Digital services act, cosa cambia per social network e motori di ricerca

Venerdì 25 agosto sarà l’ultimo giorno in cui le grandi piattaforme hi-tech potranno uniformarsi al Digital services act, normativa dell’Unione europa che prevede nuove responsabilità per limitare la diffusione online di contenuti ingannevoli e prodotti illegali, aumentare la protezione dei minori e offrire agli utenti maggiore scelta e migliori informazioni. Tutto questo sulla base di un principio semplice, ma al tempo stesso difficile da rispettare sul web: ciò che è illegale offline dovrebbe essere illegale anche online.

Approvato a luglio 2022, si applica a tutti gli intermediari che offrono servizi a distanza

Approvato dal parlamento europeo il 5 luglio 2022 con il Digital markets act (insieme compongono il Digital services package) e definito dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen un accordo storico «in termini sia di rapidità sia di sostanza», il Digital Services Act si applica a tutti gli intermediari che offrono servizi a distanza, per via elettronica/telematica, su richiesta, solitamente retribuita, di un destinatario: dai social network alle piattaforme di viaggio online e di alloggio, fino ai servizi di cloud e hosting web, così come app store, mercati online e motori di ricerca. Con il medesimo obiettivo a lungo termine: creare un ambiente digitale sicuro e affidabile, capace di tutelare in modo concreto i diritti dei consumatori, promuovendo allo stesso tempo innovazione e la competitività.

Digital Services Act, dal 25 agosto nuovi obblighi per le grandi piattaforme digitali: cosa cambia per motori di ricerca e social network.
Meta (Getty Images).

Gli obblighi sono proporzionati al tipo di servizio offerto e al numero di utenti

Il Digital services act suddivide le piattaforme intermediarie di servizi in quattro categorie, con obblighi specifici, da assolvere entro quattro mesi dall’assegnazione. Ma ci sono alcuni obblighi principali, che valgono per tutti: indicare in modo chiaro le condizioni di servizio, fornire informazioni esplicite sulla moderazione dei contenuti e sull’uso degli algoritmi, non utilizzare pratiche ingannevoli, adottare trasparenza nei sistemi di suggerimento e nelle pubblicità online, collaborare con le autorità nazionali se richiesto, denunciare i reati. Gli obblighi più rigorosi riguardano le piattaforme online e i motori di ricerca di grandi dimensioni: in questa categoria rientrano i servizi digitali con almeno 45 milioni di utenti, pari al 10 per cento della popolazione europea, come Google, Facebook, Twitter e Amazon.

Diritti considerati fondamentali: libertà di espressione, tutela dei dati personali…

Vlop (Very large online platform, piattaforme molto grandi) e Vlose (Very large online search engines, motori di ricerca molto grandi) dovranno esporre i termini d’uso in modo chiaro e conciso. I servizi digitali che fanno uso di algoritmi in grado di selezionare i contenuti in base alle preferenze degli utenti saranno tenuti a fornire un’alternativa alla profilazione. Alle piattaforme è richiesto inoltre di condividere informazioni sugli annunci online che ospitano: contenuto, nome degli inserzionisti, periodo in cui sono stati visualizzati, informazioni sul pubblico. Un altro obbligo è poi quello della valutazione globale dei rischi per i diritti fondamentali, tra cui libertà di espressione, tutela dei dati personali, libertà e pluralismo dei media online. Un occhio di riguardo viene ovviamente riservato ai minori. Per esempio, in materia di pubblicità richiede alle piattaforme di non utilizzare «tecniche di targeting o amplificazione che trattano, rivelano o inferiscono i dati personali dei minori o delle persone vulnerabili ai fini della visualizzazione della pubblicità». Ogni sei mesi Vlop e Vlose dovranno pubblicare il numero dei loro utenti attivi nell’Unione europea.

Digital Services Act, dal 25 agosto nuovi obblighi per le grandi piattaforme digitali: cosa cambia per motori di ricerca e social network.
Amazon logo (Getty Images).

In caso di violazioni le sanzioni possono arrivare al 6 per cento del fatturato 

Le sanzioni per le violazioni del Dsa possono arrivare al 6 per cento del fatturato annuo totale e i destinatari dei servizi digitali, inoltre, possono chiedere un risarcimento per danni o perdite subite a seguito di violazioni a opera dalle piattaforme. A supervisionare il rispetto degli obblighi delle piattaforme è la Commissione Ue, mentre alle agenzie nazionali di regolamentazione è affidata l’applicazione del Dsa in senso più ampio. Questo per evitare “colli di bottiglia” nella supervisione e nell’applicazione degli obblighi che sono loro specifici. Pur promuovendo trasparenza, obblighi informativi e accountability, mettendo di fatto al bando le fake news, il Digital services act non ha messo d’accordo tutti. Alcuni osservatori ritengono infatti che il regolamento sia ancora troppo debole in materia di responsabilità. Un altro limite risiede nel fatto che le piattaforme con meno di 10 milioni di utenti sono escluse dal regolamento. E poi, sostengono in tanti, c’è il rischio che si crei confusione nell’applicazione nazionale e intra-europea delle nuove regole.

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