Alain Elkann, i giovani lanzichenecchi e l’autolesionismo di Repubblica

Vediamola dal lato positivo: siamo un Paese così longevo che se altrove sono i genitori a dare una spintarella nella carriera ai figli, da noi si vive abbastanza a lungo perché i figli arrivati al top della carriera prolunghino a loro volta quella dei genitori. Se possedessi un giornale, perché mai, con tanti collaboratori attempati che di tanto in tanto, malgrado il bel nome, scrivono frescacce, in un afoso giorno di luglio dovrei negare una mezza pagina proprio al mio arzillo padre ultra 70enne, che oltretutto ha un curriculum prestigioso nel campo della cultura, anche se l’ultima voce risale a 11 anni fa? Di più: a cosa serve possedere un giornale, se non posso permettere a papà di condividere con i lettori le incredibili scoperte fatte in occasione di un viaggio estivo su un treno Italo verso la Puglia, e cioè, nell’ordine: che per raggiungere Foggia si passa da Caserta e Benevento; che oggi in prima classe non si incontrano solo viaggiatori del Grand Tour, pallide duchesse con cagnolino e bambini vestiti alla marinara; e – scoperta più sbalorditiva di tutte – che ai ragazzi in vacanza interessa più rimediare della gnocca che leggere Proust?

Nonostante i giornalisti di Repubblica si siano dissociati, spero ancora che la burla venga a galla

Non ho ancora citato i veri protagonisti della vicenda – Yaki Elkann, suo padre Alain e il quotidiano Repubblica – perché è da lunedì che non si parla d’altro, sui social e fuori. Confesso che leggendo l’articolo Sul treno per Foggia con i giovani “lanzichenecchi” ho pensato a uno scherzo, una parodia, a un revival dei leggendari falsi giovanili di Michele Serra (recuperateli e godeteveli, finché ancora avete memoria dei personaggi parodiati, da Montanelli a Eco passando per Gianni Brera). Certo, per architettare una così beffa così crudele e a freddo contro il padre del proprietario del giornale con cui collabora ormai da decenni ci vuole una perfidia kamikaze che da tempo non è più nelle corde del fondatore di Cuore, ammesso che ci sia mai stata. E per farla arrivare sul giornale bisogna presupporre una complicità della redazione, decisa a denunciare, con l’antica arte della satira, l’invadenza dell’editore e la deriva del quotidiano, un tempo giornale-partito dell’Italia civile e per molti oggi più che altro una vetrina senza qualità per soliti noti con la puzza sotto il naso. Malgrado il CdR di Repubblica mi abbia tolto ogni illusione con un comunicato in cui si dissocia dai contenuti dell’articolo di Alain Elkann, bollato come «classista», non mi rassegno all’evidenza, anzi, qualcosa in me spera ancora che la burla venga a galla.

Alain Elkann, i giovani lanzichenecchi e l'autolesionismo di Repubblica
Alain Elkann (Imagoeconomica).

Nessuno, da Molinari in giù, ha osato suggerire che pubblicare roba del genere era puro autolesionismo?

Perché, una volta esclusa l’ipotesi satirica, quell’articolo è un segno che la situazione al giornale fondato da Eugenio Scalfari è ancora peggiore di quel che tutti pensavamo. Perché, delle due l’una: o Elkann senior aveva intenzioni raffinatamente autoironiche (che alcuni hanno intravisto in certi svarioni altrimenti incomprensibili, tipo Sodoma e Gomorra «secondo capitolo» anziché, come ognun sa, quarto libro della Recherche) – e nessuno in redazione se n’è accorto né si è chiesto se forse era il caso di segnalarlo almeno nell’occhiello, in quest’epoca permalosa in cui tutti abbiamo lo smartphone in mano e la shitstorm in canna (vedi quella scatenata qualche anno fa da un’Amaca di Serra facile a interpretarsi come un’ esaltazione dei licei, garanzia di buona educazione). Oppure Elkann era legittimamente convinto di quel che scriveva, e cioè che i teenager tatuati che in treno parlano di vacanze sono i nuovi “lanzichenecchi” e solo lui la persona civile perché si veste di lino, gira con un’emeroteca internazionale e un libro di Proust in una valigetta di pelle e scrive il diario con la stilografica – e nessuno in redazione, dal direttore Molinari in giù, ha osato suggerire l’ovvio: pubblicare roba del genere così com’era era puro autolesionismo, sia per il giornale (già abbondantemente accusato di essere l’house-organ della sinistra da Ztl), che, soprattutto, per l’autore dell’articolo. E non lo ha fatto perché l’autore è il papà del padrone, un signore che una volta era famoso e ammirato e ha tuttora un ego che Proust gli spiccia casa. E a Repubblica, ora che non c’è più Scalfari e che Michele Serra non ha ancora ceduto al narcisismo senile, è ancora vuota la casella “anziano opinionista innamorato di sé che si crede il Padreterno”. «Ma l’articolo non l’avevano letto prima?», si è domandato candidamente mio padre (quello vero), apprendendo della nota del CdR contro l’articolo di Elkann. È un fedele lettore di Repubblica fin dal primo numero, e anche oggi, a 84 anni e con il mal di gambe, scenderà all’edicola a comprarlo, come tutte le mattine che manda Dio. Vota a sinistra, veste decorosamente e legge due quotidiani al giorno, ma usa la biro e con la Recherche si è incagliato a metà di Dalla parte di Swann, ai tempi dell’università, e non ci ha più riprovato. Per lui i veri lanzichenecchi di oggi sono quelli che stanno al governo, non i teenager che non leggono il Financial Times. Anzi, se lo leggessero gli farebbero più senso di quelli tatuati che pensano alle ragazze. Evidentemente sta invecchiando meglio del suo giornale preferito.

 

Powered by WordPress and MasterTemplate