Meloni e il fuoco amico in Europa e al governo

Dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Dio. Dall’Italia all’Europa chissà quante volte nelle ultime settimane la presidente del Consiglio Giorgia Meloni avrà pensato a questo vecchio adagio. È normale finire sotto l’attacco delle opposizioni, con la segretaria del Partito democratico Elly Schlein che lancia il proprio affondo giornaliero e il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte che, di tanto in tanto, bacchetta l’esecutivo che ha cancellato pure il Reddito di cittadinanza. Rientra nella logica. E soprattutto poco male: in questa fase le minoranze non incidono, rappresentano l’ultima delle preoccupazioni per l’inquilina di Palazzo Chigi. A testimonianza delle loro divisioni, fa notizia quando trovano un accordo unitario, come sulla proposta per il salario minimo. E lo stesso vale nella trasposizione europea: è fisiologico che Meloni sia guardata con diffidenza a Bruxelles dalle forze politiche di centrosinistra, fino ai liberali à la Macron e in parte dai popolari. Lo sapeva. Certo, magari dall’Eliseo non si attendeva un’ostilità così smaccata. Ma pazienza, è sempre la prima premier italiana erede della fiamma, del postfascismo.

Meloni e il fuoco amico in Europa e al governo
Elly Schlein e Giuseppe Conte (Imagoeconomica).

Le frizioni in Europa con gli alleati Morawiecki e Orban

La grande novità degli ultimi giorni è il legame che si allenta con il Pis polacco, partito che è nello stesso gruppo nell’Europarlamento, i conservatori. Gli amici di sempre, quelli delle mille battaglie sovraniste condotte da una posizione minoritaria, che poi è sinonimo di sostanziale irrilevanza. Servivano per marcare il territorio e piazzare bandierine ideologiche. Solo che, nel momento del bisogno o anche della concretezza, Meloni ha scoperto che l’amicizia politica non è per sempre e così ha visto chiudersi la porta in faccia dal premier polacco Mateusz Morawiecki. La presidente del Consiglio avrebbe potuto portare in Italia la vittoria sul dossier migranti, a lei molto caro. Bastava un sì per gongolare. Niente da fare. Di fronte al tentativo di mediazione sull’accoglienza dei migranti, il leader di Varsavia ha ribadito il suo netto rifiuto, spalleggiato dal premier ungherese Viktor Orban altro componente di peso del Pantheon europeo di Meloni. Morawiecki ha addirittura rilanciato un piano «per le frontiere sicure», perché «l’apertura delle frontiere, la mancanza di una loro effettiva protezione, l’esposizione degli europei al pericolo è un errore strategico». Un’altra angolazione rispetto alle posizioni di Meloni.

Meloni e il fuoco amico in Europa e al governo
Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki con Giorgia Meloni (Getty Images).

I sovranisti di Purra e la stretta finlandese sulle spese Ue

I termini dell’intesa sui migranti sono così più sfumati. La premier italiana ha dovuto correre ai ripari, ribadendo la propria «leale amicizia» con l’attuale leadership polacca, prefigurando un prossimo incontro. «Non sono mai delusa da chi difende i suoi interessi», ha aggiunto la numero uno di Fdi, cercando di cavarsi d’impaccio. Lo stesso problema, seppure su un altro tema, è destinato a riproporsi con il Perussuomalaiset (I Veri Finlandesi) da poco diventato centrale nella vita politica del Paese scandinavo. La leader Riikka Purra è stata nominata vicepremier, ma soprattutto ministra delle Finanze nel nuovo governo. E ha fissato il primo paletto: nessuna generosità sul bilancio in sede europea. Tutelerà gli interessi di Helsinki senza fare concessioni all’Italia in materia di spesa. Peraltro, a differenza di Morawiecki, tra Purra e Meloni non c’è un rapporto personale. «Sarò sincera, non conosco molto bene la politica italiana, non sono abbastanza preparata e non le so dare un giudizio preciso», ha risposto la leader dei Veri Finlandesi a chi, in piena campagna elettorale, le aveva chiesto un parere sulla leader di Fdi.

Meloni e il fuoco amico in Europa e al governo
La ministra delle Finanze finlandese Riikka Purra con il primo ministro Petteri Orpo (Getty Images).

Dal Mes a Santanchè la Lega punta i piedi

Del resto se l’obiettivo è quello di tutelare i propri interessi, principio-cardine del sovranismo, è difficile immaginare una condivisione dei problemi, uno scatto di generosità. Così, dalle parti di Palazzo Chigi, le bizze quotidiane degli alleati di governo diventano quasi aneddoti secondari. Se Forza Italia sta cercando di ridefinire la propria identità dopo la morte di Silvio Berlusconi e non rappresenta per il momento un grattacapo, la Lega di Matteo Salvini punta continuamente a smarcarsi dalle posizioni di Fratelli d’Italia, di segnare il territorio. Dopo la difesa d’ufficio della ministra del Turismo, Daniela Santanchè, i leghisti hanno chiesto che chiarisca in Aula. «Se dovessero esserci delle evidenze per cui ci sono irregolarità o illeciti, è giusto che la ministra si prenda le sue responsabilità», ha sentenziato Andrea Crippa, deputato e vice segretario leghista. Non proprio una carineria. Sul Mes Salvini ha assunto una postura molto rigida, pronunciando un perentorio “no” e mandando in avanscoperta i fedelissimi. Il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari ha definito lo strumento «strozzinaggio». Non proprio un’apertura di credito. E così a Montecitorio i leghisti puntavano a un rinvio lungo, almeno un anno, lasciando in stand-by il dossier almeno fino alle Europee del 2024. È andata diversamente, se ne parlerà tra quattro mesi. E chissà che in fondo non sia meglio per Salvini: in campagna elettorale può scaricare le responsabilità su Meloni. A conferma che dagli amici è sempre meglio guardarsi le spalle.

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