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La guerra tra Hamas e Israele alimenta il ritorno del terrorismo?
L’attacco di Hamas contro Israele e la reazione durissima di Tel Aviv avranno ripercussioni sul terrorismo jihadista internazionale? Domanda più che lecita all’indomani dell’attentato di Bruxelles dove, la sera del 16 ottobre, Abdesalem Lassoued, un 45enne tunisino già segnalato in passato per sospetta radicalizzazione, ha ucciso a colpi di kalashnikov due cittadini svedesi al grido di «Allah Akbar», rivendicando sui social la sua appartenenza allo Stato islamico. Lupo solitario o meno, ora l’Europa ha alzato al massimo i livelli di allerta ripiombando nel novembre 2015, anno delle stragi di Parigi.

Hamas potrebbe allargare la sua rete in Cisgiordania
Una cosa per ora è certa: con l’operazione Diluvio di Al-Aqsa Hamas potrebbe guadagnare qualche alleato in più in Cisgiordania e nei territori limitrofi. A sostenerlo è Raffaello Pantucci, analista esperto di terrorismo del Royal United Services Institute, think tank britannico sulla sicurezza. «Hamas», spiega Pantucci a Lettera43, «ha avuto un grande successo e il disastro che seguirà a Gaza probabilmente porterà nuovi sodalizi nel movimento islamista». D’altra parte Hamas è già stata aiutata nella sua ultima azione dal Jihad Islamico palestinese (PIJ), e adesso è possibile l’apertura di un nuovo fronte del conflitto in Cisgiordania, con la collaborazione di altre fazioni. Secondo quanto ha riferito nei giorni scorsi il canale Mayadeen, le Brigate al-Quds, il braccio armato del PIJ, si sono rivolte ai combattenti della Cisgiordania, invitando le brigate Jenin e Lion’s Den, così come tutti i palestinesi, a imbracciare le armi contro i coloni israeliani. Un asse che si allargherebbe in Libano con Hezbollah e forse ad altri miliziani in Siria e in Iraq.

Il sostegno, per ora a parole, di Al Shabaab e le minacce dell’Iran
Su scala internazionale il gruppo jihadista somalo Al Shabaab è stato l’unico fuori dai Territori palestinesi a essersi espresso apertamente a sostegno di Hamas. Con una dichiarazione diffusa da Al Kataib, rete mediatica del gruppo, ha elogiato l’attacco contro Israele, che ha «risanato il cuore dei credenti». Non è la prima volta che Al Shabaab dice la sua sulla questione mediorientale ma sebbene anche l’unità antiterrorismo del vicino Kenya abbia emesso un’allerta in cui invita alla prudenza per possibili attentati, secondo Pantucci il gruppo somalo «ha fatto una sparata nel buio» e non agirà per la causa palestinese. Anche i leader talebani di Kabul hanno dato il loro tacito sostegno ad Hamas incolpando Israele, senza dimenticare la minaccia lanciata da Teheran: «Nessuno può garantire il controllo della situazione» se Israele invadesse la Striscia, ha detto il ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian, dopo aver incontrato a Doha il leader di Hamas Ismail Haniyeh. Dallo stesso ministero è poi arrivata l’accusa agli Stati Uniti di essere «responsabili per i crimini del regime sionista, dal momento che hanno sostenuto il regime con tutto il loro potere contro la nazione palestinese».

L’incognita Daesh e al-Qaeda
Discorso a parte va fatto per il sedicente Stato islamico. Daesh, infatti, dopo aver tentato di insinuarsi tra i palestinesi insoddisfatti di Fatah e Hamas, è finito schiacciato da quest’ultima, spiega ancora Pantucci. «È stato attraente per qualcuno nel passato, ma non credo ora possa acquisire forza localmente o aiutare Hamas», soprattutto dopo la sua sconfitta sul campo in Siria e in Iraq. Tantomeno è probabile lo faccia al-Qaeda, dormiente da tempo e diventata ormai «l’ombra di se stessa». Ci sono poi da considerare le rivalità intra-jihadiste. Anche se tutti gruppi islamici sono uniti a parole dalle stesse battaglie, dalla Palestina al Kashmir, hanno spesso interessi e poste in gioco molto diversi. Inoltre Hamas, secondo Pantucci, è a ben guardare «un gruppo che non ha mai avuto necessità di appoggi dai maggiori gruppi islamisti. Porta avanti una sua lotta grazie a un popolo arrabbiato che produce migliaia di radicalizzati». Questo lo rende un movimento sufficientemente potente. «Non ha bisogno del sostegno di gruppi stranieri perché gode già dell’aiuto di potenze esterne che lo finanziano», come l’Iran. Al momento la forza di Hamas è dimostrata proprio dai paragoni che in Occidente hanno fatto con l’Isis sia per l’organizzazione che per l’efferatezza delle sue azioni.
Lo spettro del terrorismo e il rischio dei lupi solitari
Altro discorso è la possibile ripresa degli attentati in Occidente. «In termini internazionali francamente non vedo un cambio di passo», commenta l’esperto, ricordando però alcuni recenti attacchi a «opera di cosiddetti lupi solitari», dall’Egitto alla Francia, fino al Belgio. Ad Alessandria, il giorno dopo il massacro di civili da parte di Hamas, un agente di polizia ha sparato su un gruppo di turisti israeliani uccidendone due, mentre in un liceo di Arras, nel nord della Francia, un professore è stato ucciso a coltellate da Mohammed Mogouchkov, 20enne di origine cecena. Fino a Bruxelles dove l’attentatore è stato ‘neutralizzazione’ la mattina del 17 ottobre dopo una caccia all’uomo durata tutta la notte. Episodi gravi che ancora non sappiamo quanto siano legati alle rivendicazioni palestinesi, ma che potrebbero essere stati innescati dalla crisi in Medio Oriente. Non lo esclude più la procura federale di Bruxelles: Lassoued aveva infatti condiviso sui social messaggi di sostegno al popolo palestinese. Lo stesso aveva fatto, oltre a giurare fedeltà allo Stato Islamico, l’assalitore di Arras. Solo venerdì Hamas aveva indetto un “giorno della rabbia” invitando al martirio chi avesse a cuore la causa, ma l’appello è rimasto per ora largamente inascoltato, anche perché, precisa Pantucci, «preparare un grande attentato richiede tempo e mezzi». Ma è «molto probabile che i due attacchi in Europa siano connessi a quanto succede a Gaza e Israele. Non necessariamente nel senso che qualcuno abbia diretto le operazioni o dato un ordine da remoto, ma che siano scaturiti per emulazione». Non si tratterebbe quindi propriamente di cellule dormienti di Daesh, ma di individui radicalizzati già intenzionati a colpire che potrebbero aver solo accelerato i tempi, «trovando una ragione in quanto accade in Medio Oriente», spiega l’esperto.

Come gestire la radicalizzazione
La gestione della radicalizzazione e dell’integrazione degli immigrati in Europa è un tema che tornerà sotto i riflettori. Pare tra l’altro che Abdesalem Lassoued fosse arrivato in Europa nel 2011 sbarcando a Lampedusa. Per Pantucci, anche se a livello europeo si sta già facendo molto, «i servizi di sicurezza francesi, per esempio, dovranno ripensare a come monitorare i sospetti di terrorismo, visto che l’attentatore di Arras era già considerato un rischio, ed è un lavoro difficile». Il problema della radicalizzazione è però quasi impossibile da risolvere completamente, sostiene l’analista, e per questo bisogna gestirlo oltre che dal punto di vista della sicurezza anche da quello sociale, cercando di includere chi arriva e chi già vive da generazioni in Europa, ma si sente escluso. «La società deve assicurarsi di dare a tutti un senso di partecipazione, permettendo di esprimere anche la rabbia contro il sistema politico in un modo che non richieda la violenza».
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