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Elezioni in Slovacchia, lo spauracchio di Fico e l’Europa
Lo spettro che si aggira in Slovacchia pare risponda al nome di Robert Fico, ex premier, populista di sinistra, anti-europeo e filo-russo. Questo il ritratto in breve del leader di Smer, partito che i sondaggi danno in testa alla vigilia delle elezioni anticipate di sabato 30 settembre, che potrebbero cambiare il panorama politico del Paese, spostandolo su una linea più critica nei confronti di Bruxelles. Tutto ovviamente in teoria, e tutto già visto, sia a Bratislava che altrove, dato che in Europa la lista dei governi nazionalpopulisti, pendenti a destra o a sinistra, è lunga e si agita, a corrente alternata, da almeno tre decenni.

Il precedente di Meciar conferma che l’ondata nazional populista è diventata la regola
Solo per restare in Slovacchia basta pensare a Vladimir Meciar, tre volte primo ministro negli Anni 90, a capo di Hdzs, il Partito popolare di destra, anticipatore del populismo di sinistra di Fico, a sua volta premier tra il 2006 e il 2010 e tra il 2012 e il 2018. Se Fico oggi viene descritto quasi un come un lanzichenecco della Wagner, Meciar in realtà era peggio, ma di lui non c’è più traccia e la Slovacchia è sempre lì, accucciata tra Bruxelles e Washington. C’è poco dunque da saltare sulla sedia o lanciare allarmi per l’ormai consueta ondata nazionalista che è diventata più la regola che l’eccezione. Nessun timore che insomma Bratislava si possa staccare dalla Nato e frantumare l’Europa. Certo le crisi sul continente si sono moltiplicate, da quella finanziaria a quella migratoria passando per la guerra in Ucraina, e i governi in carica, di qualsiasi colore, sono in difficoltà di fronte alle opposizioni, di qualsiasi colore: la polarizzazione è fisiologica, accentuata dai problemi che variano a seconda delle congiuntura e che sono prontamente sfruttati per spostare gli equilibri interni. Per quelli esterni non si devono temere scossoni, dato che Unione europea e soprattutto Alleanza Atlantica costituisco blocchi da cui non tanto è facile, ma soprattutto non conviene, uscire. Finché Bruxelles riuscirà a tenere a bada gli Stati con la bacchetta economica, non rischierà di dover perder colpi a livello politico. Ammesso e non concesso che Fico vincesse le elezioni e riuscisse a formare un governo nazionalista, il segnale sarebbe quello che l’Europa sta andando in una direzione non condivisa dalla maggioranza dell’elettorato slovacco e che Olano, il partito dell’ex premier Igor Matovic, ora rischi di non superare la soglia di sbarramento del 7 per cento.

Chiunque vinca non potrà governare da solo
Gli ultimi sondaggi mostrano un testa a testa sul 20 per cento tra Smer e Ps, Slovacchia progressista, il partito di Michal Simecka (nipote del filosofo Milan Simecka, uno dei firmatari di Charta 77, il manifesto del dissenso al regime comunista cecoslovacco) al momento uno dei vicepresidenti al Parlamento europeo. La sua formazione sostiene in politica estera una chiara linea europeista e filoccidentale e si pone dunque come alternativa a Smer. Il risultato è però incerto perché parte dell’elettorato è ancora indeciso e come Fico, anche Simecka dovrà vedersela con i partner della coalizione. Forse per i progressisti sarebbe ancora più difficile mettere in piedi un’alleanza di governo con il Partito della Libertà e della Solidarietà (SAS), dato intorno al 7 per cento. Altri possibili alleati potrebbero essere Hlas, derivato dello Smer, il Movimento cristiano-democratico (Kdh) e Olano. Tutti pronti a salire sul carro del vincitore. Una cosa è certa: chiunque la spunterà dovrà esercitare l’arte del compromesso.