La polizia di Hong Kong ha fatto irruzione nella casa di famiglia di Nathan Law, attivista pro-democrazia in esilio nel Regno Unito: i genitori e il fratello sono stati portati in caserma, interrogati e poi rilasciati. Le autorità hanno recentemente emesso una taglia di un milione di dollari hongkonghesi (oltre 115 mila euro) per Law, fuggito dal territorio autonomo nel sud-est della Cina nel 2020. Da allora avrebbe interrotto ogni contatto con la famiglia.
La taglia posta dalle autorità è stata condannata da Regno Unito, Stati Uniti e Australia
I media locali hanno riferito che gli agenti in borghese sono arrivati nel complesso residenziale in cui vive la famiglia di Law alle 6 circa e che, dopo gli interrogatori, i suoi parenti non sono stati arrestati. Il 3 luglio, la polizia di Hong Kong ha emesso mandati di arresto per Law e altre sette personalità molto note del movimento pro-democrazia dell’ex colonia britannica, adesso residenti all’estero, accusandoli di aver violato la legge sulla sicurezza nazionale del territorio mentre erano in esilio: oltre a Law si tratta degli attivisti Anna Kwok, Elmer Yuen, Mung Siu-tat e Finn Law, degli ex deputati Ted Hui e Dennis Kwok, dell’avvocato Kevin Yam. I mandati sono stati accompagnati da taglie da un milione di dollari hongkonghesi per ciascuno dei ricercati. La mossa della autorità è stata condannata dai governi di Regno Unito, Stati Uniti e Australia, dove hanno trovato rifugio la maggior parte degli oppositori politici. «Non tollereremo alcun tentativo da parte della Cina di intimidire e mettere a tacere le persone», ha ha detto il ministro degli Esteri britannico James Cleverly. «Il Regno Unito difenderà sempre il diritto universale alla libertà di espressione e difenderà coloro che sono presi di mira». Nei giorni successivi all’emissione dei mandati, cinque persone a Hong Kong sono state arrestate con l’accusa di aver ricevuto fondi per sostenere gli attivisti all’estero.
Nathan Law è stato il più giovane legislatore nella storia di Hong Kong
Nato a Shenzhen nel 1993 e già segretario generale della Federazione degli Studenti di Hong Kong, Law è stato uno dei capi delle proteste durante la “Rivoluzione degli Ombrelli” nel 2014. In seguito è stato cofondatore e presidente di Demosist?, partito politico pro-democrazia nato a seguito delle proteste. Eletto a soli 23 anni legislatore di Hong Kong, il più giovane della storia, per via della sua leadership del movimento Occupy Center è stato incarcerato per un breve periodo con l’accusa di aver preso parte a una veglia in ricordo massacro di piazza Tienanmen. Poi, dopo la legge sulla sicurezza nazionale imposta dal governo centrale di Pechino, nell’estate del 2020 ha lasciato lasciato Hong Kong.
Volantini colorati, cartoline, tagliandi. Tra le strade di Seul, capitale della Corea del Sud, è facile imbattersi in quelle che a prima vista assomigliano a normali pubblicità ma che in realtà sono annunci che offrono prestiti in denaro. Sintomo del pesantissimo macigno economico che sta turbando la vita di centinaia di migliaia di famiglie. Lo stesso che ha fatto schizzare il Paese in vetta alla classifica degli Stati con il più alto rapporto tra debito familiare e prodotto interno lordo. L’ex tigre asiatica nel primo trimestre del 2023 ha toccato il 102,2 per cento, più di Hong Kong (95 per cento) e Thailandia (85,7 per cento). Non solo. La Corea del Sud è stato stato l’unico Paese in cui il debito familiare ha superato il Pil (pari a circa 1,6 trilioni di dollari) con una quota importante legata ai mutui immobiliari. E così, mentre nel mondo Seul è sinonimo di K-Pop, Samsung e Hyundai, sempre più sudcoreani finiscono sommarsi dai debiti.
La bolla immobiliare e le responsabilità della politica
Alla base del problema dell’elevato debito familiare è la bolla immobiliare. Nell’area metropolitana di Seul, dove vivono oltre 25 milioni di abitanti (la metà della popolazione totale), i costi delle abitazioni sono tra i più alti al mondo. Il rapporto tra prezzi e reddito medio annuo tocca nella Capitale il 12,04 rispetto all’8,4 di San Francisco, l’8,2 di Londra e il 5,4 di New York. Per la Korea Real Estate Commission, il 42,1 per cento di tutti gli acquisti di case avvenuti nel gennaio 2021 sono stati effettuati da giovani tra i 20 e 30 anni. Una fascia d’età che ha dovuto fare uno sforzo immane, visto che l’importo medio dei prestiti ha raggiunto il 270 per cento del reddito annuo. Come ha sottolineato un report del think tank ING, non è solo in Corea che, negli ultimi anni, i prezzi delle case sono aumentati rapidamente. È accaduto anche in altri Paesi Ocse come Stati Uniti, Europa e Australia. Nel caso sudcoreano, però, in un contesto di mercato di liquidità particolarmente abbondante, la politica ha stimolato la domanda di alloggi in alcune aree metropolitane, come Seul, determinando l’impennata dei prezzi. Oggi, nonostante il costo degli appartamenti sia in calo – lo scorso anno è diminuito di oltre il 20 per cento – le case restano inaccessibili per la maggior parte delle persone. In questo scenario, l’elevato livello di indebitamento delle famiglie è considerato da tempo un importante fattore di rischio per l’economia.
La Bank of Korea aumenta i tassi e limita i prestiti ma così alimenta lo strozzinaggio
Il film Parasite e la serie di Netflix Squid Game inquadrano, in maniera indiretta, i drammi della crisi abitativa e dell’indebitamento. Due spade di Damocle che pendono sulla testa di numerosi cittadini sudcoreani, costretti a intraprendere sul serio un gioco di sopravvivenza per non farsi schiacciare. L’oscura attività dei prestiti è difficile da quantificare. Per farsi un’idea basta però ricordare che nel 2020, l’autorità di regolamentazione del governo ha ricevuto quasi 300 mila segnalazioni di pratiche illegali, il 25 per cento in più dell’anno precedente. Per far fronte ai rischi finanziari, la Bank of Korea ha limitato la concessione di prestiti e annunciato aumenti dei tassi di interesse. Sono però misure che potrebbero non essere sufficienti, avvertono gli esperti, dal momento che chi ha bisogno di denaro cercherà di ottenerlo comunque per vie traverse. Un cane che si morde la coda.
Da saldatore in una fabbrica di trattori a paperone della ristorazione. Zhang Yong, il più ricco ristoratore cinese, è fondatore e amministratore delegato di Haidilao International Holding Ltd, meglio nota come Haidilao, una catena di ristoranti hot pot che lo ha fatto entrare nel club dei miliardari. E pensare che Zhang – patrimonio stimato: oltre 27 miliardi di dollari – non aveva mai mangiato in un vero ristorante fino all’età di 19 anni. Tre decenni dopo aver abbandonato la scuola superiore (secondo altre fonti avrebbe terminato gli studi liceali), aver interrotto la sua precedente attività manuale ed essersi lanciato nel mondo della ristorazione, per altro senza alcuna capacità pregressa, eccolo sulla copertina delle riviste economiche e in vetta alle classifiche del business. Nel 2019, Forbes Asia lo ha inserito in cima alla lista dei 50 paperoni più ricchi di Singapore. Merito di Haidilao, l’invenzione di Zhang, presto diventata la più grande catena di hot pot in Cina, che conta oggi circa 1.300 ristoranti al di là della Muraglia e un centinaio di altri negozi nel resto del mondo, tra cui Regno Unito, Stati Uniti, Singapore ed Emirati Arabi. Le stime parlano di 60 mila dipendenti complessivi, un giro d’affari annuale di quasi 1,5 miliardi di euro e un attivo di 2,5 miliardi.
Hot pot piccante, tipico della provincia cinese del Sichuan
Ai clienti di Haidilao viene servito un brodo bollente che viene utilizzato per cucinare varie carni, pesce, tofu, verdure e noodles. È questo, in sostanza, l’hot pot, un piatto semplice che, nella sua versione piccante, è tipico della provincia cinese del Sichuan, patria di Zhang. L’imprenditore, nato in Cina ma adesso cittadino di Singapore, ricorda quasi con tenerezza la sua prima cena in un ristorante; un vero ristorante, e non la mensa aziendale proletaria della rugginosa fabbrica di macchine agricole per la quale prestava servizio per appena 14 dollari al mese. Fu un’esperienza unica che il giovane non avrebbe mai dimenticato, anche se il personale di quel locale di campagna era scortese e lo spezzatino servito per niente invitante.
Il litigio con gli ex datori di lavoro per un appartamento
In ogni caso, Zhang rimase in fabbrica per sei anni. Nel 1994 litigò con i datori di lavoro dopo che gli era stato negato un appartamento aziendale per sé e la sua allora fidanzata. A quel punto, in seguito a un paio di tentativi imprenditoriali falliti, e privo di qualsiasi esperienza nella ristorazione, aprì il suo primo ristorante, assieme a due amici e a quella che sarebbe diventata sua moglie. Si trattava di un negozio minimale. con appena quattro tavoli. «Ero senza un soldo, quindi gli altri sono stati i veri investitori del progetto. Anche se non ho contribuito molto in termini di denaro, ho assunto la posizione di direttore generale promettendo che i nostri beni sarebbero cresciuti. Ho giurato che se non ce l’avessi fatta li avrei risarciti tutti», ha spiegato Zhang in un’intervista del 2011 al quotidiano cinese The Economic Observer.
Umiltà al comando: al centro di tutto c’è il cliente
«All’inizio avevamo solo un punto vendita a Jianyang. Sebbene fosse solo un piccolo punto vendita, siamo riusciti a escludere dal mercato i ristoranti hotpot circostanti», ha raccontato Zhang, che nel giro di qualche mese si ritrovò a gestire il più grande ristorante di hot pot della città. «Il nostro ristorante aveva l’arredamento migliore e aveva persino l’aria condizionata», ha sottolineato il fondatore. E questo è un aspetto fondamentale che aiuta a capire da dove derivi il successo di Hidailao: l’attenzione verso i clienti. Non solo per il cibo offerto, ma anche per altri dettagli, come la fornitura gratuita di manicure, lucidatura delle scarpe e poltrone massaggianti per le persone in attesa di un tavolo. Si tratta, in sostanza, della stessa attenzione che il giovanissimo Zhang non era riuscito a trovare quando mangiò per la prima volta in un ristorante. Detto altrimenti, i negozi Haidilao sono plasmati dalla visione del fondatore, desideroso di offrire ai visitatori un’esperienza di ristorazione invitante e memorabile.
Ai dirigenti dei negozi concessi benefit extra
Nel 1998 ha aperto il suo secondo punto vendita. Poi un altro. E un altro ancora, fino a creare la catena odierna. Il fondatore del gruppo conosce le sfide che devono affrontare i migranti cinesi nelle grande città. Per questo fornisce ai dirigenti dei negozi – le figure più impegnate nel lavoro – un sussidio mensile extra per la cura dei loro genitori, e ha creato pure un fondo di emergenza per quando le famiglie dei dipendenti affrontano difficoltà a causa di eventuali disastri naturali. Non è finita qui, perché Haidilao mette a disposizione dello staff appartamenti, e cioè lo stesso benefit che il giovane Zhang non era riuscito a ottenere dai suoi vecchi datori di lavoro. «Vengo dalla campagna, dove le persone credono che se prendi soldi da altre persone e non porti loro benefici, allora sei un bugiardo», ha dichiarato al Wall Street Journal nel 2013.
Raccolto un miliardo di dollari per espandersi nel mondo
Nel 2018, la società ha lanciato un’Ipo (offerta pubblica iniziale) con la quale ha raccolto quasi un miliardo di dollari, usato per espandere ulteriormente la presenza a livello internazionale. La missione è riuscita, anche se Zhang, che divide il suo tempo tra la Cina e Singapore – dove vivono moglie e figlio – e controlla con Miss Shu il 58 per cento di Haidilao, è stato costretto a rallentare la sua corsa a causa della pandemia. L’ambizione, però, è rimasta sempre la stessa. «McDonald’s, Coca-Cola e Starbucks sono tutti un riflesso della cultura americana. Mentre l’economia cinese cresce e il mondo inizia a concentrarsi maggiormente sulla Cina, credo che ci sia una possibilità anche per i ristoranti cinesi», ha commentato Zhang. Pronto a far conoscere gli hot pot del Sichuan a ogni latitudine.