Netanyahu impallinato dalla stampa israeliana

Israele si è compattato a livello sociale e militare in risposta all’offensiva scatenata di Hamas. Ma sotto attacco, fin dall’inizio dell’operazione Diluvio di Al-Aqsa, è finito anche il primo ministro Benjamin Netanyahu. La stampa locale, infatti, non ha mancato di affondare il colpo su Bibi, ritenuto responsabile, o quantomeno corresponsabile, dello smacco subito da Tel Aviv che pur vantando una intelligence e un esercito tra i più preparati al mondo si è fatta cogliere totalmente impreparata.

Le responsabilità di Netanyahu

A Netanyahu sono rinfacciate tre cose: in primo luogo, una politica interna “ostaggio” dell’ultradestra nazionalista e religiosa, dunque un uso spregiudicato dell’esercito come forza di controllo degli insediamenti dei coloni a scapito della sicurezza al confine con Gaza. In secondo luogo, il flop nella gestione informativa e dell’intelligence nonostante gli avvertimenti dell’Egitto su un pericolo imminente. Infine, lo sdoganamento di Hamas come interlocutore a scapito dell’Autorità Nazionale Palestinese, sicuramente corrotta ma ben distante dalla natura radicale dei miliziani di Gaza. Insomma, Netanyahu è accusato di aver nutrito per anni il demone che ha colpito Israele il 7 ottobre. E l’attacco è bipartisan.

Per Haaretz Netanyahu è un «gang leader» e un «criminale corrotto»

A mettere il primo ministro sul banco degli imputati fin dal primo giorno di guerra è stato il principale quotidiano israeliano, Haaretz. La testata, che ha un orientamento moderato d’impronta liberaldemocratica, ha affondato il colpo con un editoriale dal titolo inequivocabile: Le responsabilità di Netanyahu nel disastro. E quando Bibi ha provato a usare la carta dell’unità nazionale come risposta all’aggressione di Hamas, Haaretz ha colto la palla al balzo: sì all’unità nazionale, ma basta con Netanyahu premier. L’11 ottobre Haaretz è arrivato a definirlo un «gang leader», corrotto e inadatto a guidare un Paese in guerra. Specie alla luce dei discorsi incendiari con cui assieme ai suoi ministri dell’ultradestra ha risposto alla barbarie di Hamas. L’editorialista Zvi Bar’el lo ha definito senza mezzi termini un «criminale corrotto che sta trascinando Israele in una guerra di cui nessuno conosce l’obiettivo e men che meno il risultato». I commenti si moltiplicano, di ora in ora. Smitry Shumsky per esempio fa notare come «eafforzando Hamas, Netanyahu ha scommesso sconsideratamente sulla vita degli israeliani – e infatti, lo scorso Shabbat, più di 1.000 di loro hanno pagato con la vita il prezzo di quella folle scommessa». Sul quotidiano sono state pubblicate anche 20 domande per Netanyahu (che ricordano con i dovuti distinguo le 10 domande poste da Giuseppe D’Avanzo a Berlusconi su Repubblica nel 2009) tra cui: era stato avvertito dal ministro dell’Intelligence egiziano una settimana prima dell’imminente attacco? Perché non ha fatto nulla per impedirlo? Cosa pensava quando ha istituito un governo di estrema destra con ministri nazional-religiosi e kahanisti, nominando Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich in posizioni chiave, permettendo alla sua coalizione di abusare dei palestinesi, di irritarli e schernirli? E ancora: Perché non si dimette e quando intende farlo?

The Times of Israel: La bomba Hamas è stata confezionata da Netanyahu e «ci è esplosa in faccia»

Dmitri Shumsky, analista di questioni militari, dalla medesima testata ha denunciato la politica del primo ministro «volta esplicitamente a sostenere Hamas». Un’analisi che trova d’accordo anche The Times of Israel, testata di destra che se da un lato sostiene totalmente la violenta risposta militare contro Hamas, dall’altro critica Netanyahu per le politiche degli ultimi anni. Il Times of Israel ha criticato per esempio l’abbraccio tra Netanyahu e Itman Ben-Gvir, leader del partito nazionalista Potere Ebraico (che in passato è stato incriminato una cinquantina di volte per incitamento all’odio e ha teorizzato l’espulsione da Israele di tutti i cittadini arabi) nominato superministro per la Sicurezza, pur avendo difeso il premier in molte delle sue battaglie giudiziarie. «I vari governi guidati da Benjamin Netanyahu hanno adottato un approccio che ha diviso il potere tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, mentre con le sue mosse sosteneva il gruppo terroristico di Hamas», ha sottolineato il quotidiano, permettendo l’affluenza di fondi verso l’organizzazione, chiudendo più di un occhio sulla Qatar connection del gruppo ed elevando Hamas a interlocutore chiave. Con Netanyahu al governo, continua l’affondo, «la linea israeliana è stata quella di trattare l’Autorità palestinese come un peso e Hamas come una risorsa. Bezalel Smotrich, ora ministro delle Finanze e leader del Partito sionista religioso, lo disse nel 2015», nota il Times. Morale? La «bomba Hamas» è stata confezionata da Netanyahu e «ci è esplosa in faccia».

Netanyahu impallinato dalla stampa israeliana
Un articolo del Times of Israel contro Netanyahu.

972Mag predica la fine della dottrina Netanyahu

La linea del Times of Israel va curiosamente in parallelo a quella di 972Mag, testata di sinistra vicina al declinante Partito Laburista. Il giornalista Oren Ziv ha scritto su X di ritenere rischioso usare la storia, non confermata, dei bambini decapitati a Kfar Aza per giustificare «un’escalation dei bombardamenti su Gaza e crimini di guerra». 972Mag parla di «fine della dottrina Netanyahu» fondata sul desiderio di cercare di pacificare la Palestina senza tirare in ballo i palestinesi, anzi al massimo incentivandone le faide interne.

Jerusalem Post: il primo ministro adotterà la tecnica dello scaricabarile per autoassolversi

Più moderata nei toni ma non nella sostanza, infine, è la critica del Jerusalem Post, favorevole all’unità nazionale e vicino alle posizioni di centrodestra moderato e laico di Benny Gantz e Yair Lapid. Secondo il quotidiano il premier, in caso di insuccesso sul campo, adotterà la tecnica dello scaricabarile: «Come il suo amico Donald Trump, Netanyahu non si assume mai la responsabilità quando le cose vanno male e punta rapidamente il dito contro tutti gli altri» autoassolvendosi. Per esempio contro «i manifestanti pro-democrazia, accusandoli erroneamente di spaccare la nazione e minacciare la sicurezza nazionale proiettando un’immagine di divisione e debolezza che ha incentivato Hamas». Tranchant la chiosa: «Se Netanyahu vuole unire il Paese e iniziare la sua guarigione, deve ascoltare le crescenti richieste di dimettersi. La figura più divisiva di Israele non può sanare le profonde fratture che ha aperto». Certo è che Israele offre un grande esempio di libertà di stampa. Seppur condannando l’orrore e sostenendo una risposta proporzionata contro Hamas, i media non si prestano ad appoggiare o giustificare una figura ritenuta ormai giunta al capolinea politico. Così mettono Netanyahu con le spalle al muro, invitandolo a riconoscere le sue responsabilità. Responsabilità ed errori di cui dovrà, presto o tardi, rendere conto. Israele in altre parole è unito ma non intende cedere alla propaganda dell’ultradestra.

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