre alla dimensione storico-culturale con uno spazio importante per la musica del Novecento; e decisiva la nomina come direttore musicale di una figura di indiscusso alto livello internazionale come Daniele Gatti, alla guida dell’orchestra nel triennio 2019-2021. Significativo il fatto che in questo periodo, coinciso in larga parte con l’emergenza pandemica, con la chiusura dei teatri o con il loro utilizzo solo parziale, la programmazione dell’Opera di Roma si sia segnalata per originalità e creatività. Il riferimento è in particolare ai film-opera trasmessi in tv e realizzati nel teatro deserto da Mario Martone con Gatti sul podio: Il Barbiere di Siviglia (dicembre 2020) e La Traviata (febbraio 2021). Nell’aprile del 2022 il progetto si era poi concluso con La bohème diretta da Mariotti, quando da poco al Costanzi era subentrato Francesco Giambrone. Proposte di alto valore teatrale, oltre che musicale e vocale, con una continua interazione fra il linguaggio della scena e quello della cinepresa. Del resto, alla prima e solo temporanea ripresa dell’attività, nel mese di giugno del 2020, l’Opera di Roma si era messa in evidenza con un Rigoletto al Circo Massimo, affidato alla regia di Damiano Michieletto, nome di punta della nuova regia operistica internazionale.
Le prime scelte circa la direzione musicale e artistica faranno capire cosa attende la scena napoletana
Il glorioso e antico Teatro di San Carlo (si avvicina ai tre secoli, essendo stato aperto nel 1737) per vari aspetti appare in questo momento – più ancora della Scala, alla quale il nome di Fuortes era stato accostato nei mesi scorsi – come il luogo ideale di una progettualità che si è sempre dimostrata capace di coniugare la riflessione sul teatro per musica di tutte le epoche con la sua realizzazione all’insegna delle nuove idee nella regia. La prossima stagione è già pronta, e quindi l’impronta di Fuortes si vedrà soprattutto a partire dal 2024-2025. Ma già nei primi mesi, le scelte per la direzione musicale e quella artistica faranno capire che cosa attende la scena operistica di Napoli nei prossimi anni. Che Riccardo Muti ritorni a dirigere nella città dov’è nato 82 anni fa, come spera il sindaco Manfredi, oppure no.