Tommaso Paradiso, un tramonto in solitaria

Chi ha ucciso Tommaso Paradiso? È estate, fa molto caldo, e l’idea di trovarci di colpo in un paesaggio autunnale, piovigginoso, fresco seppur inquietante come Twin Peaks non dovrebbe essere altro che di conforto. Per questo la citazione davidlynchiana posta in esergo potrebbe starci tutta, visto che non di omicidio, non scherziamo, ma di sparizione totale dalle scene andremo a parlare. In realtà, però, a parte l’idea horrorifica di vedere il barbuto cantante di Roma Nord al posto della bionda Sheryl Lee nei panni di Laura Palmer – una partenza del genere indurrebbe un lettore distratto a immaginarsi un qualche intrigo, volendo anche di taglio esoterico – si parlerà solo della storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani (e a ogni piano ripete «fino a qui tutto bene», sì, anche questa è una citazione cinematografica, anche questa fuoriluogo, fa caldo, lasciateci cazzeggiare un po’). Meglio quindi partire direttamente da lui, Tommaso Paradiso, e dalle sue parole.

Tommaso Paradiso, un tramonto in solitaria
Tommaso Paradiso con Carolina Sansoni a Venezia nel 2017 (Getty Images).

Le hit ruffiane e l’addio a TheGiornalisti dopo la firma con la Universal

«Ti lascio un vocale di dieci minuti soltanto per dirti che sono felice». Alzi la mano chi, almeno una volta, non si è giustificato, nel mezzo di un vocale un po’ troppo lungo, citando i versi del sommo poeta. Il fatto è che ci sono canzoni, e so che nell’azzardare il paragone che sto per azzardare mi condannerò alla perdizione eterna, che sono destinate a entrare nel nostro immaginario ben più di quanto una canzone non potrebbe di suo fare. Pensate a, che so, «inseguendo una libellula in un prato», che come l’intro della Nona di Beethoven chiama a sé la chiusa perfetta, «un giorno che avevo rotto col passato/quando già credevo d’esserci riuscito/ son caduto». O a «Quella sua maglietta fina», a «Felicità/ è un bicchiere di vino con un panino», tanto per non dare l’impressione che si stia facendo un inchino passivo verso il cantautorato, quello serio. Ecco, Felicità puttana dei TheGiornalisti è una di quelle canzoni lì, quelle che hanno creato uno slogan capace di entrare nel nostro immaginario per rimanerci a lungo. A dirla tutta ben più a lungo di chi quegli immortali versi ha scritto, perché i TheGiornalisti, band romana capitanata da Tommaso Paradiso, di lì a breve – la canzone è stata un tormentone, vero, del 2018, uscita giusto in giugno, tanto per ricalcare il successo precedente di brani come Riccione, uscito esattamente un anno prima, e Pamplona, in realtà nel repertorio di Fabri Fibra ma che aveva Paradiso a cantare il ritornello – nel settembre 2019, Paradiso è uscito dal gruppo, come un novello Jack Frusciante. Sancendo non solo la fine della band, ma anche la sua fine artistica. Felicità puttana, ruffiana già dal titolo, era la seconda traccia incaricata di anticipare l’uscita del primo album per una major, la Universal, album che sarebbe uscito in settembre e dall’altrettanto ruffiano titolo Love. Vera e propria voragine nelle casse della major francese, se è vera la voce secondo cui la band firmà un contratto milionario giusto un anno prima di mandarsi allegramente a quel paese, e giusto un secondo dopo aver riempito, parzialmente e coi soliti trucchetti dei promoter italiani, il Circo Massimo di Roma.

Film, album solisti e canzoni imbarazzanti ci hanno restituito un Tommaso Paradiso imbolsito (artisticamente)

Da quel momento, dopo le prime giornate passate a cercare di capire quel che era ben più che palese, cioè che chi aveva scritto tutte le tracce volesse da un certo momento in poi capitalizzare in solitaria un successo comunque ottenuto in gruppo, è cominciato una sorta di circo (non Massimo) di ipotesi su quello che il futuro avrebbe riservato a Tommaso Paradiso. Perché era indubbio che da un lato il nostro avesse una certa facilità nel tirare fuori motivetti ruffiani, siamo sempre lì, capaci di diventare hit, ma dall’altro, vedi tu la sfiga, la pandemia prima, e un cambio di mode musicali poi, sembravano mettere in dubbio quella deflagrazione tipo Ground Zero che in molti, specie chi aveva posto il contratto milionario sotto il naso dei TheGiornalisti, sembrava dare per certo. Così ecco alcuni singoli, il primo, Non avere paura è uscito praticamente mentre ancora la faccenda della sua fuoriuscita dai TheGiornalisti non era manco chiarissima, e considerando che per caricare le canzoni su Spotify, specie allora, ci voleva ben più di qualche giorno, in molti hanno pensato che fosse tutto stato organizzato per tempo, con buona pace di coloro che sin da subito sono stati “gli altri due dei TheGiornalisti”. Brani quali I nostri anni, Ma lo vuoi capire, Ricordami, accompagnati da pezzi altrettanto imbarazzanti quali La luna e la gatta, in compagnia di Calcutta e Jovanotti, tutti ospiti di Takagi & Ketra per i quali Paradiso aveva già scritto L’esercito dei selfie, cantata da Arisa e Lorenzo Fragola, e con cui aveva collaborato in Da sola/In the night, in compagnia di Elisa. Insomma, una accelerazione couplandiana verso l’effimero e il pop usa e getta, con numeri che però col tempo si sono fatti meno roboanti, e di conseguenza hanno reso il suo nome un po’ meno pesante (fatto che per chi ambisce a essere re della musica leggera potrebbe dar vita a un paradosso). L’uscita del suo film, come autore, Sotto il sole di Riccione, in piena pandemia, del suo primo film da regista, Sotto le nuvole nel 2022, e poi del suo primo album solista, Space Cowboy, manco fosse Jamiroquai, ce lo hanno restituito  imbolsito, non fisicamente ma artisticamente, appannato, e forse fuori tempo massimo (sempre senza circo).

Tommaso Paradiso, un tramonto in solitaria
Tommaso Paradiso al Giorgio Armani Fashion Show nel 2021 (Getty Images).

Amore indiano e l’improbabile collaborazione con i Baustelle

Una sua continuamente ventilata e poi sfumata partecipazione al Festival di Sanremo, ma soprattutto il suo essere uscito dai radar di chi la musica la ascolta di frequente – oggi un pubblico giovanissimo dedito in prevalenza a quella effimera forma di rap che ha gente come Tedua, Lazza o Rkomi come alfieri – l’ha visto passare nel giro da poco tempo dalla figura di gigante a quella di nano (è una citazione di una figura retorica, alla larga i paladini del politicamente corretto). Il singolo dell’estate, Amore indiano, in compagnia dei Baustelle, accoppiata quantomai improbabile, più che provare a spostarlo dalle parti di una musica credibile (Bianconi e soci da sempre sono quasi intoccabili per la critica), sposta questi ultimi nei pressi di un baratro nel quale cadere potrebbe risultare fatale. Non fosse che la musica proposta negli anni – fatta salva qualche eccezione come alcune tracce di Completamente Sold Out e anche Luca lo stesso scritta per Luca Carboni, ma parliamo del 2015 – è di quelle che sì ti si incollano alla testa, ma esattamente come ti si incolla al palato una di quelle caramelle gommose che sai ti porterà via una otturazione, e comunque ti farà cariare almeno un paio di molari – verrebbe da dire che è un peccato che Tommaso Paradiso sia già uscito di scena. Ci consola l’idea che non avremo altri modi di dire quali quello da cui questo articolo ha mosso i primi passi: la corsa che la nostra cultura, parlo di cultura popolare, sta facendo come un gruppo di Lemming verso il burrone è già piuttosto lanciata di suo, possiamo serenamente rinunciare a dover spiegare ai nostri figli che non si dice «faccio a schiaffi con le onde e con il vento e le prendo», a meno che non le vogliano prendere davvero.

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