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Toto Cutugno simbolo del sovranismo tra luoghi comuni e contraddizioni
Muore a ottant’anni Toto Cutugno, siciliano di La Spezia, cantautore che nessun critico avrebbe mai trattato come tale, autore di hit internazionali di successo squisitamente pop, titolare del concetto di nazionalpopolare in coppia con Pippo Baudo, e subito scatta la corsa al revisionismo storico. Era l’eterno secondo: per sei volte arrivò a un soffio dalla vittoria al Festival della canzone italiana di Sanremo, che pur aveva vinto con Solo noi, anno 1980, proprio al suo esordio da solista. Caparbiamente arroccato su un genere, quello sanremese così amato nel mondo, specie quello dell’Europa dell’Est e delle comunità italiane all’estero, si è trovato suo malgrado al centro di una specie di querelle politica tanto contemporanea nel modo quanto antica nei contenuti. La salma non era neanche stata composta, infatti, che Fratelli d’Italia provava a metterci il cappello sopra, lui che si era presentato a Sanremo l’ultima volta anni fa in compagnia del Coro dell’armata russa. Tutto merito di quel verso poi ripreso, non proprio alla lettera, da Fabrizio Quattrocchi, il mercenario ucciso in Iraq nel 2004, che nel momento di venir giustiziato sommariamente disse: «Vi faccio vedere come muore un italiano».
Cantautore, conduttore e artista dal talento straordinario, Toto Cutugno è stato uno dei simboli dell’italianità nel mondo, che ha saputo emozionare intere generazioni attraverso la sua musica e le sue parole. pic.twitter.com/ULG6QSbY1c
— Fratelli d'Italia
(@FratellidItalia) August 22, 2023
Tra una sequenza perfetta di luoghi comuni sull’italianità, ecco Pertini
Ecco, Toto Cutugno con un repertorio di canzoni melodiche, dai testi spesso rassicuranti, mai urticanti, è di colpo diventato «un italiano» vero, perché così cantava nella sua hit più hit, L’italiano, tradotta e cantata in mezzo mondo: cento i milioni di copie vendute dal cantautore nel complesso. Pero, a ben vedere, Cutugno nell’inanellare una sequenza perfetta di luoghi comuni sull’italianità – la canzone ha esattamente quarant’anni – non lesinava l’orgoglio di avere «un partigiano come presidente»: chiaro il riferimento a Sandro Pertini, al Quirinale ai tempi in cui la canzone arrivò quinta al Festival.
L’incarnazione di quei valori basici che fanno tanto sovranismo
In effetti Cutugno, come anche Pupo o Al Bano, come i tanti artisti usciti nel decennio dell’edonismo reaganiano e assurti a simbolo di uno spirito patrio tutto mamma, pizza e spaghetti, lui che aveva riportato la vittoria dell’Eurovision in Italia già nel 1990, 26 anni dopo Gigliola Cinquetti (altro che Maneskin), è stato (è forse oggi anche più di ieri) l’incarnazione di quei sentimenti puri, di quei valori basici che fanno tanto sovranismo. Osteggiato mica a caso dai critici che oggi vengono dileggiati come radical chic sui social – Dio mio, radical chic gente come Mario Luzzatto Fegiz, Tom Wolfe si starà rivoltando nella tomba. Il video dello scazzo tra Cutugno e il duo Vacalebre/Fegiz al Dopofestival targato Elio e le Storie Tese è in queste ore virale: lui a rinfacciare ai giornalisti il loro essere sempre fermi sulle medesime idee, e a sbeffeggiare Fegiz per quel suo criticarlo in pubblico e chiedergli in privato di portarlo con sé in uno dei suoi tanti viaggi in Russia.
Era in una black list dell’Ucraina, non gradito dal presidente Zelensky
Questo oggi Fratelli d’Italia non lo ricorda, seppur ci sia palesemente chi ne avrà gioito, ma Cutugno, come Al Bano e Pupo, era in una black list dell’Ucraina, non gradito dal presidente Volodymyr Zelensky per la sua popolarità presso il popolo russo. Chiamale se vuoi contraddizioni, come quelle di Amadeus, padre padrone del Festival negli ultimi anni, reo di aver spostato i soloni delle classifiche di streaming all’Ariston, che oggi a sua volta lo piange, lui che ha tenuto debitamente la porta chiusa a Cutugno e a tutti quelli della vecchia guardia, lasciando giusto spazio per qualche passaggio sempre in odor di trash. Saperlo oggi al centro di una bagarre, perché usato a mo’ di manganello per colpire la puzza sotto il naso di certa intellighenzia, o presunta tale, manco Cutugno fosse il villain di una storia che ha per eroina Concita Di Gregorio, fa quasi sorridere. L’idea che piacesse al popolo viene usata per indicare un paradosso che però non tiene affatto conto del fatto che quel popolo, oggi, ha probabilmente la sua stessa età, visto che oggi le classifiche non le dominano certo gli ottantenni, ma i bimbiminkia che L’italiano non solo non lo cantano, ma neanche lo parlano correttamente: tutto un bro’, fra’ e amenità varie.
Come cambiano gli italiani veri #TotoCutugno pic.twitter.com/o8MxxqeFQX
— Il Grande Flagello (@grande_flagello) August 23, 2023
Voglio andare a vivere in campagna, il green prima dell’ambientalismo
Resta che Cutugno era nazionalpopolare, e in quanto tale collocabile perfettamente in una epoca passata, quella in cui Sanremo non seguiva Spotify, semmai era un caso fenomenologico a se stante: chi dominava lì, come lui, funzionava poi in classifica e nel mondo, non il contrario. In questi casi si dice “la terra ti sia lieve”, espressione latina che richiama quella terra che lui, in netto anticipo sui tempi, ambiva a sentire ancora sotto i piedi: la sua Voglio andare a vivere in campagna è un brano green di quando l’ambientalismo era neanche una ipotesi e il mondo correva tutto verso le città. Mica a caso anche Coldiretti lo piange con un post. Ad ascoltarla oggi fa un po’ sorridere, ma meglio non dirlo a voce alta: passare per snob sarebbe un attimo. E questo è il pensiero unico di chi dice di non volere il pensiero unico.