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Crisi climatica, nel 2050 si rischiano più deserti e specie invasive
Il nostro pianeta sta soffrendo. La crisi climatica, unita all’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali da parte dell’uomo, sta mettendo a serio rischio la salute della Terra. La clessidra però sta finendo le sabbie e, senza un intervento urgente, la situazione potrebbe precipitare ancora. Nel 2050, come hanno sottolineato alcuni scienziati e ambientalisti al Guardian, la biodiversità sia animale sia vegetale rischia di sparire, con il 25 per cento delle specie già in via di estinzione. La desertificazione e le massicce quantità di gas inquinanti nell’atmosfera e negli oceani minacciano gli ecosistemi marini e le falde sotterranee. Nulla è però ancora perduto. A fronte di un quadro oscuro, gli esperti hanno anche fornito potenziali rimedi e interventi in grado di invertire la tendenza: «Bisogna agire però subito». Un messaggio indirizzato soprattutto alla Cop28, i cui lavori partiranno a Dubai il 30 novembre.
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Crisi climatica e desertificazione, perduto il 30 per cento delle foreste in 10 mila anni
Fra i principali nemici della biodiversità c’è lo sfruttamento del suolo. «Se non si invertirà la tendenza, la salute del pianeta peggiorerà ancora», ha spiegato la biologa argentina Sandra Myrna Diaz. «L’erosione dovuta alle colture intensive, unita a inquinamento da biocidi e salinizzazione ridurrà la natura a contatto con l’uomo». Secondo recenti stime, negli ultimi 10 mila anni l’uomo ha abbattuto un terzo delle foreste per sviluppare l’agricoltura, distruggendo così interi ecosistemi. «Se non agiamo, una sola parola potrà descrivere il nostro futuro: deserto», ha precisato Cristiane Juliao, indigena Pankanaru dell’Amazzonia. «Sarà la fine delle nostre conoscenze e tradizione, che dipendono da animali, piante e clima».
Sempre maggiore risulta poi l’impatto delle specie invasive in più zone del pianeta. A livello globale un team di esperti dell’Onu ne ha individuate circa 3500, diffuse dai viaggi intercontinentali oltre che dal commercio. Simbolo della loro influenza sono gli incendi alle Hawaii di agosto, cui avrebbero contribuito alcune piante giunte con la colonizzazione statunitense e capaci di sostituire quelle autoctone. Le lunghe distese di erba infatti non avrebbero fatto altro che favorire la diffusione delle fiamme sull’isola. Fra le nazioni a rischio c’è il Cile, dove il 25 per cento della fauna è unico al mondo. «Senza interventi, entro il 2050 sarà meno adatto alla vita», ha detto Annibal Pauchard dell’Università di Conception. «Le specie aliene stanno sostituendo gli ecosistemi endemici». Non va meglio in Europa, dove si rischia la diffusione di animali portatori di malattie come la zanzara tigre.
Fondamentale intervenire nell’attività mineraria e nella pesca
Secondo il fabbisogno attuale di risorse, l’uomo avrebbe bisogno di oltre un pianeta e mezzo. Preventivabile dunque un’intensificazione dell’estrazione mineraria, entrando anche in territori che fungono da rifugio per diverse specie in via di estinzione. «Per evitare una catastrofe della biodiversità dobbiamo sviluppare metodi di estrazioni diversi e meno nocivi per l’ambiente», ha spiegato Charles Barber del World Resources Institute. «I minerali ci servono, non potremo farne a meno. Quindi bisogna escogitare metodi più ecosostenibili». Non va meglio negli oceani, dove pesa soprattutto la pesca intensiva unita alla crisi climatica. «Il riscaldamento globale e l’acidificazione dell’acqua minaccia le specie», ha sottolineato il presidente di Palau Surangel Whipps Jr. «La cooperazione globale è fondamentale».
Infine, è importante anche sottoscrivere un trattato globale sull’inquinamento della plastica. Assieme a sostanze chimiche, pesticidi e fertilizzanti rappresenta infatti una grande minaccia per la biodiversità, tanto da mettere a repentaglio anche le falde sotterranee. «Al momento ci sono 170 tonnellate di microparticelle negli oceani», ha spiegato Marcus Eriksen, fondatore del 5 Gyres Institute. «Il numero potrebbe tuttavia quadruplicare entro il 2050, cui aggiungere 3 milioni di tonnellate di pesticidi nei campi. Servono controlli più severi e monitoraggio costante».
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