La semestrale di Cdp: i conti sono in ordine, alcune partecipazioni meno

Probabilmente quella presentata il primo agosto sarà la loro ultima semestrale, e forse per questo che Giovanni Gorno Tempini e Dario Scannapieco, presidente e amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti, hanno voluto presentare i conti del gruppo con una conferenza stampa e non solo con l’abituale comunicato. La relazione sull’andamento dei primi sei mesi del 2023 mette in evidenza che i conti dell’attività tradizionale di Cassa sono in ordine e che tutto procede in linea col passato: risorse impegnate a livello consolidato per 11,5 miliardi di euro, utile netto a 2,8 miliardi, in calo di 900 milioni, causa minori dividendi della partecipata Eni. Scannapieco ha tenuto molto a far sapere che le risorse impegnate sono «in forte crescita», ma in verità sono rimaste identiche allo stesso semestre del 2022. L’unica differenza è l’allocazione: nel 2022 degli 11,5 miliardi di euro, 4,2 erano stati utilizzati per l’acquisto di Autostrade per l’Italia, e 2,1 per il rifinanziamento dei mutui delle Regioni con il Mef. Evidentemente per l’ad l’aver impegnato 6,3 miliardi di euro totali per queste operazioni è qualcosa da addebitare ai desiderata del suo azionista governo di cui avrebbe fatto volentieri a meno. La raccolta postale e da altre fonti di Cdp spa ha raggiunto i 363 miliardi di euro ed è inferiore al 2 per cento rispetto al primo semestre del 2022: tiene la prima, che pesa per ben 282 miliardi sul totale, cala del 13 per cento la raccolta dalle banche e dalla clientela e cresce quella obbligazionaria.

La semestrale di Cdp: i conti sono in ordine, alcune partecipazioni meno
Giovanni Gorno Tempini e Dario Scannapieco (Imagoeconomica).

Scannapieco international, forse per far sapere di essere pronto per un posto alla Banca Mondiale

Tra gli aspetti positivi, Scannapieco sottolinea che Cdp è «sempre più internazionale» e che agisce per «un percorso di crescita condiviso con gli altri protagonisti dello scenario globale». E a supporto della sua tesi cita il collocamento di un green bond e uno di yankee bond a New York per un totale di 1 miliardo di euro. Oltre al fatto di aver aperto una sede a Bruxelles. Per qualche osservatore è un po’ poco per definirsi internazionale; anche perché la primaria vocazione d Cdp è fare operazioni in Italia per aiutare lo sviluppo del suo sistema economico. Ma evidentemente il banchiere vuole far sapere di essere pronto per un incarico alla Banca Mondiale a Washington. Il posto che aveva prima di arrivare in via Goito, vice presidente della Bei, è stato infatti riservato all’ex ministro dell’Economia Daniele Franco, draghiano di ferro come lui. Per il resto il comunicato registra calma piatta. Soprattutto per quel che riguarda la vendita di aziende partecipate (in Cdp la chiamano rotazione degli investimenti) che Scannapieco aveva ipotizzato, seguendo l’invito di Draghi e soprattutto del suo consigliere economico Francesco Giavazzi.

Le Partecipazioni difficili di Cdp

Durante la conferenza stampa, incalzato dalle domande dei giornalisti presenti, ha parlato anche del comparto equity di Cassa, cioè delle partecipazioni in società, quotate e non, e in Sgr che investono attraverso alcuni fondi in aziende. Partecipazioni che valgono circa 38 miliardi di euro, 33 dei quali nel capitale di aziende che operano in diversi settori: dall’alberghiero all’energia, dalle autostrade alle costruzioni, dall’informatica ai pagamenti. Non essendo un manager industriale, Scannapieco si avvale di specialisti; ciò significa che Cdp dipende da amministratori delegati scelti di volta in volta per gestire strategia e operatività delle controllate.

Il cambio di rotta sulla Rete unica

L’ad ha parlato di tlc, una vera croce per l’ente cui fa capo la maggioranza assoluta della disastrata Open Fiber e il 9 per cento di Tim. La sua posizione, che ha sorpreso gli analisti, immagina un Paese con una sola rete di telecomunicazioni, lasciando che la concorrenza si sviluppi nei servizi. Cioè esattamente il contrario di quello che sosteneva a fine 2022, quando Meloni si era appena insediata a Palazzo Chigi ma già in campagna elettorale parlava di rete unica come una priorità. Allora il numero uno di via Goito aveva fatto filtrare sui giornali che Cdp non aveva soldi per assecondare i desiderata del governo (secondo lui li aveva tutti spesi il suo predecessore, Fabrizio Palermo). E che l’Antitrust europeo avrebbe rigettato l’idea della rete unica in Italia. Sarà che solo gli stupidi non cambiano idea, sta di fatto che ora Scannapieco mostra di volersi impegnare per convincere l’Europa che la rete unica è ottimale assetto per le telecomunicazioni italiane. Un cambiamento di rotta dovuto in parte a un forte spirito di adattamento al nuovo governo, in parte dal grande debito di Open Fiber e dalle sue continue necessità di capitali per rispettare gli impegni a costruire la seconda rete italiana in fibra ottica. Open Fiber ha già approvato a marzo 2023 un aumento di capitale da 375 milioni di euro per ottemperare al vincolo del debito imposto dalle banche, aumento che per il 60 per cento peserà proprio sul suo azionista di controllo Cdp. Prossimamente altri ne seguiranno, visto che la società ha necessità di costruire una rete estesa in luoghi non proprio redditizi. E pur godendo di benefici pubblici in quanto vincitore delle gare, il denaro non basta mai. Come interrompere questa continua emorragia di soldi? Spingendo appunto alla fusione tra Tim e Open Fiber. Peccato che ora, dopo che la sua offerta in cordata col fondo Mcquarie per rilevare la rete della prima è stata giudicata insoddisfacente, a trattare con l’ex monopolista è rimasto Kkr. Riuscirà di qui a fine settembre, quando scade l’esclusiva concessa al fondo americano, a rientrare in partita?

Gorno Tempini e Scannapieco, probabilmente la loro ultima in via Goito
Dario Scannapieco, ad di Cdo (Imagoeconomica).

La croce di Ansaldo Energia

Altro dossier che problematico per Scannapieco quello di Ansaldo Energia. L’azienda è in gravi difficoltà derivanti dalla mancanza di ordini. Il mercato delle turbine a gas è fermo e in quel poco che si muove i concorrenti sono stati più lesti ad accaparrarsi le commesse. Cdp ha in portafoglio l’88 per cento del gruppo ed entro l’inizio del 2024 salirà al 99 per cento per effetto dell’aumento di capitale di circa 580 milioni di euro che il secondo azionista, i cinesi di Shanghai Electric, ha fatto sapere di non sottoscrivere. Da pochi mesi Ansaldo Energia ha un nuovo amministratore delegato, Fabrizio Fabbri, dopo che il precedente, Giuseppe Marino, ha sbattuto la porta ritornando a Hitachi Rail. Fabbri ha presentato un piano triennale basato su nuove commesse di turbine, anche grazie alla flessibilità delle nuove macchine a bruciare non solo il metano ma anche in parte l’idrogeno, e al nuovo impulso del business del nucleare. Il Piano, presentato a giugno 2023, secondo alcuni esperti del settore è fortemente a rischio per svariati motivi: Ansaldo dovrebbe prendere molti più ordini (15 turbine all’anno per i prossimi tre anni) rispetto al suo recente andamento storico, le nuove turbine che funzionano anche a idrogeno sono comunque inquinanti in quanto il propellente è oggi prodotto principalmente da fonti fossili, il business del nucleare è molto di là da venire, anche se tre mesi fa Ansaldo Nucleare ha firmato un accordo di collaborazione con il gigante francese EDF, l’unico che sta investendo nelle nuove tecnologie dell’atomo.

Semestrale Cdp, conti in ordine le partecipate meno
Fabrizio Fabbri, ad di Ansaldo Energia (Imagoeconomica).

Nexi amari

Tra le partecipazioni che danno problemi c’è anche Nexi, la fintech europea guidata da Paolo Bertoluzzo. Qui i problemi non derivano dal bilancio della società (cresce e fa utili, anche se ha un debito monstre di 5,4 miliardi di euro) ma dall’andamento del titolo in Borsa, tanto che Cdp ha dovuto svalutare nel bilancio 2022 la partecipazione nella società. Da quando la fusione con Sia e Nets è stata annunciata il titolo è passato dai 19 euro del luglio del 2021 ai 7 di gran parte del 2022 e di tutto il 2023. E nel giorno di presentazione dell’ultima semestrale, a inizio di agosto, il titolo è precipitato del 7 per cento, e l’indomani di un altro 3 per cento, pur presentando ebitda in crescita del 10 per cento e una guidance in linea con quanto comunicato precedentemente. Da fine 2022, il management della società, per cercare di risollevare il titolo, ha fatto trapelare vari indizi su potenziali accordi; il primo lo scorso 2022, attraverso le pagine del Corriere della Sera, su un’intesa strategica con l’Unicredit di Andrea Orcel; a oggi nulla è avvenuto, ma soprattutto nei primi sei mesi del 2023 sono partite da Unicredit a Nexi tre lettere pesantissime sull’inefficienza operative del servizio che dovrebbe dare alla Banca. Poi a giugno, attraverso La Repubblica, Nexi ha rivelato di voler vendere attività in Germania e in Nord Europa (la cessione del solo asset tedesco è stata confermata come prossima anche durante la conference con gli analisti di inizio agosto). Poi a fine luglio, in risposta alla perdita di un importante cliente italiano (la Bpm di Giuseppe Castagna, che ha preferito fare una società con BCC Pay, presieduta da Massimo Arrighetti, per il business della monetica) ha informalmente comunicato, sempre attraverso il Corriere della Sera, che era in procinto di vendere a F2i gli asset relativi alla rete nazionale interbancaria (Rni) che ospita i flussi dispositivi e informativi di istituti bancari italiani, Poste e altri attori finanziari. La rete dovrebbe essere valutata poco meno di un miliardo di euro, e i soldi serviranno per diminuire l’importante debito di Nexi.

La semestrale di Cdp: i conti sono in ordine, alcune partecipazioni meno
Paolo Bertoluzzo, Ceo Nexi (Imagoeconomica).

Insomma, pur cercando di dare segnali positivi per abbassare il debito anche al fine di iniziare a dare dividendi, gli investitori di Borsa mostrano di non credere alla strategia di Bertoluzzo e del suo fidato cfo Bernardo Mingrone, da circa un anno nominato anche amministratore delegato di Nexi Payments. I grandi soci (Cdp, Bain Advent, ecc) non hanno ancora ufficialmente aperto al cambio del vertice aziendale, ma molti di questi, in particolare quelli internazionali, a eccezione di Bain, esprimono fortissimo malumore e spingono perché ciò avvenga. Cdp, che possiede il 13,9 per cento con una partecipazione molto più influente di quel che il numero dice, sta alla finestra, ma non nasconde la sua irritazione verso il vertice di Nexi, voluto dal grillino Riccardo Fraccaro, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri durante il governo Conte. C’è un altro segnale che dovrebbe far riflettere gli azionisti. Cioè, l’atteggiamento della Banca d’Italia che, nonostante le pressioni fatte da Nexi nel tentativo di ostacolare l’operazione tra Bpm e Bcc Pay, alla fine ha dato via libera, accordando maggiore fiducia a Castagna, un banchiere che porta risultati e che gestisce attentamente la banca, piuttosto che a Bertoluzzo, neofita del mondo bancario nel quale approdò nel 2016 dal mondo della telefonia.

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