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Cosa c’è dietro l’incontro tra Biden e Zelensky
Non c’è mai stato molto feeling tra Volodymyr Zelensky e Joe Biden. Il primo avrebbe voluto far entrare l’Ucraina nella Nato prima ovviamente che scoppiasse la guerra; il secondo avrebbe preferito che, dopo oltre un anno e mezzo di conflitto e l’aiuto generoso e interessato a stelle e strisce e dell’Alleanza atlantica, Kyiv avesse fatto qualcosina in più sul terreno, concentrandosi più sulle cose concrete che sulla loro narrazione: la forbice tra intenzioni e obiettivi raggiunti è ampia, tanto che a Washington si è tolto il piede dall’acceleratore e messo in conto che la controffensiva non porterà molto quest’anno e forse nemmeno in futuro.

Biden, con le Presidenziali in arrivo, non può accettare un allargamento del conflitto verso Mosca
L’Ucraina potrebbe avanzare maggiormente se avesse missili a lungo raggio e F16, ma gli Usa frenano perché poco o nulla si fidano delle promesse ucraine, già ampiamente smentite, di non colpire in territorio russo e un’escalation nucleare, o bombardamenti a tappeto stile Dresda nella Seconda Guerra mondiale, non li vuole nessuno. Ecco dunque che i prossimi colloqui tra i due presidenti a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite saranno conditi da sorrisi e pacche sulle spalle, ma in concreto le posizioni rimarranno le stesse: da una parte il sostegno americano non è messo in discussione, ma stanare i russi fuori dalla Crimea e allargare il conflitto verso Mosca non è nell’interesse della Casa Bianca, oltretutto con le elezioni presidenziali in arrivo. Ormai si rincorrono le voci, vere o meno, di un compromesso che potrebbe stagliarsi all’orizzonte già durante il prossimo stallo invernale, con gli Stati Uniti a premere su Kyiv per il ridimensionamento degli obiettivi, cioè abbandonare l’idea di riconquistare la penisola sul Mar Nero e parte del Donbass in cambio di un armistizio che tuteli innanzitutto la popolazione ucraina stremata, evitando una guerra infinita che porterebbe al disastro per prima l’Europa intera e indebolirebbe anche gli Stati Uniti impegnati nel duello con la Cina.

Zelensky porta in dono l’arresto di Kolomoisky, la nomina di Umerov e la privatizzazione dei colossi statali
Zelensky arriva negli Usa con un paio di regali sul piatto, simbolo anche della volontà di correggere i vizi di un Paese nella cui ricostruzione Washington è già in prima fila, grazie anche alla nomina di Penny Pritzker, imprenditrice miliardaria ed ex segretaria al Commercio nell’amministrazione Obama, come Rappresentante speciale Usa per la ripresa economica dell’Ucraina: l’oligarca Igor Kolomoisky dietro le sbarre, il nuovo ministro della Difesa Rustem Umerov, cuore in Crimea e grandi interessi Oltreoceano, il processo avviato di privatizzazione dei colossi dell’industria statale che finiranno lentamente in pasto a BlackRock e affini. Biden tiene il cordone della borsa che mantiene in vita l’Ucraina, può rallegrarsi dei doni, ma il gioco della Casa Bianca è più ampio.

Il tempo gioca contro Kyiv
L’”asse del Male” dei tempi di George Bush – Corea del Nord, Iran e Iraq – si era allargato già con Barack Obama e Donald Trump. Con Biden gli Usa ormai riescono a tenere saldi solo l’Europa e i tradizionali alleati nell’Indopacifico. La Cina sta con la Russia, appoggiata in parte da quel Grande Sud che tra Brasile e India cerca un ruolo indipendente, lontano dai diktat occidentali. L’Ucraina ha bisogno di tutta l’attenzione possibile da parte degli Stati Uniti che però non possono concentrarsi solo su questo tavolo e non possono farlo per molto tempo: il rischio è uscire in perdita, qui come altrove. E allora il tempo sta giocando contro Zelensky e l’Ucraina, che hanno bisogno di risultati convincenti, per evitare che gli Usa si spazientiscano e allentino anche la morsa sull’Europa, poi libera di muoversi in maniera meno organica, con il fronte anti-russo di baltici e polacchi relegato in seconda fila dal pragmatismo tedesco, francese e italiano. Come una volta. A New York in questi giorni si cercherà una soluzione per far rientrare la Russia nell’accordo sul grano: se venisse trovata, con qualche concessione per Mosca, sarebbe un buon segnale. Ma forse non per Kyiv.