Cdp Reti è il nuovo rebus cinese per il governo Meloni

Archiviato per il momento il dossier Pirelli, e scacciate le presunte ombre cinesi che minacciavano di intaccare le strategie e l’operatività del gruppo, prima o poi il governo Meloni dovrà fare i conti con un nodo ancor più spinoso. La questione chiama in causa le solite quattro variabili: l’Italia, le responsabilità geopolitiche di Roma nei confronti dell’Alleanza atlantica e del blocco occidentale (leggi: Stati Uniti), un asset italiano controllato in parte da un’azionista cinese, e quindi la Cina. Se l’invocazione del golden power – cioè lo strumento che permette al governo di bloccare o limitare specifiche operazioni finanziarie nei settori considerati strategici, per salvaguardare l’interesse nazionale – ha tutelato l’azienda leader nella produzione di pneumatici, resta da capire come – e nel caso se – l’esecutivo meloniano si orienterà nei confronti di Cassa depositi e prestiti Reti, un attore protagonista dell’economia italiana e ancor più rilevante di Pirelli.

Cdp Reti e? il nuovo rebus cinese per il governo Meloni
Cassa depositi e prestiti (Imagoeconomica).

Cdp Reti ha quote di rilievo in Italgas, Snam e Terna

Già, perché Cdp Reti, una joint venture tra Cassa depositi e prestiti, l’azienda cinese State Grid Corporation e altri investitori, detiene quote di rilievo in Italgas (25,9 per cento), Snam (31,3 per cento) e Terna (29,8 per cento), ossia in tre soggetti impegnati rispettivamente nel settore del gas, delle infrastrutture energetiche e nelle reti elettriche italiane. Considerando che Cdp Reti è partecipata dal 59,1 per cento da Cassa depositi e prestiti e per il 35 per cento dalla citata State Grid, la società elettrica statale cinese, possiamo affermare che Pechino ha una voce in capitolo, o quanto meno una posizione di monitoraggio privilegiata, in alcune tra le questioni più scottanti dell’Italia. Quali, del resto, lo sono le infrastrutture, lo smistamento di risorse energetiche e il funzionamento della rete elettrica nazionale. Se, a torto o ragione, per motivazioni geopolitiche o economiche, per Pirelli il governo ha ritenuto necessario impugnare il golden power, allora ci si può chiedere cosa avrà intenzione di fare l’esecutivo con il rebus Cdp Reti.

Cdp Reti è il nuovo rebus cinese per il governo Meloni
Paolo Gallo, ad di Itagas (Imagoeconomica).

Per State Grid Corporation un’operazione da 2,1 miliardi di euro

Dobbiamo tornare al 2014 per capire come ha fatto la Cina a ritrovarsi una simile posizione. Nella stagione politica dell’apertura verso Oriente, quando cioè fare affari con il Dragone non era considerato un rischio ma una possibile ancora di salvezza per rimpinguare le casse vuote dei governi occidentali, la banca d’investimento statale italiana Cassa depositi e prestiti ha venduto il 35 per cento delle azioni della holding Cdp Reti a State Grid Corporation. Il tutto per un prezzo pari a circa 2,1 miliardi di euro, con la possibilità da parte del Dragone di nominare due amministratori su cinque nel cda di Cdp Reti e membri nei board di Terna, Italgas e Snam. L’operazione è risultata particolarmente fruttuosa anche dal punto di vista economico, visto che negli ultimi due anni il colosso cinese ha incassato 334 milioni di euro di dividendi.

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Stefano Venier, amministratore delegato di Snam (Imagoeconomica).

Fattore di preoccupazione per gas ed energia elettrica

In relazione all’ultimo anno, invece, la partecipata di Cassa depositi e prestiti ha approvato la distribuzione agli azionisti di un dividendo 2022 di 551 milioni. Di questi, 331,9 milioni di euro (pari a 2.054,80 euro per azione) sono stati già versati in forma di acconto. All’azionista cinese è stata quindi staccata una cedola da 116 milioni. Al netto della questione economica, e considerando lo scenario geopolitico mutato, la presenza di un attore controllato da Pechino nella governante di un veicolo che gestisce le reti di gas ed energia elettrica dell’Italia potrebbe risultare un fattore di preoccupazione. A maggior ragione per un governo come quello guidato da Giorgia Meloni, che ha dimostrato di volersi allineare il più possibile ai diktat statunitensi in materia di politica estera. Dunque, se per Washington la Cina rappresenta una minaccia, allora deve esserlo anche per i partner Usa. Italia compresa.

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Dario Scannapieco di Cdp (Imagoeconomica).

Exit strategy come sulla Nuova via della seta?

State Grid, attraverso Cdp Reti, contribuisce insomma a sostenere lo sviluppo delle infrastrutture strategiche di Roma. Ma potrà ancora essere così? I venti sono cambiati e lo dimostra anche la freddezza mostrata da Meloni nei confronti dell’ipotetico rinnovo del Memorandum of Understanding tra Italia e Cina sulla Nuova via della seta. Nel caso della famigerata Belt and Road (Bri) non si è ancora capito cosa intende fare il governo italiano. Certo è che un passo di lato è più auspicabile di un netto passo indietro, dato che qualsiasi mossa ambigua da parte di Roma potrebbe essere mal interpretata da Pechino. Che, dal canto suo, può attivare molteplici leve economiche così da generare una pericolosa ritorsione. Nel caso della Bri, pare che l’esecutivo italiano stia cercando una sorta di exit strategy, un modo per non rinnovare il memorandum ma senza danneggiare le relazioni con la Cina. Impresa difficile, a giudicare dal sempre più fragile equilibrio che regola il rapporto sino-italiano, ormai al centro della disputa sino-americana.

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Una vecchia foto di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan (Imagoeconomica).

Accordo firmato nel 2014, ai tempi di Renzi, Padoan e Gorno Tempini

L’uscita d’emergenza per Pirelli, almeno parziale, è coincisa con l’adozione del golden power. Quella che dovrà risolvere il rebus Cdp è ancora in alto mare. Per la cronaca, l’ingresso di State Grid nella cassaforte di Cassa depositi e prestiti si è materializzato alla fine del luglio 2014, quando l’amministratore delegato di Cdp, Giovanni Gorno Tempini, e il presidente del colosso cinese, Zhu Guangchao, hanno firmato un accordo in quel di Palazzo Chigi alla presenza dell’allora premier italiano Matteo Renzi. E Pier Carlo Padoan, al tempo dei fatti ministro dell’Economia, descriveva la fumata bianca come una «tappa molto importante di un’integrazione economica tra Italia e Cina che si va rafforzando quotidianamente». Altri tempi, altri governi, altri sogni.

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