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Guerra in Ucraina, quell’editoriale dei due americani che spiega bene la stanchezza dell’Occidente
Relegato nelle pagine dei commenti, la Repubblica ospita un intervento a quattro mani sulla guerra in Ucraina, che dal 7 ottobre, cioè dopo l’attacco di Hamas a Israele, è diventata una guerra “dimenticata”. Gli autori sono Richard Haass, un diplomatico di peso che ha rivestito ruoli apicali durante e dopo l’amministrazione di Bush figlio, e un professore della Georgetown University di Washington, Charles Kupchan, che nel suo libro più conosciuto, La fine dell’era americana (pubblicato in Italia da Vita e Pensiero, la casa editrice milanese dell’Università Cattolica) teorizzava l’ineluttabile declino dell’impero a stelle e strisce incominciato all’indomani della caduta del Muro.

Altro che Crimea riconquistata e spezzeremo le reni a Mosca
L’articolo è interessante anche per la tecnica antifrastica cui sembra ispirarsi, ossia dire una cosa per affermare esattamente il suo contrario. I due autori, dopo aver fatta propria la tesi che l’Ucraina non dovrebbe rinunciare al ripristino della sua integrità territoriale, inanellano tutta una serie di argomentazioni atte a demolirla. Vediamo di riassumere: Kyiv questa guerra non la potrà mai vincere, la sua strombazzata controffensiva sul campo si è impantanata in una situazione di stallo che l’inverno alle porte renderà ancora più palese, Volodymyr Zelensky invece di pensare a sconfiggere i russi si preoccupi di riorganizzare e difendere l’80 per cento del territorio che è rimasto sotto il suo controllo. Altro che Crimea riconquistata e spezzeremo le reni a Mosca. Qui si tratta di salvare l’esistenza dello Stato ucraino fermando la guerra, mettendolo in sicurezza e procedendo alla sua ricostruzione.

Ci si accontenti di quello che si ha e si è riusciti a salvare
Se fossero italiani, Haass e Kupchan verrebbero inseriti di diritto in cima alla lista dei filo putiniani ed esposti al ludibrio da coloro che senza se e senza ma sono per la vittoria totale di Kyiv sugli invasori fino alla riconquista dell’ultimo centimetro di terra occupato. In realtà i due si fanno corifei della stanchezza dell’Occidente verso un conflitto di cui nemmeno la fornitura delle armi più sofisticate può ribaltare le sorti a favore dell’Ucraina. L’appello finale non è però si fermino i cannoni e si dia spazio alla diplomazia, cosa facilmente confutabile da quanti sostengono a ragione che Vladimir Putin non ha alcuna intenzione di sedersi al tavolo di una ipotetica trattativa. Ma ci si accontenti di quello che si ha e si è riusciti a salvare (un eufemismo, vista la devastazione che ha cancellato città e villaggi ucraini) e l’Occidente si impegni a difenderlo onde dissuadere definitivamente Mosca dalla tentazione di prendersi più di quel 20 per cento che ora controlla.
Messaggio chiaro per Zelensky, tradotto dal diplomatichese
Finale che farà discutere e darà fuoco alle polveri della polemica: «Gli Stati Uniti hanno bisogno di darsi da fare adesso con l’Ucraina per indirizzarsi verso una nuova strategia che rifletta le realtà militari e politiche oggettive. Fare altrimenti significa scommettere in modo sconsiderato sul futuro dell’Ucraina». Tradotto dal diplomatichese: caro Zelensky, si accontenti e finiamola qui il prima possibile.