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Cosa c’è dietro l’intesa in Rai tra M5s e centrodestra
L’ennesima conferma di un asse tra M5s e centrodestra sulla Rai è arrivata dal voto in commissione di Vigilanza sul contratto di servizio. Con i pentastellati che, dopo aver aspramente criticato il documento che impegnerà la tv pubblica per tre anni, hanno votato con la maggioranza, lasciando soli all’opposizione Pd e Italia viva, mentre Azione di Carlo Calenda si è astenuta. Un contratto che, secondo i voleri della maggioranza, «impegna l’azienda a dare una rappresentazione positiva dei legami familiari secondo l’articolo 29 della Costituzione», ovvero quello che riguarda la famiglia tradizionale. Ma diversi sono gli emendamenti passati che restituiscono l’immagine di una tv in stile Anni 50, criticati a parole dai pentastellati, ma poi votati senza fare un plissé. Anche perché ciò che davvero premeva al partito di Giuseppe Conte era il reinserimento del giornalismo d’inchiesta all’interno del documento, concessione della maggioranza dopo che in una prima versione era assente. Insomma, do ut des. La giornata è stata naturalmentecontrassegnata da scambi al vetriolo, a conferma del rapporto sempre più teso tra il partito di Conte e quello di Elly Schlein. «Votate solo per avere poltrone!», l’attacco dei dem. «Basta ipocrisie, i nostri emendamenti sono stati accettati, non accettiamo lezioni!», hanno risposto i pentastellati. «E poi eravamo noi la stampella della maggioranza…?», ha chiesto con sarcasmo Maria Elena Boschi.

L’ok M5s ai direttori dei tg in cambio del rientro di Carboni a Rai Parlamento e la presidenza di Rai Com per Mazzola
Non è la prima volta che, in barba al Pd, va in scena un asse tra maggioranza di governo e pentastellati. Lo scorso maggio, ad esempio, dopo aver denigrato i criteri per la scelta dei nuovi direttori, il consigliere d’amministrazione in quota contiana Alessandro Di Majo s’era astenuto, dando così il via libera alla direzione di Gian Marco Chiocci al Tg1, Antonio Preziosi al Tg2, Francesco Pionati alla Radio, Angelo Mellone al Day Time e Paolo Corsini all’Approfondimento. In cambio i pentastellati incassavano il rientro ai piani alti dell’ex direttore del Tg1 Giuseppe Carboni, piazzato a Rai Parlamento, e la poltrona di presidente di Rai Com per Claudia Mazzola. La seconda puntata è andata in scena il 3 luglio scorso quando, appunto, il Cda è stato chiamato al voto sul nuovo contratto di servizio che però era ancora monco della parte sul giornalismo d’inchiesta. Polemica innescata da Sigfrido Ranucci e molto cavalcata per una settimana dai cinque stelle. E al momento del voto che è successo? Il consigliere Di Majo ha votato a favore, con la maggioranza, lasciando soli Francesca Bria (Pd) e Riccardo Laganà (dipendenti).

Le manovre contiane per portare Gueli alla condirezione della Tgr
Il voto in Vigilanza è dunque solo il capitolo finale di un’intesa che sta portando ai pentastellati vantaggi e poltrone all’interno di mamma Rai. Come quella ormai quasi certa della futura condirezione della Tgr per Roberto Gueli, oggi vicedirettore. «Dopo una prima fase di spaesamento, Conte ha capito che in Rai non servono battaglie e crociate, ma è molto più utile muoversi con disinvoltura, strillando quando serve, salvo poi accomodarsi a tavola al momento giusto», racconta a Lettera43 una fonte parlamentare esperta di vicende Rai. D’altronde a Viale Mazzini nessuno ha dimenticato che uno dei migliori alleati del passato ad Rai indicato dai 5 stelle, Fabrizio Salini, è stato proprio quel Giampaolo Rossi che all’epoca era membro del Cda in quota meloniana. Con Salini tra il 2018 e il 2021 Rossi strinse un patto di ferro che tenne a galla Fdi nel magico mondo della tv pubblica all’epoca dei governi Conte 1 e 2, quando in Parlamento i meloniani non toccavano palla. Oggi Rossi è direttore generale, in predicato per diventare il futuro ad. E le antiche amicizie in certi casi, specie se c’è da lasciare a bocca asciutta il Pd, tornano sempre utili.