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Il governo Meloni odia l’ambiente: dimenticate le misure anti-inquinamento
L’inquinamento dell’aria e del mare non è una priorità del governo, che su questo capitolo tiene bloccati centinaia di milioni di euro per l’immediato. E miliardi di euro se lo sguardo si allunga al futuro. L’offensiva contro le politiche green lanciata dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, assieme ai partiti di maggioranza, è un’operazione di propaganda, ma che fa seguito ad altre scelte, in alcuni casi in realtà “non scelte”, sulle misure per l’ambiente. I mancati investimenti per contrastare l’inquinamento atmosferico diventano l’esempio principale, marcando una netta differenza con il governo Draghi, che aveva varato provvedimenti ad hoc con la benedizione di Roberto Cingolani, all’epoca ministro della Transizione ecologica. Restano così nei cassetti del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase) oltre 500 milioni di euro, riferiti al triennio 2022-2024, che erano stati messi sul tavolo nella precedente legislatura. E, se si parla dei prossimi 10 anni, la cifra a disposizione sale a 2 miliardi di euro.
Non ci sono bandi e specifici programmi di finanziamento
Andiamo con ordine. Il titolare dei dicastero, Gilberto Pichetto Fratin, ha un importante stock di decreti attuativi da smaltire in materia di interventi anti-inquinamento. Tra questi spicca il fondo per assicurare l’efficace attuazione del programma nazionale di controllo dell’inquinamento atmosferico, che ha una dotazione complessiva di 300 milioni di euro: i primi 50 milioni erano già pronti per il 2022, altri 100 milioni per l’anno in corso e i restanti 150 milioni per il 2024. La legge di Bilancio, varata dal governo Draghi, indicava poi la necessità di prolungare la misura con uno stanziamento di 200 milioni all’anno dal 2026 fino al 2035. Il piano dovrebbe prendere forma con bandi e specifici programmi di finanziamento delle attività necessarie per raggiungere gli obiettivi fissati. Il ministero competente, quello dell’Ambiente appunto, avrebbe dovuto indicare i criteri per l’assegnazione delle risorse. Ma il decreto attuativo di Pichetto Fratin non ha ancora visto la luce.
Addio decarbonizzazione e riconversione delle raffinerie
Stessa sorte riguarda una misura inserita nel primo decreto energia dell’esecutivo di Draghi, che sull’onda della crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina aveva puntato sulla decarbonizzazione e la riconversione verde delle raffinerie. E per questo aveva istituito un apposito fondo da 260 milioni di euro. L’obiettivo era quello di ridurre le emissioni in un settore industriale a elevato impatto ambientali. Così era stato fissato un timing preciso: completare l’iter del decreto attuativo entro il 29 agosto 2022, tanto che la parte più importante, 205 milioni di euro, era stata stanziata per l’anno scorso. Solo che le difficoltà politiche per Draghi e il conseguente ritorno al voto hanno provocato ritardi. Il dossier è stato perciò ereditato da Pichetto Fratin, che deve predisporre le modalità di erogazione delle risorse. È un passo fondamentale perché deve dare un indirizzo politico alla norma.
Politiche anti-plastiche, le aziende si erano lamentate
Sul capitolo inquinamento, poi, il precedente governo – con Cingolani in prima fila – aveva assunto vari impegni, mettendo innanzitutto a disposizione 30 milioni di euro (da spalmare nel triennio 2022-2024) per «incentivare le imprese produttrici di prodotti in plastica monouso» a passare alla «produzione di prodotti riutilizzabili alternativi alla plastica». Un’operazione ideata nell’ambito del decreto legislativo che attuava la direttiva europea sulla plastica. La strategia era quella di favorire la riconversione di un comparto che in Italia ha fatto muro contro l’introduzione della plastic tax, più volte ipotizzata e sempre congelata. Le aziende lamentavano un possibile, forte, danno provocato dalla disincentivazione all’uso delle plastiche. La risposta della riconversione è quindi decisiva, ma non è ancora arrivata con le responsabilità dei ritardi condivise da Cingolani e Pichetto Fratin.
Biodegradabili e inquinamento marittimo: nulla all’orizzonte
Altri 9 milioni di euro in totale (sempre suddivisi in tre anni) sono in stand-by per quanto riguarda il «contributo per l’acquisto e utilizzo di materiali e prodotti alternativi a quelli in plastica monouso», quindi biodegradabili. La priorità era stata concessa ai «prodotti monouso destinati a entrare in contatto con alimenti». Insomma, piatti, bicchieri, forchette che hanno un consumo alto. La misura è stata inserita nello stesso decreto legislativo degli incentivi alle imprese. Si attendono tuttora risposte dal Mase. Nella lunga lista ci sono poi degli interventi “minori”, che comunque sono orientati a contrastare il livello di inquinamento, nella fattispecie marittimo. È il caso della (mancata) definizione dei «criteri di indirizzo nazionale sull’analisi dei rischi ambientali e sanitari correlati agli impianti di desalinizzazione» e dei termini e delle modalità di segnalazione all’International Maritime Organization (organizzazione internazionale che opera per far seguire ai vari governi una linea comune per tutte le questioni tecniche sulla navigazione commerciale) delle eventuali inadeguatezze degli impianti portuali di raccolta dei rifiuti delle navi. Il ministro dell’Ambiente, insomma, deve ancora dare qualche risposta.