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Caso Segre-Seymandi, lei attacca ancora: «Vittima di femminicidio mediatico»
Il caso Segre-Seymandi non si sgonfia. Ora a parlare è la donna, che sostiene di essere vittima di un «autentico femminicidio mediatico». E secondo La Stampa starebbe valutando un’azione legale insieme al proprio avvocato, Claudio Strata. La storia di come il suo ex compagno abbia interrotto la relazione davanti a decine di amici, accusandola di tradimento, sta facendo il giro del mondo.
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L’analisi di Seymandi: «Ha messo tutto in evidenza in prima pagina»
La donna ripercorre quanto successo: «Nella lettera di Massimo Segre, per l’ennesima volta la mia vita e il nostro comune percorso insieme erano messe in evidenza a tutta pagina, sulla cronaca nazionale, mescolate, nell’articolo, con la pubblicità per le future iniziative imprenditoriali delle aziende del mio ex compagno. Massimo in quella grande, disorientante, pagina di giornale parla molto di sé stesso: sostiene che “non vi è violenza nell’affermare la verità pubblicamente”, riferendosi alla decisione di mettere in piazza il nostro privato, che forse ha preso convinto dai discorsi di chi non ha mai voluto la nostra felicità».

Seymandi attacca: «Anello scomparso 15 giorni prima di quella sera»
E poi: «Parla, Massimo – forse con l’intento di attirarsi le simpatie di qualcuno – “dell’anello di fidanzamento di proprietà di sua mamma”, il nostro anello di fidanzamento, di cui non perde l’occasione di sottolineare il valore materiale …, anello al quale ero affezionatissima come a una delle mie cose più care, misteriosamente sparito (guarda caso) da casa nostra 15 giorni prima di quella tristissima serata salita agli onori delle cronache, a riprova, forse, che c’è chi la vendetta la programma minuziosamente, e perversamente, con largo anticipo».
Cristina Seymandi parla di «messaggi violenti»
Seymandi insiste, in un altro passaggio dell’articolo: «In questi giorni di enorme pressione, da donna emotivamente risolta e professionalmente affermata, mi sono trovata in molte occasioni, durante le lunghe giornate nelle quali ho cercato di ritrovare equilibrio, e anche nelle notti passate insonni, a pormi un’insistente domanda: ma se tutto ciò fosse invece capitato a una ragazza o ragazzo di 20 anni, a una giovane donna o uomo per mille motivi più fragile di me, cosa sarebbe successo?».
E poco dopo: «Ci sono stati messaggi violenti, tipici di quella mascolinità tossica che ancora pervade la nostra società: minacce, insulti, epiteti di ogni genere, offese, umiliazioni. E non sono mancate aspre critiche anche da parte di donne. Non voglio drammatizzare, ma le cronache ci raccontano di persone in difficoltà che in situazioni di questo genere possono arrivare a gesti di autolesionismo o, nei casi peggiori, a togliersi la vita, non riuscendo a reagire a una umiliazione e diffamazione pubblica sui mass media e tramite social e web».