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Cosa non ha funzionato nel buco di Palazzo Chigi sullo scherzo a Meloni
Cosa non è andato a buon fine nella gestione della telefonata del duo di comici russi, Vovan e Lexus, che ha avuto successo nel mettersi in contatto con Giorgia Meloni spacciandosi per un alto diplomatico dell’Unione Africana tramite le linee di Palazzo Chigi? Chi lavora a stretto contatto con gli apparati di sicurezza nazionale si sta arrovellando dalla giornata di Ognissanti per capire come ciò possa essere successo. Si parla di una falla securitaria a tutto campo che riguarda, da vicino, le comunicazioni interne al governo. E al contempo di un fallimento di intelligence, dato che laddove il ruolo dei Servizi segreti è difendere il nocciolo duro degli arcana imperii, essi sono stati messi a dura prova, potenzialmente, dall’incursione russa.
Gli ambasciatori Talò e Bertoni sono i primi nomi finiti nel mirino
L’ambasciatore Francesco Maria Talò, consigliere diplomatico di Meloni, è quello su cui sono confluite le maggiori critiche, ma la realtà suggerisce un complesso “buco” nella comunicazione tra diversi uffici. Chi si occupa di questioni inerenti alla sicurezza nazionale fa notare, infatti, che il blackout è avvenuto su più piani. In primo luogo, c’è sicuramente la problematica dell’ufficio del consigliere diplomatico che non avrebbe vagliato attentamente il sistema di chiamate in entrata verificando con l’ufficio italiano a Addis Abeba, sede dell’Unione Africana, a cui come rappresentante italiano opera l’ambasciatore Alberto Bertoni, l’esistenza della volontà di un contatto con Meloni.
Deodato gestisce le attività di Comsec per la premier
In secondo luogo, c’è un tema strettamente tecnico: le comunicazioni riservate degli uffici ministeriali sono governati da un centro di Communication Security (Comsec), nel quale sono impegnati dispositivi crittografici per attività di telecomunicazioni. A Palazzo Chigi il Centro comunicazioni riservate distaccato presso l’ufficio del segretario generale della presidenza del Consiglio Carlo Deodato gestisce le attività di Comsec per la premier.
Serviva un controllo incrociato: problema di comunicazione
Quindi, terzo punto, si evidenzia l’esistenza di una profonda lacuna legata all’assenza di dialogo tra componenti della macchina dei dipartimenti. Un controllo incrociato avrebbe potuto permettere uno scambio informativo, ma la mancanza legata al fattore umano e all’assenza di comunicazione ha creato il patatrac. E gli esperti in materia sottolineano come nella chiamata strappata a Meloni non ci fossero aspetti formalmente “classificati“, e che comunque nel settore è buona norma di sicurezza (per il principio della “maggiore precauzione”) verificare sempre l’identità gli interlocutori.
Mancato controspionaggio per sventare potenziali minacce
Se il primo punto compete, principalmente, l’apparato del consigliere diplomatico, sicuramente il secondo e il terzo piano hanno direttamente a che fare con il ruolo di coordinamento e controllo dei Servizi segreti. Del resto, è lo stesso portale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) presieduto dall’ambasciatrice Elisabetta Belloni a prescrivere i protocolli per certificare a prova di intrusione i centri Comsec del governo, diretta emanazione dell’intelligence nazionale. Al comparto interno (Aisi) e a quello esterno (Aise) dell’intelligence è dato compito, tra le altre cose, di operare la dovuta manovra di controspionaggio e assicurare che non si producano, potenzialmente, minacce alla sicurezza nazionale. Da oltre un anno il Comparto parla di «minacce ibride» russe: si è pensato a operare una protezione delle linee di comunicazione Comsec di Palazzo Chigi da eventuali intrusioni? Si è proceduto a una raccolta informativa sui possibili soggetti malevoli russi (difficile scindere Vovan e Lexus, sostanzialmente, dall’intelligence russa, almeno nel metodo) e sulle loro azioni potenziali? Si è proceduto allo scambio di informazioni tra settori del comparto su queste possibili intrusioni?
Senza coordinamento politico la struttura è vulnerabile
Il fallimento rischia di non essere tanto quello degli operativi, quanto delle strutture di coordinamento chiamate a far sintesi di tali minacce e di trasformarle in linee guida operative. A cui sono ascrivibili sicuramente il Dis guidato da Belloni, ma anche la presidenza del Consiglio (da Deodato a Meloni) nel suo insieme. In democrazia l’intelligence può avere capacità e operatività, ma non decide da sola: può essere la ghiandola pineale del sistema, regolare il ritmo sonno/veglia di uno Stato, ma non essere l’unico metro della lucidità di un apparato. E senza coordinamento politico una struttura è complessivamente permeabile. Non sappiamo se sia mancato il materiale informativo su possibile falle securitarie di questo tipo. Sappiamo che è mancato il coordinamento: e ascrivere le responsabilità alla sola struttura di Talò è, in quest’ottica, certamente riduttivo.
Un precedente pericoloso: chiunque può penetrare il nostro sistema
A preoccupare gli addetti ai lavori più che quanto detto da Meloni è il precedente che si è venuto a creare, oltre al problema di sicurezza nazionale che potenzialmente l’episodio espone. Emerge che chi ha metodo, cultura e risorse non solo può pensare di penetrare il nostro sistema, ma lo fa senza problemi. Le parole di un capo di governo possono influenzare le Borse, creare imbarazzi e incidenti diplomatici, compromettere il clima di fiducia tra alleati in una campagna militare. Pensare che un comico, ancorché all’interno di uno scenario di “guerra asimmetrica“- cioè che si combatte con le armi più disparate, inclusa la comunicazione – sia riuscito nell’impresa di creare un caso del genere deve fare riflettere e soprattutto far predisporre le opportune azioni per evitare che certe cose possano ripetersi e con conseguenze peggiori. Lo scherzo potrebbe, dunque, aver permesso di capire dove sono gli errori. E tra gli addetti alla sicurezza nazionale una cosa è certa: l’incidente non può ripetersi e la comunicazione deve essere ripristinata nella sua forma più efficiente.