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L’Ucraina, le origini dell’antiamericanismo e la miopia sui piani di Mosca
L’Ucraina, le origini dell’antiamericanismo e la miopia sui piani di MoscaC’è chi spiega la guerra in Ucraina, dopo un breve cenno all’aggressione russa, anche come il frutto avvelenato della Nato e di Wall Street. Sarebbe meglio usare con più dimestichezza la Storia. Si scoprirebbe tra l’altro che l’antiamericanismo degli europei occidentali precede di gran lunga Nato e Wall Street ed è vecchio almeno di due secoli, e in realtà più vecchio ancora. È diverso da quello degli europei orientali che avendo sempre avuto il problema russo sono in genere meno anti-americani. È un sentimento diffuso e non di rado profondo, e fa il paio con l’antico ma persistente antieuropeismo di molti americani, basato una volta sul principio che l’Europa fosse tiranna, altezzosa con i suoi nobili, antidemocratica, papalina, oppure folle con gli eccessi rivoluzionari, mentre oggi ci guarda da tempo come terra déclassée, decaduta, ricca ma imbelle.
Le origini dell’antiamericanismo europeo: da Hegel al nazifascismo fino ai timori britannici
Per l’antiamericanismo si può risalire come data di nascita, con approssimazione, agli Anni 20 dell’800, quando Georg W.H. Hegel elaborava a Berlino le sue Lezioni sulla filosofia della Storia, da cui emergeva tra l’altro un’immagine degli Stati Uniti destinati a un notevole ma imprecisato futuro, afflitti nel frattempo da un sistema sociopolitico e culturale “immaturo” e “caotico”, oltre che da una dominante ignoranza avendo rotto molti ponti con quel fulcro di civiltà che era l’Europa. Molti europei ripeteranno tutto ciò per l’intero l’800, anche dopo la Prima Guerra mondiale e il passaggio da Londra a New York della capitale finanziaria del globo, e lo ribadiranno con insistenza ancora fino agli Anni 40, con la lettura sdegnosa che nazismo e fascismo, e non solo, avevano della “inferiore” realtà americana, asserita personalmente da Mussolini in varie occasioni e imposta all’informazione e alla letteratura nostrane. Una parte del mondo cattolico, Giuseppe Dossetti in testa, era sulla stessa linea dal 1945 in poi. E non va dimenticato il profondo antiamericanismo che ha sempre contraddistinto parte notevole della cultura francese, basti pensare a un esperto di cose americane come André Siegfried (1875-1959) che tanto ha contribuito alla lettura critica degli Usa, a vari italiani per lo più modesti conoscitori dell’altra sponda, e a molti altri. Per non parlare degli inglesi, che da fine 800 temevano il sorpasso americano, e che si interrogavano ansiosi su quando sarebbe avvenuto (sir Edward Hamilton, Segretario generale del Tesoro, nel 1906, quando il sorpasso economico era da tempo concluso), o che scoppiavano in lacrime in pubblico (sir Edward Holden, presidente della London City and Midland Bank, nel 1916) di fronte all’inaudito e insostenibile attacco della finanza americana ormai più forte di Lombard Street. Il tutto veniva sintetizzato nel 1944-45 dagli inglesi che così commentavano la problematica presenza delle truppe americane pronte a passare oltremanica a combattere Hitler: overfed, oversexed, and over here, troppo nutriti, con troppe donne, e purtroppo qui. Insomma, tra Europa e Stati Uniti non è mai stata una semplice storia d’amore.
Le due visioni del futuro ordine mondiale e la scelta dell’Europa occidentale di accettare l’ombrello Nato e Usa
In più si era aggiunta, nel 1917-1918 una duplice e fortemente antagonistica visione del futuro mondiale a partire da quello dell’Europa: da parte russo-sovietica l’appello della rivoluzione bolscevica universale, la Germania postbellica prima candidata auspicata; da parte americana i 14 punti del presidente Woodrow Wilson, studiati per creare in particolare in Europa un sistema collettivo di pace capace di superare le guerre del passato e impedire il declino totale del continente. Il Congresso americano alla fine negò con l’isolazionisimo la partecipazione americana al sistema (Società delle Nazioni), Wall Street però condusse molto attivamente la sua diplomazia finanziaria con l’Europa, ormai legata ai capitali americani dopo il suicidio del 1914-1918. E nel 1942 l’America tornò per raccogliere, con varie titubanze, i cocci di quella che era stata l’Europa. L’idea di un massiccio impegno postbellico in Europa richiese un anno e mezzo per maturare, da fine 1945 ai primi del 1947. Gli Stati Uniti lo fecero nel proprio interesse, per non avere una potenza ostile dominante sull’altro lato dell’Atlantico, come già avevano fatto nel 1917 entrando nel primo conflitto mondiale, contro la Germania. Ora si trattava di fronteggiare la Russia, dall’agosto 1949 potenza atomica. L’Europa occidentale accettava che la sua difesa fosse garantita, come deterrente, dagli ordigni atomici americani, oltre che dalle truppe Nato. La maggioranza degli europei ha dimostrato con il voto, per vari decenni, di accettare questo assetto. Dura da 74 anni, un tempo troppo lungo. Il caso ucraino lo ha reimposto all’attenzione senza che appaiano sul fronte dell’Europa le capacità di trarne tutte le conseguenze, e cioè una vera unione strategica e militare dei Paesi ue, in ambito Nato o parzialmente Nato all’inizio, e fino a quando l’Alleanza esisterà. Ma più Europa. Richiederebbe coraggio e lungimiranza, merci rare in un’Unione il cui Paese leader, la Germania, aveva affidato il proprio futuro energetico a due gasdotti via Baltico che partono (o partivano) dalla Russia. Decisione logica quanto a geografia ed economia, sbagliata quanto a politica e strategia, perché la Russia non è quello che ci piacerebbe fosse.
Il dito puntato contro gli Usa che danneggiano l’Europa e la miopia su ciò che Mosca vuole davvero
Non è più possibile, da 30 anni, reclamare l’esistenza di un campo della pace, quello sovietico-russo, contro il campo della guerra, quello dei capitalisti cioè Washington e dei loro accoliti. Quel campo della pace non è mai esistito, come Ucraina conferma e come alcuni illuminati giudizi sulla neonata Urss – uno del futuro ministro degli Esteri di Weimar Walther Rathenau nel 1919, e l’altro della rivoluzionaria Rosa Luxembourg a fine 1918 – già spiegavano chiaramente. Tuttavia, sono in molti ancora oggi ad avere qualche riflesso condizionato. Anche in Italia qualche analista e commentatore di indubbia qualità si abbandona ad analisi dalle quali filtra chiaramente l’idea che a danneggiare l’Europa sono gli Stati Uniti, attenti ai propri interessi e non ai nostri. È vero, sarebbe strano il contrario, occorre vedere però fino a che punto i due interessi sono più o meno paralleli, e quando divergono, com’è naturale fra due aree geografiche così lontane e con interessi commerciali spesso concorrenti, nonostante una integrazione economica via commerci e investimenti incrociati senza confronti al mondo. Lo stesso commentatore sostiene che ormai l’Ucraina è vista diversamente da Washington perché l’obiettivo americano, la fine dei gasdotti Russia-Germania, è stato raggiunto. Non una parola sulla saggezza o meno di quel legame via Baltico, alla luce dei fatti, e sul fatto se sia un male o un bene avervi posto per ora fine. E non una parola su che cosa vuole Mosca, oltre al Donbass.
I piani segreti di Stalin per la Russia e il Vecchio continente non si discostano molto da quelli di Putin
Fino all’apertura degli archivi ex sovietici, negli Anni 90, mancava un capitolo alla storia della strategia dell’Urss per l’Europa dal 1939 in poi, quello dei documenti segreti, che spiegano ciò che Mosca voleva con Stalin. Più o meno ciò che, partendo da una posizione ben più svantaggiata poiché ha perso la Guerra fredda, vuole con Putin. Adesso almeno in parte (gli archivi non sono più da tempo facilmente accessibili) conosciamo di più e sarebbe utile la lettura ad esempio di un saggio storico di 25 pagine reperibile via Google digitando: “Vladimir O. Pechatnov, The Big Three After World War II. New Documents… Wilson Center 1995″. Dice in sostanza che Mosca pensava di emergere dal conflitto come unica potenza militare di terra in Europa, e di avere quindi, direttamente dove arrivava l’Armata Rossa, indirettamente altrove, il controllo dell’Europa occidentale, Gran Bretagna esclusa. Da altre fonti emerge la volontà di impedire qualsiasi alleanza fra due o più Paesi europei, e tantomeno un organismo multilaterale a crescente integrazione come è oggi l’Unione europea, da sempre vista con sospetto e ostilità e ritenuta ufficialmente come la Nato uno strumento della Guerra fredda. Pochi ricordano queste posizioni, e pochi in Occidente, a partire dai tedeschi e da molti italiani, sono disposti ad ascoltare che opinioni hanno gli europei dell’Est, i baltici e gli scandinavi, convinti a grande maggioranza che l’Ucraina è solo una prima mossa per vedere se l’Occidente tiene.
L’Ue e l’intera Europa non possono sperare in eterno nella copertura Usa
Finora ha tenuto, anche se gli uccelli di malaugurio abbondano. Il tempo però dice che l’Unione europea, e l’intera Europa, non possono sperare in eterno sulla copertura strategica americana, e non possono aspettare in eterno che la Russia diventi un Paese democratico dove sia l’opinione pubblica, alla fine, attraverso libere elezioni a decidere che politica estera seguire. Se da noi molti sono stanchi dell’America, forse da sempre, molti americani applicano da tempo all’intera Europa ciò che nel 1962 l’ex Segretario di Stato Dean Acheson disse della Gran Bretagna: «Ha perso un Impero e non ha ancora ritrovato un ruolo». Joe Biden è un vecchio democratico in politica da oltre mezzo secolo e allievo diretto degli uomini che fecero il Piano Marshall e la Nato e spinsero per l’Unione europea, e si è sempre occupato di Europa. Un’altra dirigenza americana, si è visto con Donald Trump, potrebbe pensarla diversamente. Sarebbe molto miope per Washington non cercare di avere amica l’altra sponda, ma nessuno può escluderlo. Quanto all’antiamericanismo, all’antipatia per l’America, chi ce l’ha dovrebbe cercare di non confonderla con gli interessi dell’Italia e dell’Europa, e farne buon uso. In fondo era un grande amico dell’America, Alexis de Tocqueville, che già nel 1835 osservava come «gli americani trattando con gli stranieri sembrano infastiditi dalla più piccola critica e insaziabili di elogi. Insistono per averli. E se non ottengono soddisfazione, alla fine si elogiano da soli». E aggiungeva: «Si direbbe che, dubbiosi circa i propri meriti, amino vederli costantemente esibiti di fronte ai propri occhi».