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Dall’Ucraina alla Svezia: i dossier caldi del vertice Nato di Vilnius
Quello che si apre l’11 luglio a Vilnius, in Lituania, rischia di essere un vertice Nato ridimensionato rispetto alle aspettative. I 31 membri dell’Alleanza Atlantica devono fare i conti con una realtà fatta di spaccature e trattative ancora aperte. A partire dal nome del nuovo segretario generale: non si è trovato l’accordo tra tutti e così in Lituania ci sarà l’annuncio della proroga di un anno del mandato dell’uscente Jens Stoltenberg, da nove anni alla guida dell’Alleanza. La scelta dell’usato sicuro, rappresentato dall’ex primo ministro norvegese, mostra le difficoltà nel fare sintesi tra le esigenze degli Stati membri, l’interesse delle maggiori potenze e le volontà degli Stati Uniti.
Gli Usa gelano gli entusiasmi: l’Ucraina potrà entrare nella Nato solo a conflitto finito
Ma il conto delle aspettative ridimensionate non finisce qui. Da Vilnius, infatti, sembrava dover arrivare un annuncio a suo modo storico: la formalizzazione del percorso di ingresso dell’Ucraina nella Nato. Tant’è che solo una settimana fa il presidente Volodymyr Zelensky aveva parlato del vertice come di «un momento chiave per la sicurezza comune in Europa». Aspettative che però si scontrano con la realtà dei fatti. Secondo quanto scrive il sito americano Bloomberg, i 31 Paesi aderenti dovrebbero infatti offrire a Kyiv una promessa di sostegno a lungo termine, che mira ad approfondire i legami ma nulla più. Insomma, una specie di adesione rimandata a quando finirà la guerra. Una mediazione necessaria viste le differenti posizioni sul tavolo. Al no immediato all’ingresso di Stati Uniti, Francia e Germania, si è opposto invece il sì di Polonia e repubbliche baltiche. Joe Biden però è stato chiaro. Intervistato dalla Cnn alla vigilia della partenza ha ribadito che Kyiv «non è pronta a far parte della Nato… deve soddisfare altri requisiti», «non c’è unanimità tra i Paesi membri» e farlo ora «nel mezzo di un conflitto significherebbe entrare in guerra con la Russia», visto l’articolo 5 del Patto sulla mutua difesa «di ogni centimetro del territorio Nato».
Erdogan fa cadere il veto sull’adesione della Svezia
Se l’Ucraina dovrà, gioco forza, attendere la fine della guerra per entrare, la Svezia si augura sia cosa fatta. Proprio a Vilnius è atteso l’annuncio ufficiale, soprattutto dopo l’apertura del presidente turco Recep Tayyp Erdogan che per mesi, dopo l’ok all’adesione della Finlandia, aveva bloccato Stoccolma a causa dell’accoglienza riservata ad attivisti e combattenti curdi vicini al Pkk che Ankara considera organizzazione terroristica. Lo stallo è stato superato alla vigilia del vertice. Dopo le rassicurazioni di Stoccolma lunedì sera Erdogan ha acconsentito che l’ingresso della Svezia venga ratificato «il prima possibile» dalla Grande assemblea nazionale turca. «Un passo storico che rende tutti gli alleati Nato più forti e più sicuri», ha commentato Stoltenberg su Twitter. A questo punto a Stoccolma servirà solo il via libera dell’Ungheria.
Glad to announce that after the meeting I hosted with @RTErdogan & @SwedishPM, President Erdogan has agreed to forward #Sweden's accession protocol to the Grand National Assembly ASAP & ensure ratification. This is an historic step which makes all #NATO Allies stronger & safer. pic.twitter.com/D7OeR5Vgba
— Jens Stoltenberg (@jensstoltenberg) July 10, 2023
In base all’intesa raggiunta, la Svezia non solo ha assicurato di potenziare insieme con la Nato le attività anti-terroristiche, ma sosterrà gli sforzi per dare slancio al processo di adesione della Turchia nella Ue. Ankara ha ottenuto lo status di Paese candidato all’Ue nel dicembre 1999, nel 2005 erano stati avviati i negoziati congelati nel 2018 a causa della «continua regressione in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali», ha spiegato il Consiglio Ue. Dal canto suo Bruxelles potrebbe consentire alla Turchia di accedere all’unione doganale o di consentire ai suoi cittadini di poter viaggiare in Europa senza necessità di visti. In sottofondo, poi, resta, come ha scritto il Foglio, «il boccone grande della commessa da 20 miliardi di dollari di F-16 che la Turchia vuole dall’America». Biden pare essere pronto a scendere a un compromesso ma serve l’ok del Congresso americano che ha annunciato di non volersi muovere prima del via libera della Turchia all’ingresso della Svezia nella Nato. Un negoziato dai veti incrociati che rischia di trasformarsi in uno stallo.
Il dossier bombe a grappolo e la Convenzione di Oslo
Se sul sostegno all’Ucraina non sembrano esserci dubbi, molti ne stanno emergendo sulle armi da mandare a Kyiv. L’ultimo stanziamento da 800 milioni di dollari di aiuti militari del governo Usa ha fatto molto discutere e a Vilnius se ne parlerà. Molti Stati membri, infatti, non hanno per nulla apprezzato che all’interno di questo pacchetto ci fosse anche la fornitura di bombe a grappolo. La Convenzione di Oslo, firmata nel 2008 anche dall’Italia, vieta la produzione, l’uso e le esportazioni di queste munizioni. Ed è proprio alla Convenzione di Oslo che si appellata Giorgia Meloni per criticare la scelta degli Stati Uniti. La premier si prepara così al debutto a un vertice Nato. Da lunedì è a Riga, in Lettonia, dove ha incontrato il suo omologo Arturs Krisjanis Karins. Al centro del faccia a faccia soprattutto la questione dell’immigrazione, su cui la premier proverà a dire la sua anche di fronte agli alleati atlantici. Litigi, divisioni e distanze permettendo.