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Intimidazione e disinformazione, la campagna online della Cina contro gli Usa
La Cina sta mettendo in atto la più grande campagna di intimidazione e disinformazione mai vista sul web, allo scopo di mettere a tacere il fronte degli oppositori di Pechino, che si è espanso sotto Xi Jinping. Nel mirino dei troll della Repubblica Popolare, in particolare, c’è chi si è trasferito negli States. Lo scrive la Cnn, che ha visionato documenti del Dipartimento di Giustizia Usa, alla vigilia dell’atteso incontro tra il presidente americano Joe Biden e l’omologo cinese, in programma a San Francisco il 15 novembre.
Nel mirino chiunque osi criticare l’operato del Partito Comunista Cinese
Dalle accuse di tradimento agli insulti razzisti e omofobi, i troll al soldo di Pechino non si fanno mancare niente. Di tutto pur di instillare nel “nemico” uno stato di costante paura e paranoia. Centinaia di migliaia gli account che, sparsi su tutte le principali piattaforme, prendono di mira chiunque abbia l’ardire di criticare l’operato del Partito Comunista Cinese o di contrastare gli interessi economici del Dragone: dai comuni cittadini ai politici che li rappresentano, fino a intere aziende. Senza dimenticare i giornalisti come Jiayang Fan del New Yorker, che ha raccontato di aver iniziato a subire molestie online da quando ha coperto le proteste di Hong Kong del 2019. La campagna va avanti da almeno quattro anni, solo negli ultimi mesi i procuratori federali e la società madre di Facebook, Meta, hanno avuto certezza che l’operazione Spamouflage (crasi di spam e camouflage, così è stata chiamata) sia stata orchestrata direttamente da Pechino.
I nuovi account creati ogni giorno superano quelli che vengono cancellati
Ad agosto, Meta ha annunciato di aver rimosso quasi 8 mila account nel solo secondo trimestre dell’anno. Google, che possiede YouTube, ha riferito alla Cnn di aver chiuso più di 100 mila account associati al network negli ultimi anni. E X ha dichiarato di aver bloccato centinaia di migliaia di account cinesi «sostenuti dallo Stato». Toppe che però non bastano: i nuovi account creati ogni giorno superano infatti quelli che vengono cancellati. E questo nonostante il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti non sia stato a guardare, puntando il dito contro 44 funzionari del ministero della Pubblica sicurezza di Pechino che, nelle vesti di troll, a più riprese hanno messo i bastoni tra le ruote ai dissidenti cinesi trasferiti negli Stati Uniti. Tra questi l’attivista Chen Pokong, che in patria ha trascorso quasi cinque anni in prigione: durante un suo evento su Zoom dedicato all’anticomunismo, i troll hanno preso in giro e minacciato di morte i partecipanti. Secondo il Dipartimento di Giustizia la campagna, che ha il proprio quartier generale a Pechino, coinvolgerebbe centinaia di agenti.
Così la strategia di Pechino è diventata sempre più imprevedibile
Il rapporto visionato dalla Cnn descrive anche come la campagna abbia promosso contenuti negativi sugli sforzi dell’amministrazione Biden per accelerare la produzione mineraria, cosa che avrebbe alleviato la dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina. Ma se in passato la rete Spamouflage si concentrava principalmente su questioni rilevanti a livello nazionale per il Dragone, in tempi più recenti si è allargata anche a questioni prettamente statunitensi. Tramite, ad esempio, post che esaltavano le gesta dello “sciamano” di QAnon, eroico nel ribellarsi direttamente in Campidoglio alla «democrazia in stile occidentale». In occasione del secondo anniversario della morte di George Floyd, invece, è stata l’occasione per mettere in risalto la brutalità delle forze dell’ordine a stelle e strisce. A proposito di cambio di strategia, la campagna è arrivata anche su Pinterest, piattaforma generalmente non associata alla disinformazione, e ha adottato tecniche controintuitive, come quella di promuovere durante le Olimpiadi invernali di Pechino l’hashtag #GenocideGames (riferimento agli uiguri detenuti nei campi di internamento) in tweet che non avevano nulla a che fare con il problema in sé, allo scopo di ridurre le visualizzazioni dei messaggi che invece ne parlavano. Che dietro ci sia la mano del Partito Comunista Cinese è assodato. Tra l’altro, un rapporto pubblicato da Meta illustra l’allineamento dei post con l’orario lavorativo in Cina: «Esplosioni di attività a metà mattina e nel primo pomeriggio, ora di Pechino, con pause per il pranzo e la cena, e poi un’ultima esplosione di attività la sera». L’ambasciata cinese a Washington ha negato ogni legame tra la cosiddetta campagna Spamouflage e il ministero della Pubblica sicurezza. Ora, nel caso, Biden potrà chiedere lumi a Xi.