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Cina: rimosso il ministro degli Esteri Qin Gang, sparito da un mese

Wang Yi è il nuovo ministro degli Esteri della Cina. Lo annunciano i media ufficiali della Repubblica Popolare dopo giorni di voci sulle sorti dell’ormai predecessore Qin Gang, scomparso dalla scena pubblica da un mese esatto. L’agenzia ufficiale Xinhua scrive di una decisione adottata alla quarta sessione del Comitato permanente della XIV Assemblea nazionale del popolo all’indomani di una riunione del Politburo, in linea con le disposizioni in vigore dal 2021.

Cina, rimosso il ministro degli Esteri sparito da un mese. Al suo posto torna Wang Yi. Mistero sulle sorti di Qin Gang.
Wang Yi (Getty Images).

Ultima apparizione pubblica il 25 giugno: aveva ricevuto il vice ministro degli Esteri russo

Non sono state fornite motivazioni per la decisione e dunque permane il mistero attorno alle sorti di Qin, rimosso dall’incarico ma soprattutto sparito dalla scena pubblica in un momento molto importante per la diplomazia di Pechino: aveva avuto un ruolo chiave nel riallacciare i rapporti con gli Stati Uniti dopo il caso del pallone spia, tanto da incontrare il segretario di Stato americano, Antony Blinken, durante la sua visita a Pechino a metà giugno. L’ultima apparizione di Quin risale al 25 giugno, giorno successivo alla fallita rivolta della Wagner, quando aveva ricevuto il vice ministro degli Esteri russo Andrey Rudenko. Quel giorno era stato ripreso sorridente al fianco del numero due della diplomazia di Mosca, dopo aver incontrato anche funzionari dello Sri Lanka e del Vietnam.

Cina, rimosso il ministro degli Esteri sparito da un mese. Al suo posto torna Wang Yi. Mistero sulle sorti di Qin Gang.
Qin Gang (Getty Images).

Qin potrebbe essere stato allontanato a causa di una relazione extraconiugale

Il governo cinese nelle scorse settimane ha giustificato la sua assenza con non meglio specificati motivi di salute. Ma sono in molti a essere certi che dietro la sua “sparizione” ci sia una relazione extraconiugale con una famosa giornalista cinese, Fu Xiaotian dell’emittente Phoenix Tv, dalla cui potrebbe essere nato persino un figlio. A novembre 2022 Fu ha avuto un bambino, senza rivelare il nome del padre, e a marzo dello stesso anno, quasi nove mesi prima, aveva intervistato Qin nel programma Talk with World Leader. Si tratta di speculazioni, ma anche la giornalista da aprile è sparita dalla circolazione.

Cina, mistero Qin Gang: il ministro degli Esteri non appare in pubblico dal 25 giugno

Dov’è Qin Gang? Se lo stanno chiedendo in molti in Cina: in un momento molto importante per la diplomazia della Repubblica Popolare, del ministro degli Esteri si sono perse le tracce. Il fedelissimo di Xi Jinping non appare in pubblico dal 25 giugno, ufficialmente per motivi di salute. Ma potrebbe esserci dietro altro. In tanti insinuano infatti che Qin sia sparito dalla circolazione perché uscito dalle grazie dei vertici del Partito Comunista, altri che sia invece l’assenza sia dovuta alla relazione extraconiugale con una famosa giornalista. Di sicuro, la ‘latitanza’ del ministro viene ampiamente commentata online sul social Weibo, dove la censura è già scattata.

Cina, mistero Qin Gang. Il ministro degli Esteri non appare in pubblico dal 25 giugno: colpa di una relazione extraconiugale?
L’incontro tra Qin Gang e Antony Blinken del 18 giugno (Getty Images).

Non si vede in pubblico dal 25 giugno: gli impegni saltati

Ministro degli affari esteri dal 30 dicembre 2022, Quin nella gerarchia diplomatica cinese è secondo solo a Wang Yi, direttore dell’Ufficio della Commissione Centrale per gli affari esteri del Partito Comunista Cinese. Ex ambasciatore negli Stati Uniti, è stato io grande assente nella raffica di incontri diplomatici di alto profilo delle ultime settimane, volti a ricucire i legami con gli Usa. È stato visto in pubblico l’ultima volta il 25 giugno, dopo aver incontrato nella capitale funzionari dello Sri Lanka, del Vietnam e della Russia. Non si è unito ai funzionari cinesi nei colloqui con il segretario al Tesoro, Janet Yellen, e non ha visto nemmeno l’inviato per il clima John Kelly. Rimandato l’incontro con il capo della politica estera dell’Unione Europea Josep Borrell, previsto a inizio luglio a Pechino, Qin non si è nemmeno presentato in Indonesia alla riunione annuale dei ministri degli Esteri dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est Asiatico.

Cina, mistero Qin Gang. Il ministro degli Esteri non appare in pubblico dal 25 giugno: colpa di una relazione extraconiugale?
Il ministro degli Esteri cinese Qin Gang (Getty Images).

Il portavoce ha parlato di motivi di salute, senza ulteriori dettagli

In questa occasione, il portavoce del ministero ha motivato l’assenza con «motivi di salute», senza fornire ulteriori dettagli. Un giornale di Hong Kong ha scritto che Qin potrebbe essere stato colpito dal Covid-19. Può essere una spiegazione, specialmente considerando la cautela di Pechino nei confronti dei positivi al virus. In tanti sostengono invece che Qin sia sparito dalla circolazione perché uscito dalle grazie dei vertici del Partito Comunista. L’agenzia giapponese Kyodo News – citando media taiwanesi – è andata invece oltre: l’assenza prolungata di Qin sarebbe dovuta a una relazione extraconiugale tra il politico e una nota giornalista televisiva dell’emittente Phoenix Tv, dalla quale sarebbe addirittura nato anche un figlio.

Fu Xiaotian, la giornalista con cui avrebbe avuto un figlio

La giornalista in questione sarebbe Fu Xiaotian, (ex) conduttrice del programma Talk with World Leader, durante il quale ha intervistato nel corso degli anni numerosi politici, anche stranieri. A novembre 2022 Fu ha avuto un figlio, senza rivelare il nome del padre. A marzo dello stesso anno, quasi nove mesi prima, aveva intervistato Qin. Si tratta di speculazioni, ma anche la giornalista da aprile è sparita dalla circolazione. E ai più attenti non sono sfuggiti gli ‘indizi’ del suo ultimo post.

«L’ultima volta che ho volato da sola su questo aereo è stato da Los Angeles a Washington, per una visita di lavoro e quella sia felicemente che tristemente si è rivelata l’ultima intervista che ho fatto con Talk with World Leaders. Anche questa volta ho volato da Los Angeles, ma con il piccolo Er-Kin». A corredo del tweet una foto del jet privato, un’immagine di una sua intervista a Qin, un selfie con il bebè.

Sul social cinese Weibo è scattata la censura sull’assenza di Qin

Sul social cinese Weibo lo stesso identico post è stato cancellato. Medesima sorte sta toccando a tutte le discussioni avviate sul tema “Che fine ha fatto Qin?”. Appena ne salta fuori una, scatta la censura. Che si è allargata, come ha rivelato il giornalista e analista politico Phil Cunningham, anche ai quotidiani. Senza alcuna motivazione, ha rivelato, da un suo pezzo pubblicato sul South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong filogovernativo, sono infatti spariti cinque paragrafi in cui sottolineava come fosse un periodo particolarmente sfortunato per un ex ambasciatore a Washington per scomparire dalla scena politica, chiedendosi se ciò fosse dovuto a malattia o ad altro.

Cina, attacco in un asilo: tra le vittime diversi bambini

L’aggressione è avvenuta in un asilo di Lianjian, nella provincia sud orientale cinese del Guangdong, dove almeno sei persone sono morte, mentre un’altra è rimasta ferita. Fra le vittime, una educatrice, due genitori e tre bambini.  L’attacco è iniziato questa mattina alle 7.40 di lunedì 10 luglio (ora locale). Secondo quanto ha reso noto la polizia, il giovane di 25 anni che ha compiuto l’attacco, armato di coltello, è stato arrestato e identificato con il cognome di Wu.

Alle 7.40 (ora locale) di lunedì 10 luglio, un giovane di 25 anni armato di coltello ha fatto irruzione in un asilo.
Cina, polizia (Getty Images).

La Cina e gli attacchi con coltello nelle scuole

Circa dieci anni fa, era stato l’allora premier Wen Jiabao, con un discorso in televisione, a promettere una migliore sicurezza nelle scuole per prevenire ed evitare questo tipo di assalti ricorrenti, ma gli attacchi sono andati avanti. L’ultimo in ordine di tempo è avvenuto lo scorso agosto in un asilo della provincia sudorientale di Jiangxi, con l’uccisione di tre persone e il ferimento di altre sei. Sempre nell’aprile del 2021 due bambini sono stati uccisi e altri 16 feriti in un assalto a Beiliu City, nella regione autonoma del Guangxi Zhuang, mentre a ottobre del 2018, erano stati feriti 14 bambini in un nido di Chongqing. Il ricorso all’utilizzo del coltello come tipologia di arma è dovuto in particolare alla severe politiche del Paese contro il possesso illegale.

Cina, esplosione in un ristorante per una fuga di gas: 31 morti

Nella giornata di ieri, mercoledì 21 giugno, una tremenda esplosione avvenuta in un ristorante di Yinchuan, città nel Nord della Cina, ha causato una strage: sono infatti almeno 31 le vittime confermate dalle autorità locali dopo la deflagrazione. Ecco gli ultimi aggiornamenti in merito al disastro.

Cina, esplosione in un ristorante: è strage

Le ragioni dietro all’esplosione del locale sono state raccontate dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, che ha spiegato in queste ore la dinamica dell’incidente con queste parole: «Una fuga di gas di petrolio liquefatto (gpl) ha provocato un’esplosione durante il servizio di un ristorante barbecue». Il botto, tremendo, avrebbe inoltre provocato il ferimento di almeno altre 7 persone, attualmente ricoverate in ospedale per ricevere quelle che sono state definite come «cure intensive».

In particolare, una delle persone ferite si troverebbe attualmente in condizioni molto critiche. Altre due persone avrebbero riportato gravi ustioni, ma non sarebbero in pericolo di vita; gli altri feriti sarebbero semplicemente stati colpiti da schegge di vetro e sarebbero dunque stati interessati dalla deflagrazione ma in modo lieve. Tutto è accaduto a pochissime ore di distanza dall’inizio delle celebrazioni della Festa delle barche drago, tre giorni di festa in occasione dei quali molte famiglie cinesi si riuniscono.

Le immagini dei soccorsi al lavoro

Nel frattempo il canale statale CCTV ha informato i cittadini riguardo alle attività dei soccorritori impegnate sul posto trasmettendo i video dei vigili del fuoco al lavoro per mettere in sicurezza l’area e per assicurarsi che fra le macerie del locale (esploso intorno alle ore 20:40 locali) non ci siano altri corpi. Nelle immagini diffuse si vedono in particolare dieci vigili del fuoco farsi strada all’interno di una densa nube di fumo nera che fuoriesce da un buco creato dall’esplosione.

Immagini, quelle trasmesse dai canali cinesi, che non differiscono molto da quelle provenienti dalla lontana città di Parigi, dove ieri un’altra fuga di gas aveva fatto esplodere un palazzo in pieno centro.

Coronavirus: 17 nuovi casi in Cina, 5 a Wuhan

Dopo settimane senza contagi torna ad alzarsi l'allerta nella città focolaio della pandemia.

In Cina dopo giorni senza contagi è tornato l’incubo coronavirus. Domenica si sono registrati 17 nuovi casi, toccando i massimi delle ultime due settimane, di cui 7 importati relativi nella Mongolia interna e 10 domestici, suddivisi tra le province di Hubei (5), Jilin (3), Liaoning (1) e Heilongjiang (1).

I casi dell’Hubei fanno capo al capoluogo Wuhan, il primo focolaio della pandemia: sono asintomatici, ha detto la Commissione sanitaria provinciale, che si aggiungono all’infezione registrata sabato nel distretto di Dongxihu, la prima dal 4 aprile, dove il livello sanitario d’allerta è stato rialzato a basso a medio.

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La Cina ci aiuta (a pagamento) ma dovrebbe chiedere scusa

Venderci respiratori e mascherine è sicuramente un passo avanti, ma non basta. Pechino sta cercando di cancellare le sue responsabilità nell'esplosione della pandemia. E la verità.

La Cina adesso ci “aiuta”, mandandoci presidi sanitari e mascherine (e qualche medico), a pagamento, mentre dovrebbe chiederci scusa e pagare i danni “di guerra” da coronavirus.

Come dimenticare, infatti, gli errori e le responsabilità di Pechino, specialmente nella gestione iniziale dell’emergenza e nel tentativo di nascondere l’epidemia?

Tutto questo mentre la straordinaria macchina della propaganda del Partito Comunista Cinese, si sta dando un gran daffare per negare l’evidenza e cancellare la memoria collettiva sull’indiscutibile origine cinese del virus, aggiungendo così la beffa al danno. Con il beneplacito del nostro ministro degli Esteri Luigi di Maio, che con una mano stacca un consistente assegno ai cinesi e con l’altra si spertica in ringraziamenti ufficiali al grande cuore della Cina, twittando con insistenza: «non siamo soli».

I TENTATIVI DI FARE DIMENTCARE LA VERITÀ

Per carità, avere mascherine, macchinari per la ventilazione e aiuto medico, seppure pagandolo, è sempre meglio di quanto stia facendo l’Europa (niente) o la Bce, che addirittura ci danneggia. Ma il tentativo (quasi riuscito ormai) di rovesciare la verità portato avanti dal Pcc ha dell’incredibile, nella sua sfrontatezza. La Cina ha cominciato a lanciare una settimana fa un’aggressiva campagna diplomatica e mediatica allo scopo di cercare di occultare definitivamente al mondo la data esatta dell’inizio dell’epidemia. Cercando di far dimenticare che tacendo per mesi (ormai si sa che i primi casi erano già noti a novembre, mentre l’epidemia è stata resa pubblica solo il 20 gennaio) ha permesso che il virus si diffondesse sia al suo interno che nel resto del mondo, durante l’intero periodo festivo del Capodanno lunare.

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Ma non basta, perché per l’arrogante Partito Comunista Cinese ammettere di essere responsabile del disastro sanitario ed economico che sta affliggendo oggi il nostro Paese – e che presto colpirà molte altre nazioni – non è nemmeno pensabile. Non ce la fanno. Tutto ciò che collega la Cina al virus deve essere messo in discussione e scomparire per sempre dai libri di storia.

LA NEGAZIONE DELLA EVIDENZA

Tutti gli ambasciatori cinesi all’estero hanno ricevuto l’ordine di diffondere il seguente messaggio attraverso il loro account Twitter (social vietato in Cina) o di cercare di far sì che venga ripetuto dai media stranieri: «Se è vero che il coronavirus è stato debellato con successo da Wuhan, la sua vera origine rimane sconosciuta. Stiamo cercando di scoprire esattamente da dove proviene». Un gigantesco tentativo di negare l’evidenza dei fatti.

COSÌ IL VIRUS CAMBIA NAZIONALITÀ

Allo stesso modo, i media cinesi – controllati dal Partito – insistono sul fatto che il mercato degli animali di Wuhan, (oggi completamente ripulito e forse in procinto di venire raso al suolo, allo scopo di non lasciare alcuna traccia) che sappiamo essere all’origine dell’epidemia, non sarebbe più l’epicentro del contagio. La parola d’ordine è Instillare con ogni mezzo il dubbio nelle menti delle persone e dei media occidentali: il  primo passo per poi alimentare tutte le teorie complottistiche attualmente in circolazione, puntando in particolar modo su un’origine americana di questo virus. Così il virus cinese diventa americano, oppure “giapponese” e persino … virus italiano!

Secondo recenti indiscrezioni, infatti, l’’ambasciata cinese a Tokyo la scorsa settimana avrebbe inviato un messaggio a tutti i cittadini cinesi in Giappone circa le linee guida da seguire se si trovano di fronte al «coronavirus giapponese». Come se il virus una volta arrivato in Giappone avesse preso il passaporto nipponico. Una mossa sconcertane che non è passata inosservata al governo di Tokyo, che ha rinviato la visita ufficiale di Xi Jinping in Giappone, prevista per aprile, e ha vietato l’ingresso ai cittadini cinesi sul suo territorio.

NO, LA GOVERNANCE CINESE NON È MEGLIO DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA

Infine, beffa nella beffa, una martellante campagna di propaganda diffusa a tappeto su tutti i mezzi di comunicazione stranieri, compresi Facebook e Twitter, invitano il mondo a “ringraziare la Cina” per i sacrifici che ha fatto nella lotta contro il virus, esaltandone la disponibilità a condividere l’esperienza con i Paesi che ne avranno bisogno: «Continuando il nostro lavoro di prevenzione in Cina (…) forniremo supporto ai Paesi stranieri nei limiti delle nostre capacità», ha affermato il viceministro cinese per gli Affari esteri. Un tentativo molto furbo di far passare il messaggio che l’epidemia è sotto controllo grazie al Partito Comunista cinese, e che per i Paesi stranieri che adesso devono affrontarla, compreso il nostro, «sarebbe impossibile adottare le misure radicali che la Cina ha adottato», come ha scritto la scorsa settimana il quotidiano governativo Global Times, cercando di far passare a livello internazionale il messaggio che il controllo assoluto garantito dal sistema illiberale di governance cinese sia migliore di quello delle democrazie occidentali e l’unico in grado di garantire la gestione di questa come di qualsiasi altra emergenza. Le ultime misure di quarantena adottate dall’Italia, invece, dimostrano il contrario.

E di fronte a questa sfacciata propaganda cinese, il sinologo Steve Tsang, professore presso il Chinese Institute di Londra, ha spiegato che «il Pcc ha sempre avuto il monopolio della verità e della storia in Cina e continua a negare l’evidenza, rifiutandosi ostinatamente di ammettere qualsiasi insabbiamento delle notizie iniziali sull’epidemia. I funzionari del partito pensano di avere ragione anche quando ovviamente hanno torto». Aggiungendo: «Ma la loro falsa verità deve venire messa in discussione in Occidente. Spetta a noi, nel mondo democratico, denunciare la sfacciata operazione di propaganda del Pcc».

La verità insomma è che l’Italia è vicina la collasso totale (e altri Paesi seguiranno) come conseguenza delle enormi responsabilità del governo di Pechino, che non può pensare di cavarsela vendendoci il carico di un aereo pieno di mascherine, qualche apparato per la ventilazione assistita e alcuni medici, come quello atterrato ieri a Roma. La Cina deve chiederci scusa e dovrebbe pagare i “danni di guerra” del coronavirus. Con buona pace del nostro Ministro degli Esteri.

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Quello che la Cina non ha detto sull’inizio del contagio di coronavirus

Secondo alcuni rapporti pubblicati dal South China Morning Post il primo malato è stato registrato il 17 novembre. Si tratta di un 55enne dell'Hubei. Ma ci potrebbero essere casi di Covid-19 ancora precedenti. Mentre una dottoressa di Wuhan accusa Pechino: «Ho denunciato l'esistenza di un nuovo virus a dicembre ma le autorità mi hanno imposto il silenzio».

«Ho denunciato l’esistenza di un nuovo virus anche a dicembre ma le autorità mi hanno imposto il silenzio». Ai Fen, dottoressa a capo del dipartimento per le emergenze dell’ospedale centrale di Wuhan, ha raccontato in una lunga intervista al South China Morning Post, come le venne ordinato di tacere per non diffondere il panico. «Se il Partito avesse ascoltato la mia denuncia, forse ora l’epidemia di coronavirus non sarebbe così diffusa».

L’IDENTIFICAZIONE DEL PRIMO INFETTO

Un’autentica bomba che rischia di mettere seriamente in crisi Pechino, proprio mentre alcuni registri del governo cinese, pubblicati il 13 marzo in esclusiva dal quotidiano in lingua inglese, individuano la prima persona infettata (anche se ufficialmente non è ancora stata identificata come paziente zero globale). Si tratterebbe di un cittadino della provincia dell’Hubei di 55 anni. Data del contagio: 17 novembre 2019. Ben prima di fine dicembre quando fu resa nota l’esistenza del nuovo virus. Ma ci potrebbero essere altri casi precedenti non registrati.

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L’ORDINE DI NON DIFFONDERE NOTIZIE

Le rivelazioni pubblicate dal Scmp riguardano anche alcuni rapporti medici che dimostrerebbero come i dottori di Wuhan, malgrado avessero raccolto campioni di casi sospetti, non furono in grado di confermare i loro risultati perché rimasti impantanati nelle maglie della burocrazia e obbligati a ottenere l’approvazione dal Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie prima di divulgare le notizie: un’autorizzazione che poteva richiedere molti giorni e a volte settimane. Nel frattempo venne loro ordinato di non diffondere al pubblico alcuna informazione sulla nuova malattia.

L’ALLARME LANCIATO SU WECHAT

Lo confermano anche le parole della dottoressa Fen che ha raccontato di avere passato in un primo tempo al magazine cinese People la foto della diagnosi di un paziente che aveva in cura, affetto da una polmonite causata da un coronavirus simile alla Sars. Il magazine prima ha postato la foto sul suo profilo Wechat (social cinese), ma subito dopo l’ha cancellata, spingendo gli utenti, infuriati, a ripubblicare l’articolo su altre piattaforme. Wechat è gestito dalla People’s Publishing House, un’azienda di Stato e la scomparsa del post ha coinciso con la prima visita del presidente Xi Jinping a Wuhan dall’inizio della crisi, durante la quale ha elogiato i residenti per il loro duro lavoro e i sacrifici compiuti: il messaggio della dottoressa di Wuhan avrebbe rischiato di offuscare l’immagine trionfalistica ripetuta in modo martellante dalla propaganda di Pechino. L’oftalmologo Li Wenliang, il medico divenuto “eroe” per avere a sua volta cercato di diffondere queste notizie ed essere poi morto in corsia curando i malati, era tra i medici che avevano condiviso la sua foto.

IL SILENZIO PER «NON DIFFONDERE IL PANICO»

La dirigente ha anche raccontato di avere immediatamente avvisato i servizi sanitari e il dipartimento di controllo delle malattie infettive. «Ho letteralmente “afferrato” il direttore di pneumologia dell’ospedale, che stava passando per il mio ufficio, e gli ho detto che uno dei suoi pazienti era stato infettato da un virus simile a Sars», ha ricordato. La risposta del superiore fu però di tacere. Come ha ricostruito la dottoressa, la commissione sanitaria di Wuhan aveva emesso una direttiva secondo cui gli operatori non dovevano rivelare nulla sul virus o sulla malattia che causava, per evitare di scatenare il panico. Poco dopo, l’ospedale vietò a tutto il personale la divulgazione di qualsiasi informazione. Due giorni dopo, un funzionario accusò esplicitamente Fen di «diffondere voci e seminare panico», riferendosi alla fotografia che aveva pubblicato online. «Ho visto tutto nero», ha ammesso la dottoressa. «Non mi stava criticando per non aver lavorato duramente… mi ha fatto sentire una persona orribile, che stava rovinando il futuro di Wuhan. Ero disperata». Hu Ziwei, un’infermiera dello stesso ospedale che si è infettata circa una settimana dopo dalla denuncia di Fen, ha confermato questa versione. «L’ospedale in un primo momento ha annotato sulla mia cartella clinica che soffrivo di “polmonite virale”», ha detto, «ma in seguito ha cambiato la descrizione in generiche “infezioni”».

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