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Come l’Arabia Saudita ha speso 6 miliardi nello sport per ripulire la sua immagine
Quanti soldi servono per lavare le macchie dei diritti umani negati? Parecchi: basta guardare lo sforzo economico messo in atto dall’Arabia Saudita, diventata il buen retiro di Cristiano Ronaldo prima, di Karim Benzema poi e di Kylian Mbappé chissà. Come evidenziato da un’inchiesta del Guardian, Riad negli ultimi due anni e mezzo ha speso tramite il suo fondo sovrano Public Investment Fund ben 6,3 miliardi di dollari (5,7 miliardi di euro) in affari legati allo sport: più del quadruplo dell’importo dei sei anni precedenti. Una cifra abnorme – frutto di una stima tra l’altro al ribasso – pari al Pil del Montenegro o di Barbados.
Il contratto da un miliardo che ha convinto CR7
Lo sportwashing è una strategia usata da Stati o governi che sfruttano lo sport per rendere moderna la propria immagine e, più in generale, far distogliere lo sguardo dalla pessima situazione dei diritti umani. Può avvenire tramite l’acquisto di società sportive, tesseramento di atleti, organizzazione di eventi o sponsorizzazione degli stessi. Il fondo Pif è lo strumento primario con cui Riad pianifica la trasformazione della propria economia: negli ultimi mesi, a forza di investimenti fuori scala sta rivoluzionando il mercato dei trasferimenri calcistici. La principale operazione di soft power è stato l’approdo di CR7 all’Al Nassr: il fuoriclasse portoghese è stato convinto dal miliardo di euro che si metterà in tasca da qui al 2030, prima come calciatore e poi come ambasciatore del calcio saudita. A distanza di qualche mese lo ha seguito l’ex compagno di squadra Benzema, Pallone d’oro in carica.
Solo Messi ha detto (in parte no) ai soldi sauditi
Non solo immensi campioni a fine corsa e ottimi giocatori in fase calante, come N’Golo Kanté e Roberto Firmino: hanno salutato l’Europa per finire nel deserto, coperti di soldi, anche calciatori nel pieno della carriera come Sergej Milinkovi?-Savi? e Ruben Neves, che avrebbero potuto ambire a tutt’altri palcoscenici. Ha risposto invece picche Lionel Messi, che ha detto no ai 400 milioni annui proposti dall’Al-Hilal per accasarsi negli Stati Uniti: sembrano spiccioli, ma la Pulce aveva comunque detto sì a 25 milioni di dollari per diventare testimonial del turismo in Arabia Saudita. Sempre per quanto riguarda il calio, il fondo Pif ha acquistato a fine 2021 il Newcastle sborsando 390 milioni di dollari e, sempre in ottica sportwashing, quest’anno si è aggiudicata l’organizzazione della Coppa del mondo per club Fifa. Riad punta ai Mondiali, è cosa nota: niente da fare per il 2030, ci riproverà per l’edizione 2034.
Arabia Saudita ha messo le mani sul golf
Se c’è uno sport che più di altri è stato cambiato dagli investimenti sauditi è il golf. Nell’ottobre del 2021, Pif ha investito circa 2 miliardi di dollari per creare il circuito professionistico LIV Golf, entrato in rotta di collisione con quello già esistente Pga Tour, il quale ha intrapreso un’azione legale sostenendo che il progetto finanziato dai sauditi stava attirando i giocatori a violare i loro impegni esistenti. Come è finita? Con un accordo di fusione tra i due circuiti, dopo mesi di battaglia in tribunale. La nuova entità ha come amministratore delegato Yasir al-Rumayyan: già governatore del Public Investment Fund, nonché presidente del Newcastle.
Pugilato e motori: gli altri grossi investimenti di Riad
L’Arabia Saudita ha investito poi parecchio nel pugilato e negli sport motoristici. Il 26 febbraio 2023 lo YouTuber diventato boxeur Jake Paul ha combattuto contro Tommy Fury sul ring allestito nella Diriyah Arena di Riad: i due hanno incassato rispettivamente 3,2 e 2 milioni di dollari, più una quota delle entrate pay-per-view. Nel 2022 la monarchia saudita aveva invece pagato ben 60 milioni di dollari per ospitare il match tra i pesi massimi Oleksandr Usyk e Anthony Joshua. Nel 2021, invece, Pif ha investito 500 milioni di dollari nel gruppo McLaren. La cifra di 6,3 miliardi di dollari indicata dal Guardian, tuttavia, non include gli oltre 40 milioni di dollari che il gigante petrolifero statale Aramco spende ogni anno per sponsorizzare la Formula 1, o altri contratti firmati prima del 2021, come quello da 65 milioni di dollari per l’organizzazione di un Gran Premio in Arabia Saudita. Il totale esclude anche l’ampia spesa di Pif nel mondo degli e-sport, incluso un recente investimento di un miliardo di dollari nella società di videogiochi Embracer Group, così come eventi sportivi di cui non si conosce l’importo della sponsorizzazione, e l’accordo di partnership quadriennale tra il città pianificata di Neom (sulla costa del Mar Rosso) e la Confederazione calcistica asiatica.
Lo sportwashing funziona? Sembra di sì
Tramite queste operazioni di soft power, nel corso del tempo Riad sta provando a proiettare verso l’esterno un’immagine più democratica, aperta e attenta ai diritti umani rispetto alla realtà. La strategia sta funzionando? Dopo l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel 2018, molte grandi società hanno ritirato o sospeso gli investimenti nel Paese. Ma ad esempio Joe Biden, che aveva detto di voler trattare i membri della monarchia saudita come paria, nel 2022 è andato a Riad, dove ha incontrato il principe ereditario e leader de facto, Mohammed bin Salman, «per rafforzare la partnership strategica».