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Cina, Xi Jinping e la guerra allo spionaggio
Una mobilitazione generale per difendersi da possibili “nemici stranieri” infiltrati nel Paese. La Cina sta cercando di arruolare il maggior numero di cittadini nella “guerra totale” che il Partito Comunista ha lanciato contro le spie estere. Agli occhi di Pechino, le minacce potrebbero annidarsi ovunque: all’interno delle multinazionali, sui social media e persino nelle università. «La sicurezza nazionale è il fondamento del ringiovanimento nazionale e la stabilità sociale è il prerequisito per la prosperità», si legge nel primo post pubblicato su Wechat dal ministero per la Sicurezza dello Stato, un dipartimento solitamente restio ad apparire sotto i riflettori e incaricato di supervisionare la polizia segreta e i servizi di intelligence del Paese. Il titolo del post è emblematico: «L’anti spionaggio richiede la mobilitazione di tutta la società!».
I motivi della stretta anti-spionaggio di Pechino
Tra l’esigenza di rafforzare la vigilanza nazionale e il rischio che questa chiamata alle armi si trasformi in una paranoia collettiva, Xi Jinping ha presentato la sua nuova agenda. Al primo posto non c’è più la crescita economica, bensì il binomio sicurezza-prevenzione. Non è un caso che lo scorso maggio il presidente cinese abbia ammonito la commissione per la Sicurezza nazionale facendo presente la necessità di «essere preparati agli scenari peggiori ed estremi», invitando i funzionari a «migliorare il monitoraggio in tempo reale» e a «prepararsi per il combattimento reale». Insomma, Pechino è sul chi vive. Oggi più che mai. Il senso di urgenza di misure del genere potrebbe dipendere dal fatto che la Cina sta affrontando alcune delle sfide più importanti dall’ascesa di Xi. Come il rallentamento economico figlio di varie crisi (in primis quella immobiliare), l’emergere di problemi sociali prima sconosciuti come la disoccupazione giovanile e le crescenti tensioni con l’Occidente. La stretta è arrivata a luglio, quando Pechino ha rivisto la legge anti spionaggio ampliando le attività che costituiscono reato. La normativa, che consente alle autorità preposte di avere accesso a dati, apparecchiature elettroniche e informazioni personali, vieta il passaggio di informazioni relative alla sicurezza nazionale. Allo stesso tempo però non specifica quale tipo di informazioni siano da considerarsi tali, dando alle autorità un enorme se non totale potere discrezionale.
Appelli, app e video sui treni: gli effetti della guerra alle spie
Gli effetti della guerra alle spie sono ben visibili. Su alcuni treni ad alta velocità per esempio, come riportato dal Nyt, un video in loop avverte i passeggeri di fare attenzione quando scattano foto da condividere sui social, dal momento che le immagini potrebbero catturare informazioni sensibili. In vari uffici governativi, soprattutto dove si archiviano documenti, sono appesi cartelli che ricordano al personale di «costruire una linea difensiva popolare» contro la diffusione di informazioni sensibili. Un hotel situato nella città balneare di Yantai, solito pubblicizzare sui social soggiorni e cene, qualche mese fa ha pubblicato una lista con le categorie di persone che il ministero della Sicurezza ritiene maggiormente a rischio cooptazione da parte di nemici stranieri. E tra i maggiormente attenzionati figurano coloro che hanno studiato all’estero e i «giovani utenti di internet». A Chongqing, una megalopoli di oltre 32 milioni di abitanti, è stata approvata una versione locale della legge nazionale sul controspionaggio che impone alle istituzioni controlli di sicurezza quando organizzano viaggi all’estero. E non è finita. L’Amministrazione nazionale ha lanciato un’app per seguire un corso sulla protezione dei segreti e pare che molte università e aziende abbiano ‘consigliato’ a studenti e dipendenti di seguire le lezioni. La prima si apre con una citazione di Mao Zedong sull’importanza della riservatezza, mentre in un’altra si mettono in guardia i possessori di iPhone e dispositivi Android perché in quanto prodotti stranieri potrebbero essere vulnerabili a manipolazioni. Il recente appello di Xi alla guerra contro lo spionaggio rievoca le campagne radicali con cui il grande timoniere consolidò il proprio potere, ma questo non significa che sia in corso una nuova Rivoluzione Culturale. I tempi – e soprattutto la società – sono cambiati, anche se la sicurezza nazionale pare essere tornata a essere la priorità.