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Perché l’attacco di Hamas in Israele preoccupa la Cina
La guerra tra Israele e Gaza ha compromesso il disegno diplomatico che la Cina aveva pensato per il Medio Oriente e Nord Africa (Mena). Area nella quale Pechino intendeva mettere a punto investimenti e accordi economici con l’obiettivo, nel medio-lungo periodo, di estendere gradualmente la propria influenza dal punto di vista commerciale e geopolitico.
L’equilibrismo di Xi Jinping in Medio Oriente
Se la Cina fin qui, con una certa abilità, era riuscita a evitare le rivalità tra gli attori dello scacchiere mediorientale, l’attacco di Hamas contro Israele ha complicato i piani. La ricetta del gigante asiatico per dimostrare al mondo di riuscire laddove avevano fallito i rivali statunitensi – ovvero pacificare il riottoso Mena e renderlo un luogo sicuro – si basa su un pragmatismo camaleontico accompagnato da fiumi di denaro per avviare partnership con i vari governi locali. Sforzi azzerati da un conflitto che ora rischia di espandersi a macchia d’olio. Xi Jinping, già equilibrista tra Ucraina e Russia, è adesso chiamato a un esercizio ancora più complesso: fare altrettanto con Israele e Territori palestinesi. Tenendo bene in mente quali sono le rivendicazioni delle due parti che potrebbero di far emergere contraddizioni e creare imbarazzi in seno al Partito Comunista Cinese. Taiwan docet.

Gli investimenti cinesi in Israele: dall’hi-tech alle infrastrutture
Impossibile, dunque, per la Cina esporsi in maniera esplicita nella crisi israelo-palestinese. Da un lato Pechino deve infatti salvaguardare i rapporti commerciali con Tel Aviv, e dall’altro mantenere in vita i legami con le autorità palestinesi, in linea con il profilo di Paese leader globale che il Dragone desidera mostrare alla comunità internazionale. Certo, i rapporti commerciali tra Pechino e Tel Aviv non sono minimamente paragonabili a quelli con i Territori. Secondo i dati dell’Observatory of Economic Complexity (OEC), nel 2021 le esportazioni cinesi verso Israele hanno toccato i 13,2 miliardi di dollari mentre nei Territori non raggiungono i 250 milioni. Non stupisce dunque che tra il 2007 e il 2020, il Dragone abbia investito quasi 20 miliardi di dollari nelle imprese israeliane, in primis hi-tech – come HexaTier, Visualead e Pixellot – mediante l’apporto di aziende del calibro di Baidu, Alibaba, Huawei e Haier. A Xi interessano le tecnologie israeliane, ma corteggia anche i settori infrastrutturali ed energetici del Paese. In questo senso, la Cina ha partecipato a vari progetti, come la costruzione della prima linea della metropolitana di Tel Aviv e del nuovo terminale commerciale nel porto di Haifa e Ashdod.

La visita di Mahmoud Abbas a Pechino e gli accordi con la Cina
Lo scorso giugno, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas ha visitato Pechino, dove ha incontrato il suo omologo cinese. La visita ha portato un balzo in avanti nelle relazioni con Pechino con cui è stata concordata una partnership strategica. I Territori palestinesi parteciperanno alla Belt and Road di Xi e a tre nuovi piani che Pechino ha svelato negli ultimi mesi – l’Iniziativa per la sicurezza globale, l’Iniziativa per la civiltà globale e l’Iniziativa per lo sviluppo globale – che mirano collettivamente a presentare al mondo intero un modello alternativo di relazioni internazionali. Anche se Cina e Territori hanno attivato una serie di piani economici mirati ad aumentare gli scambi commerciali, l’interscambio reciproco, comprensibilmente, resta pressoché irrisorio. In ogni caso, tra il 1949, anno di fondazione della Cina comunista, e il periodo delle riforme cinesi, fine Anni 70, il Dragone ha sempre sostenuto i governi arabi e i movimenti di liberazione nazionale, compreso quello palestinese. La situazione è cambiata nel 1979, quando Pechino ha iniziato a trattare con Israele in maniera più pragmatica, fino a stabilizzare a pieno titolo le relazioni con lo Stato ebraico nel 1992.

L’invito (interessato) di Pechino alla pace e il sostegno alla soluzione dei due Stati
Ma quale è, allora, la posizione della Cina? Fedele al principio ufficiale di “non ingerenza” negli affari di altri Stati, Pechino si è trovata spiazzata dall’offensiva di Hamas. Il ministero degli Esteri, attraverso il portavoce Mao Ning, ha chiesto un rapido cessate il fuoco, condannato le violenze contro i civili e ribadito il sostegno alla soluzione dei due Stati. «Crediamo sempre che il dialogo e i negoziati siano fondamentali. Per risolvere il ciclo di conflitti tra israeliani e palestinesi è necessario riavviare i colloqui di pace, attuare la soluzione dei due Stati, promuovere una soluzione rapida e adeguata dei problemi attraverso strumenti politici», ha dichiarato Mao, sottolineando che la Cina è un’amica tanto di Israele quanto dell’Autorità palestinese. Agli occhi degli Stati Uniti, la posizione della Cina è a dir poco ambigua. È per questo che il leader della maggioranza democratica al Senato Usa, Chuck Schumer, ora in visita in Cina, ha fatto presente al capo della diplomazia cinese, Wang Yi, di essere rimasto «molto deluso» dalla dichiarazione di Pechino, e del fatto che la Cina non abbia «mostrato vicinanza o sostegno per Israele». Poco importa. Xi sa che mantenere la terzietà è la mossa più saggia per salvaguardare gli interessi nella regione.