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Il blasone spento di Confindustria tra candidati per il rilancio e lauree inesistenti
La corsa alla presidenza di Confindustria è iniziata di fatto con l’assemblea nazionale del 15 settembre, dove non a caso i candidati Giovanni Brugnoli, Alberto Marenghi ed Emanuele Orsini (qui in rigoroso ordine alfabetico) sono stati gli ultimi ad andare via, dopo aver parlato con quanti più colleghi possibile. Anzi, a ben vedere ci sono stati anche altri due imprenditori che si sono attardati nel “paddock” dell’Auditorium del Parco della Musica a Roma, cioè nello spazio tra il palco e la prima fila: Aurelio Regina alla ricerca di consenso, consapevole di aver il nemico in casa Maurizio Stirpe, da parte sua insolitamente allegro e meno riservato del solito. L’attuale vicepresidente con delega alle relazioni sindacali infatti, titolare di Prima Industrie e del Frosinone Calcio, potrebbe scendere in campo più avanti e intestarsi i voti di Brugnoli e Marenghi, ritenuti troppo deboli per arrivare in fondo.

Marcegaglia teme di bruciarsi e di vedersi contrapposto D’Amato
Emma Marcegaglia, sinora accreditata come prima supporter di Marenghi, con lei all’epoca della sua presidenza dei Giovani industriali e mantovano pure lui (anche se ora ha spostato la residenza a Verona a casa della moglie, la meloniana Maddalena Morgante, perché così figura come veneto, visto che non passerebbe un altro lombardo dopo Bonomi), starebbe invece pensando a Marco Bonometti (peraltro lombardo anche lui), dopo aver fatto fuoco di sbarramento sulla candidatura di Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e suo forte concorrente nella siderurgia. In realtà, all’unica presidente donna della storia di Confindustria piacerebbe tanto tornare in sella direttamente anche per poter lasciare più spesso fabbrica e villa a Gazoldo degli Ippoliti, ma teme di bruciarsi e (soprattutto) di vedersi contrapposto Antonio D’Amato, il quale è il past president che raccoglie sempre i consensi più diffusi nei suoi interventi in Consiglio generale.

Improvvisamente si sono accorti tutti della debolezza di Bonomi
La fotografia attuale della corsa tra Brugnoli, Marenghi e Orsini vede quest’ultimo in testa poiché si dice che con sé abbia la sua regione, l’Emilia-Romagna (che qualche settimana fa ha rivendicato ufficialmente la presidenza nazionale per un proprio esponente con una dichiarazione di Walter Caiumi, presidente della Confindustria regionale), ma deve fare ancora molta strada e trovare altri alleati per arrivare in fondo. Marenghi, sinora il candidato ufficiale e in continuità con Carlo Bonomi (non foss’altro perché il più pubblicizzato, anzi l’unico, sulle news interne di Confindustria per le sue foto opportunity nelle aziende) risente della scoperta improvvisa da parte degli imprenditori della debolezza dell’attuale presidente pro tempore, al quale vengono solo ora rimproverati gli insuccessi con il governo, la gestione autocratica interna, la mancanza di iniziative all’estero, a parte una costosa trasferta culturale negli Usa e un come minimo intempestivo viaggio a Kyiv per offrirsi come ricostruttore dell’Ucraina, nonché l’inesistenza della lobby confindustriale a Bruxelles.

Il bluff sulla laurea rischia di far finire il mandato nel ridicolo
La bugia conclamata, e denunciata dal Fatto quotidiano, sulla laurea che non ha gli ha complicato le cose perché ha rivelato comunque tutto il bluff di una presidenza che ha portato Confindustria al minimo storico di rilevanza nella politica economica del Paese, e rischia di finire nel ridicolo se lui si ostina, come scrive il quotidiano di Marco Travaglio, a chiedere una deroga personale al ministero dell’Università, deroga pressoché impossibile.

Brugnoli sta saldando l’alleanza con il cosiddetto “Partito Luiss”
Brugnoli, forte per ora pressoché soltanto del sostegno della sua associazione territoriale, quella di Varese, e di amici personali sparsi qua e là, sta saldando l’alleanza con il cosiddetto “Partito Luiss”, cioè con il sempreverde Luigi Abete, che sverna da decenni pressi l’università di Confindustria. Anche Brugnoli infatti fa parte del cda dell’università in quanto vicepresidente di Confindustria per il Capitale umano. Qui è proprio la mancanza di laurea di Bonomi ad aver rimesso in moto un assetto che stava per smobilitare: se infatti l’attuale presidente di Viale dell’Astronomia a norma di legge non può traslocare in Luiss, allora Vincenzo Boccia potrebbe restare presidente dell’ateneo e Abete continuare a occuparsi della Luiss Business School.

Brugnoli intanto fa il candidato e un po’ ci crede, visto che si sarebbe accontentato di soffiare a Boccia la poltrona di presidente Luiss al posto di Bonomi. Quindi corre per la presidenza, così da mettere insieme qualche decina di voti e trattare con il candidato che si rivelerà più forte il mantenimento nelle posizioni di potere dell’Ateneo. Il bello è che altre voci assegnano invece la Luiss a Marenghi, come risarcimento per l’ormai impossibile corsa alla poltrona di Viale dell’Astronomia.
E Carraro? Nessuno lo vuole davvero candidare a Roma
Fin qui gli schieramenti di partenza, con il solito Veneto dove si agita Enrico Carraro: nessuno delle sue territoriali in verità lo vuole candidare a Roma, ma non sanno come dirglielo, anche perché tarperebbe le ali a desideri di alcuni suoi colleghi che puntano a correre nel 2028. Carraro vanta un fatturato di 122 milioni, dicono sempre dalle sue parti, e ha appena negoziato un bond di 120 milioni per rimettersi in carreggiata, sistemare i debiti verso banche di 57 milioni e 118 milioni verso una finanziaria che è parte correlata.

Bonomi parla di tutto tranne che degli interessi delle imprese
Il bello è che la lotta per il vertice di Confindustria è senza esclusione di colpi nonostante ci si batta per un blasone che è tutto da rilanciare. All’assemblea del 15 settembre a Roma invece si è verificato il fenomeno opposto: c’erano il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la premier Giorgia Meloni e gran parte dei ministri, ma paradossalmente erano presenti proprio grazie all’irrilevanza attuale dell’associazione. Infatti premier e ministri erano molto sollevati dal fatto che Bonomi all’inizio della sua relazione avesse subito precisato che lui non si sarebbe occupato di questioni contingenti come la manovra di bilancio, il cuneo fiscale o l’inflazione ma solo di Costituzione e democrazia. Insomma di tutto, meno che della rappresentanza e degli interessi delle imprese, e dunque l’assemblea è stata molto partecipata dalle istituzioni proprio perché si sapeva che Bonomi avrebbe volato alto per non disturbare nessuno, tantomeno il governo.

D’altra parte, è oggi il commento acido di colleghi imprenditori che pure l’avevano votato quattro anni fa sperando nel pragmatismo lombardo, uno che è costretto a chiedere al governo una deroga per la laurea che non ha non è ovviamente in grado di battersi per le ragioni delle imprese e della crescita del Paese.