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Perché anche Sanremo 2024 targato Amadeus sarà un Festivalbar

Amadeus ha annunciato il cast del prossimo Festival della Canzone Italiana di Sanremo, edizione 74. Cast che verrà poi rimpinguato dai tre nomi che accederanno alla categoria Big per aver vinto l’imminente contest Sanremo Giovani, portando a 30 il numero dei concorrenti in gara.

Perché anche Sanremo 2024 targato Amadeus sarà un Festivalbar
La lista dei cantanti in gara a Sanremo 2024 (dal profilo Instagram di Amadeus).

Un cast che sorprende, ma solo a metà

Sì, 30. Perché Amadeus, giunto alla sua ultima, per ora, edizione alla conduzione e alla direzione artistica – con questa del 2024 saranno cinque di fila – ha ancora una volta deciso che il regolamento del Festival, da lui stesso redatto, poteva essere tranquillamente modificato in corsa, andando ad allargare il range dei concorrenti. Se infatti domenica tutti ci aspettavamo i 23 nomi, molti pronti a dire «era già tutto previsto», come nel noto inciso cantato una vita fa da Riccardo Cocciante, il presentatore veronese di origini siciliane, con un vero colpo di teatro, ha sorpreso tutti annunciando all’inizio del Tg1 che il numero sarebbe stato più alto, e andando poi a sciorinare i 27 nomi da se medesimo scelti, 13 in un primo blocco, 14 nel blocco successivo. Se è vero che in parte i nomi presentati erano assolutamente telefonati – erano presenti in tutte le liste fake che nelle ultime settimane, come ogni anno, intasano la Rete – come Annalisa, Angelina Mango, The Kolors approdati al Festival come per acclamazione universale forti di hit messe a segno durante l’estate, è altrettanto vero che ci sono anche delle sorprese davvero inaspettate, nomi che hanno fatto letteralmente saltare sulla sedia i tanti addetti ai lavori che a casa aspettavano di sapere chi avremmo visto calcare le assi dell’Ariston a febbraio, in quelle che a questo punto si prospettano come interminabili serate.

Amadeus ha accolto il gotha del mercato: da Geolier ad Annalisa, da Mr Rain ad Alfa e Rose Villain

Questo quindi l’elenco che Amadeus ha annunciato: Fiorella Mannoia, Geolier, Dargen D’Amico, Emma, Fred De Palma, Angelina Mango, La Sad, Diodato, Il Tre, Renga e Nek, Sangiovanni, Alfa, Il Volo, Alessandra Amoroso, Gazzelle, Negramaro, Irama, Rose Villain, Mahmood, Loredana Bertè, The Kolors, Big Mama, Ghali, Annalisa, Mr Rain, Maninni e i Ricchi e Poveri. Un cast incredibile, va detto, e non fossimo lucidamente a fissare il sistema musica da lungo tempo si potrebbe quasi azzardare un ce n’è per tutti i gusti. In realtà Amadeus – che non crediamo affatto mollerà l’osso nel 2025, con una conduttrice posta frontalmente per ricordare che il mondo della musica è saldamente e indissolubilmente in mano agli uomini – ha definitivamente spostato a Sanremo quello che un tempo era lo spirito del Festivalbar. Con la scusa di inseguire il gusto delle radio, proprio oggi che le radio a causa di Spotify e affini stanno morendo in una costante emorragia di ascoltatori e di hype, Amadeus ha raccolto a sé il gotha del mercato, reale o apparente. Quindi ecco ancora una volta il campione di vendite, Geolier, che a fine anno sarà titolare dell’album più ascoltato, il suo Il coraggio dei bambini è infatti il lavoro che andrà a sostituire in vetta Sirio di Lazza, a sua volta a sostituire Taxi Driver di Rkomi, tutti di volta in volta poi in gara al Festival. Ecco Annalisa, nostra signora del pop con la tripletta Bellissima, Mon Amour e Ragazza sola, il suo primo Forum roba di poche settimane fa. Ecco i The Kolors, la cui ItaloDisco è diventata da outsider il vero tormentone dell’estate. Ecco Angelina Mango, che a oggi è la donna dei record per ascolti e velocità di raggiunta del vertice delle classifiche in questo anomalo 2023. Ecco Alfa, uno dei pochi in gara senza una major alle spalle, lui è con Artist First, forte del megasuccesso di Bellissimissima, hit assolutamente jovanottiana che ha portato un po’ di solarità in un tempo altrimenti musicalmente spesso oscuro. Volendo anche ecco Mr Rain, che con la sua Supereroi è stato uno dei vincitori morali dell’ultima edizione del Festival a metà con Tananai, e anche ecco Rose Villain, nome magari non notissimo a un pubblico mainstream, ma che coi suoi duetti ha conquistato un bel numero di dischi di platino, spesso facendo da traino ad artisti non esattamente in splendida forma, è il caso di questa estate di Fragole con Achille Lauro.

La carica degli ex vincitori: un modo per rimettersi in gioco

Poi c’è chi al Festival ci è stato e lo ha anche vinto, con alterne fortune. Partiamo da Diodato, che è arrivato primo nell’anno peggiore, il 2020, giusto un paio di settimane prima che la pandemia ci chiudesse tutti in casa, di nuovo a Sanremo per provare a capitalizzare un talento indubbio. Segue Emma che invece non è mai sparita dalla scena, spesso dalle parti di Maria De Filippi, ma che negli anni ha visto il proprio gradimento erodersi, al punto da essere finita a fare un tour in locali decisamente meno ambiziosi di quelli cui avrebbe dovuto puntare, la necessità di rifarsi il maquillage è quindi assolutamente stringente. Ecco Mahmood, anche lui un po’ in affanno, nonostante le due vittorie nei suoi due ultimi passaggi sanremesi, da solo con Soldi e in coppia con Blanco con Brividi. I concerti però non hanno incontrato il plauso del pubblico. Poi c’è Il Volo, che torna a Sanremo dopo aver conquistato il mondo, di nuovo all’Ariston per presentare il primo progetto pop, lontano dai classici e dalla lirica, una delle attese più curiose del Festival. Ecco anche Francesco Renga, vincitore nel 2005 con Angelo, stavolta in gara con Nek, dopo un album e un tour in coppia, anche in questo caso una carriera un po’ da rimettere in sesto, e comunque la voglia di far conoscere un progetto atipico, che vede due popstar di mezza età mettersi in gioco.

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Diodato a Sanremo 2021 (Getty Images).

La categoria streaming: tante visualizzazioni, ma poca notorietà mainstream

Altra categoria presente, e non poteva che essere così, quella di chi si muove o si è mosso proprio nel mondo dello streaming, portando a casa risultati importanti, anche senza necessariamente essere entrato nell’immaginario collettivo (lo streaming è trasversale anagraficamente solo nella narrazione di chi lo pratica, nei fatti è appannaggio di un pubblico esclusivamente di giovanissimi). Quindi la presenza di Fred De Palma, re indiscusso dei tormentoni estivi in odor di reggaeton, di Il Tre, rapper invero piuttosto interessante e originale, di Sangiovanni, già passato da Sanremo dopo essere esploso a Amici, e incappato in un semiflop con il brano proposto in coppia con Mr Rain, e dello stesso Ghali, recentemente fuori con un lavoro duramente stroncato dalla critica, va letta in questa maniera. Irama, che è uno con numeri pazzeschi e con una carriera interessante alle spalle, torna a breve giro per rilanciare, si suppone, il lavoro split con Rkomi, No stress, presentato come un futuro blockbuster ma al momento abbastanza fermo ai blocchi di partenza… staremo a vedere.

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Ghali (Getty Images).

I pezzi da novanta – Mannoia, Bertè, Negramaro – e la sottocategoria Granny rappresentata da I Ricchi e Poveri

Arrivano poi i pezzi da novanta, si parli di carriera o di numeri. Ecco quindi Fiorella Mannoia, che si mette nuovamente in gioco dopo aver sfiorato la vittoria nel 2017 con Che sia benedetta – Occidentalis Karma di Gabbani a sfilarle il primo posto da sotto il naso – Loredana Bertè, in ritrovato stato di grazia, una delle nostre artiste più originali e dotate di propria personalità; i Negramaro, che avevano a suo tempo giurato non sarebbero più tornati al Festival dopo l’ingiusta eliminazione proprio nel Sanremo di Angelo con Mentre tutto scorre, ma che si rimettono in gara anche per lanciare, si suppone, il prossimo tour negli stadi. I Ricchi e Poveri – che potrebbero rientrare sia nella categoria dei pezzi da novanta, seppur si dovrebbe più dire pezzi da 70 e da 80, come in quella degli ex vincitori – rientrano in realtà nella classica categoria Granny, tanto cara ad Amadeus, quella occupata in passato da Orietta Berti, o dai Cugini di Campagna. Un contentino al pubblico over 60 di Rai1, verrebbe da ipotizzare. Comunque un felice ritorno per chi la storia di Sanremo l’ha fatta davvero.

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Loredana Berté a Sanremo 2021 (Getty Images).

Gli outsider Gazzelle, Big Mama e lo sconosciuto Maninni e il colpaccio Amoroso

Ci sono poi i classici outsider, tali non solo per il pubblico televisivo o musicalmente mainstream, ma in un caso anche per noi addetti ai lavori. Come I La Sad, trio pop-punk o punk-pop assolutamente imprevedibile, con una energia che difficilmente sarà contenibile durante i giorni del Festival e che siamo sicuri ci daranno belle soddisfazioni, diciamo la quota Rosa Chemical di quest’anno. Ecco Big Mama tornata a Sanremo dopo il bellissimo duetto dello scorso anno con Elodie, in una American Woman assolutamente da incorniciare, femminista cazzutissima (vedi il patriarcato che è in me) pronta a regalare sicuramente una ventata di contenuti e potenza. Ecco Gazzelle, la quota indie di questa tornata, lui che ha già fatto uno Stadio Olimpico, che è comunque un nome di peso di quello che viene comunemente indicato come l’itPop e che ha a suo modo plasmato una generazione di 20enni con le sue rime in bilico tra malinconia e disincanto. Segue Maninni, quello che ha fatto chiedere a tutti: «E questo chi è?», cantante barese passato per il preserale di Amici anni fa, vincitore non arrivato al Festival di Sanremo Giovani l’anno scorso, talento tutto da scoprire. Ultima ma non ultima c’è poi il vero colpaccio di Amadeus, quella Alessandra Amoroso annunciata come possibile concorrente tutti gli anni dalla sua vittoria di Amici, ormai nel 2009, e che finalmente arriva in gara, dopo essere transitata di lì più e più volte come ospite. Un ritorno inaspettato, proprio per quel suo essere la Godot del pop italiano, che la riporta in scena dopo la vicenda della shit storm su TikTok che l’ha duramente provata nell’ultimo anno.

Sanremo 2024 all’insegna di un pop omogeneo e molto maschile

Ce n’è per tutti i gusti? No, assolutamente. C’è un pop piuttosto omogeneo, certo con sfumature che passano dal rap all’indie, con punte sul classico, ma che tagliano fuori tutta una fetta di ascoltatori, tipo i 50enni, ancora una volta tagliati fuori del tutto. Non ci sono cantautori, per dire, non ci sono cantautrici, ancora più per dire, la presenza di sole nove donne in gara, a fronte di 30 uomini – tanti sono i maschietti contando i membri delle band e i duetti – grida vendetta. Come sempre a Sanremo non ci sono tutti quegli artisti che non gravitano fuori dal mondo delle major e quindi dal mondo di Spotify, ultimamente divenuto vero e proprio giardino del Re per quel che riguarda la musica. Il Festival di Amadeus incontrerà sicuramente il placet di un vasto pubblico, perché a un vasto pubblico fa l’occhiolino. Il problema è che è del tutto identico alle classifiche di vendita, non è affatto vero il contrario, così come a tutto ciò che è musica e passa dalla televisione (il fatto che nell’era dei social, di Spotify e delle piattaforme si finisca sempre a inseguire la tv prima o poi andrà approfondito). Così anche quest’anno avremo un cast di Sanremo che somiglia a quello del Concertone del Primo Maggio che somiglia  a quello dei vari Battiti Live o Power Hits Estate e che somiglia addirittura a quello da seconda o terza serata del Club Tenco, tutto uguale e ad appannaggio dei soliti nomi. Poi, è chiaro, a Sanremo guarderemo tutti con curiosità e anche divertimento, perché quei nomi sono comunque interessanti, in alcuni casi anche sorprendenti. Ah, dopo 10 anni dalla vittoria di Arisa sarebbe il caso vincesse una donna, vuoi vedere che è la volta buona che Annalisa porta a casa la statuetta con la palma e il leone?

La svolta di Zonin jr contro il profitto, Fassio imbarcato dalla Treccani e altre chicche

Roma ha perso malamente la gara per l’Expo 2030, una figuraccia a livello mondiale. E anche nelle celebrazioni per Maria Callas la Capitale si sente all’ultimo posto: pure Milano è in pole position con addirittura due mostre, una nelle Gallerie d’Italia con i ritratti dell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo e l’altra nel Teatro alla Scala con “Fantasmagoria Callas”. E allora, che si fa? L’assessore alla cultura del Comune di Roma andrà a mettere il nome “corridoio Callas” al passaggio storico tra il Teatro dell’Opera e l’Hotel Quirinale. E pensare che nella città eterna esiste una strada intitolata a lei, accanto a via Dolores Ibarruri…

Zonin jr contro il profitto

Finalmente uno che ha le idee chiare, che non vuole prendere i giro i risparmiatori, che si batte per l’etica: «La sola logica del profitto senza limiti, l’irrefrenabile capitalismo dell’utile, non è più, per la collettività, sinonimo di buona imprenditorialità. Alle aziende è chiesto di esprimere responsabilità nel proprio operato e giustificare le proprie scelte». Sono le parole di Domenico Zonin, presidente del gruppo Zonin1821. Che poi è il figlio di Gianni Zonin. Chi l’avrebbe mai detto…

La svolta di Zonin jr contro il profitto, Fassio imbarcato dalla Treccani e altre chicche
Domenico Zonin, figlio dell’ex presidente della BpVi (Imagoeconomica).

D’Alema, Craxi e il Cile

Massimo D’Alema, Stefania Craxi, Giorgio La Malfa, Giorgio Benvenuto e Pierluigi Castagnetti sono solo alcuni dei protagonisti delle due giornate del convegno intitolato “A 50 anni dal golpe cileno del 1973. Società italiana e mondo cattolico”, a Roma presso l’Istituto Luigi Sturzo. Tra i nomi non appare quello dell’ex direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, ma tutti sono certi che non mancherà all’appuntamento: la sua consorte è cilena.

Treccani, arriva Fassio

«Con la cultura non si mangia», la frase che è stata attribuita a Giulio Tremonti scatenando le ire dell’ex ministro dell’Economia che assicura di non averla mai pronunciata, piace alla Treccani. Che recependo il messaggio “imbarca” come nuovo consigliere d’amministrazione dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani un personaggio del valore di Ernesto Fürstenberg Fassio, grazie alla Banca Ifis da lui presieduta che ha sottoscritto una quota del 2,4 per cento dell’istituzione culturale nell’ambito dell’aumento di capitale. Fürstenberg Fassio è stato anche protagonista di “Roma Arte in Nuvola”, all’Eur, ma numerosi amici di lunga data lo ricordano nei panni del dj in tante feste allestite in giro nel mondo, anni fa.

La svolta di Zonin jr contro il profitto, Fassio imbarcato dalla Treccani e altre chicche
Ernesto Fürstenberg Fassio (Imagoeconomica).

Zaia e la galera

«Questo è un Paese dove bisogna mettersi di impegno per finire in galera», ha detto Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, a SkyTg24.

I killer mettili a Verona

Filippo Turetta, l’omicida di Giulia Cecchettin, ha incontrato in carcere a Verona Fra Alberto, il frate cappellano, a cui ha chiesto libri da leggere. Nel penitenziario di Montorio spesso vengono portati coloro che si sono macchiati di gravi delitti di sangue nel Nord-Est: qualche cella più in là si trova Benno Neumair, condannato all’ergastolo anche in appello per aver ucciso i genitori a Bolzano. Comunque, nessuno dei due è veronese. Abitava invece a Terrazzo, a pochi passi dalla città scaligera, Gianfranco Stevanin, serial killer di donne.

Frank Zappa, un genio che se n’è andato senza lasciare eredi

«Il compositore Frank Zappa è partito attorno alle 18 di domenica scorsa per il suo ultimo tour». Così, il 6 dicembre 1993, la famiglia dava la notizia della morte del musicista americano, avvenuta due giorni prima, il 4 dicembre (esattamente 30 anni fa), a causa di un tumore alla prostata diagnosticato troppo tardi. La comunicazione, come immaginabile, colpì gli appassionati di tutto il mondo, anche se non giunse, come si dice, come un fulmine a ciel sereno. I fan sapevano della malattia: nel 1991, per esempio, proprio per problemi di salute, il compositore non poté partecipare allo Zappa’s Universe, un grande evento organizzato come tributo per i 25 anni della sua musica (il suo primo album, Freak Out!, venne appunto pubblicato nel 1966), con al centro l’orchestra Of Our Time, diretta da Joel Thome, e, nel 1992,  poté dirigere solo in un paio di brani l’Ensemble Modern, che a Francoforte (poi anche a Berlino e Vienna) eseguì The Yellow Shark, una versione orchestrale/contemporanea di celebri brani dello stesso Zappa, divenuto, l’anno successivo, un disco di culto per i fan del Genio di Baltimora.

Zappa, un genio che sfugge a ogni etichetta

Orfani di Zappa non sono solo gli amanti del rock: tutta la critica, unanimemente, concorda sul fatto che definire rock la sua musica sia piuttosto riduttivo: certamente ne è la componente principale, magari in larga parte predominante, ma sempre in un continuo gioco di contaminazioni con moltissimi altri generi, da quelli più “prossimi”, per esempio il blues, il rhythm and blues o addirittura forme di “proto” rock, come il doo-wop degli Anni 40 e 50, al jazz, alla musica “colta” (contemporanea, sinfonica, dodecafonica, e così via.). «Per Frank Zappa verrà il tempo in cui gli sarà riconosciuto il giusto merito, ossia di essere uno dei più grandi compositori del Novecento». Così ha detto di lui il maestro Pierre Boulez – che commissionò a Zappa una composizione (The Perfect Stranger) per poi dirigerla nel 1984 col suo Ensemble InterContemporain. E a Boulez fa eco un altro grande direttore d’orchestra, Kent Nagano: «Frank è un genio. Questa è una parola che non uso spesso. Ma nel suo caso non è eccessiva. È estremamente istruito musicalmente. Non sono sicuro che il grande pubblico lo sappia… Non è proprio pop, ma è una pop star, non ha fatto proprio rock, ma è pur sempre una rock star, non è nemmeno proprio jazz, ma si è comunque circondato di musicisti jazz. Alla fine non era proprio un ‘compositore serio’, ma ha studiato le opere di Nicolas Slonimsky, Edgard Varèse, e così via. Non si può proprio inserire in alcuna categoria».

Cosa resta del Genio di Baltimora: i 170 album, la “cassaforte” e l’ultimo regalo Funky Nothingness

Se parliamo in termini di produzione, per fortuna l’eredità lasciataci da Frank Zappa è davvero cospicua: non solo possiamo contare ormai su poco meno di 170 album, di cui più della metà usciti postumi, ma possiamo guardare fiduciosi al patrimonio ancora inedito e contenuto nella sua famosa “cassaforte” (the vault) in cui Zappa stesso aveva stivato ogni sorta di registrazione o video, dai concerti a ogni singola performance casalinga o prova. Zappa definiva questa sua vena archivistica compulsiva “project/object”: prima o poi, ogni singolo frammento avrebbe trovato una armonica collocazione e una realizzazione formale e ufficiale. Gli zappiani ne hanno appena avuto una prova con la pubblicazione (lo scorso giugno) di Funky Nothingness, che presenta una serie di inediti e non solo, registrati nel 1969, nelle stesse sessioni da cui nacque Hot Rats, e appunto mai pubblicate prima d’ora. Se per eredità si intende invece la ideale prosecuzione del suo stile, le cose si complicano un po’. Esistono ottimi epigoni, a cominciare da Dweezil Zappa, secondogenito di Frank, che, dal 2006, porta sulle scene, con grande bravura, la musica paterna, o diversi altri ex-alumni zappiani in varie band. E non mancano ottimi musicisti che hanno creato tribute band di grande qualità (non lo dico per mero spirito patriottico, ma, a livello internazionale, tra i migliori citerei la band torinese Ossi Duri, i chitarristi Sandro Oliva e Dan Martinazzi, i Fast & Bulbous e il pianista-tastierista-compositore Riccardo Fassi con la sua Tankio Band). Se parliamo di eredi in senso compositivo, creativo, musicale non saprei fare nomi.

Frank Zappa, un genio che se n'è andato senza lasciare eredi
Frank Zappa nel 1978 (Getty Images).

L’attrazione per il politicamente scorretto e l’attualità dei testi

Si potrebbe rispondere in molti modi alla domanda perché ascoltare Zappa oggi. La risposta più banale è che la musica di Frank Zappa è bellissima. Ma è anche assolutamente contemporanea: Zappa ha, di fatto, sperimentato e quindi anticipato di decenni, moltissime forme musicali che oggi ascoltiamo. Compreso il rap. Se ascoltate qualunque disco del Genio di Baltimora, vi sembrerà appena realizzato. Per non parlare dei suoi testi: la sua ironia sferzante, il suo continuo fustigare ogni potere costituito (politico – repubblicano o democratico che fosse – economico, religioso – anche qui, senza distinzione di credo), denunciandone i vizi, ma anche la prepotenza e la tracotanza, il sarcasmo nel colpire i luoghi comuni, i tic e i tabù della media borghesia (statunitense) sono di una attualità quasi sconcertante. Anzi, chissà quali argomenti avrebbero offerto oggi a Zappa personaggi come Trump o Biden, ma anche Putin e tanti altri. Certo, oggi avrebbe qualche problema, ancor più che in passato, per la sua incontenibile attrazione per il politicamente scorretto. La discografia zappiana straripa di testi ironici, qualche volte anche “pesanti” – ma sempre per pura finzione – nei confronti, per esempio, delle donne (non furono in pochi a additarlo come misogino), degli omosessuali, o dei predicatori religiosi o, ancora, di una classe media americana continuamente lacerata dal dissidio interiore tra puritanesimo e pulsioni – a volte perversioni – sessuali. A chi gli chiedeva, per esempio, perché mai avesse intitolato un suo brano Titties and beer (Tette e birra), rispose che la canzone era stata scritta per diventare un classico, perché conteneva esattamente tutto ciò che piace all’americano medio: le tette e la birra. Senza contare le decine e decine di testi dedicati alle varie tipologie di “stupidi”, a qualunque livello: sociale, economico, politico, religioso, artistico, ecc. Del resto, Zappa si è sempre detto convinto del fatto che, nell’universo, l’elemento più abbondante non sia l’idrogeno, bensì proprio la stupidità.

Spagna, secondo Sanchez l’amnistia avrà effetti benefici per la Catalogna

L’amnistia che i partiti del governo spagnolo guidato da Pedro Sánchez puntano a concedere ai secessionisti avrà «effetti benefici, balsamici, per normalizzare la vita politica, economica e sociale in Catalogna». Lo ha detto il premier spagnolo in un’intervista concessa alla radio Cadena Ser, in risposta all’esito di un sondaggio secondo cui quasi il 60 per cento degli spagnoli considera l’amnistia (che gli ha garantito la maggioranza in parlamento) «ingiusta» e «un privilegio».

Spagna, per Sánchez l'amnistia avrà effetti benefici per la Catalogna. Ma il 60 per cento dei cittadini non la vede di buon occhio.
Il giuramento di Pedro Sanchez, alla presenza del re Felipe VI (Getty Images).

La spiegazione di Sanchez: l’amnistia ha frenato l’avanzata della destra e normalizzerà la questione catalana

«Mi sembra normale che molte persone in altre parti della Spagna non siano d’accordo o abbiano dubbi sull’eccezione alla norma rappresentata da amnistia e indulti», ha dichiarato Sanchez, sottolineando però che in Catalogna la misura è meglio accolta dai cittadini, secondo lo stesso sondaggio. Il primo ministro spagnolo ha poi messo in risalto due buoni motivi per promuovere l’amnistia: «Uno, il fatto di avere un governo progressista e di mettere freno all’avanzata del Partito popolare e dell’estrema destra» e «due, di seguire una politica coerente con quella di normalizzazione e stabilizzazione seguita negli ultimi cinque anni» per quanto riguarda la Catalogna.

Spagna, per Sánchez l'amnistia avrà effetti benefici per la Catalogna. Ma il 60 per cento dei cittadini non la vede di buon occhio.
Un intervento di Sanchez in parlamento (Getty Images).

Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro l’amnistia

Rispondendo alla chiamata del Partito popolare di Alberto Nunez Feijoo, centinaia di migliaia di persone avevano invaso le piazze dei capoluoghi spagnoli il 12 dicembre, in una serie di manifestazioni di protesta contro l’accordo del Partito socialista con il partito separatista catalano Junts, che prevede l’approvazione di una legge che garantisce l’amnistia alle persone condannate per il tentativo della Catalogna di secedere dalla Spagna nel 2017.

Firenze, Schmidt con Salvini e quella tentazione di candidarsi a sindaco

Chi frequenta i social si sarà imbattuto sabato 2 dicembre nella foto di Matteo Salvini e Eike Schmidt Open to meraviglia davanti alla Venere del Botticelli. C’era il raduno delle destre-destre a Firenze e il direttore del Museo degli Uffizi non ha perso l’occasione per farsi vedere accanto al ministro delle Infrastrutture. «O fai il direttore di un museo oppure ti dimetti e fai politica», gli aveva intimato Dario Nardella qualche mese fa, quando cominciarono i rumors sulla sua candidatura a sindaco di Firenze per la destra. «Ci penserò quando scadrà il mio mandato agli Uffizi, a Natale», rispose lui. Natale è alle porte e la foto del direttore col ministro lascia presagire che siamo forse alla vigilia di una decisione.

Schmidt, il comunicatore: dall’operazione Ferragni (organizzata però da Vogue) al restyling delle sale 

Eike Schmidt, dal 2015 alla guida del più importante museo italiano, è uno di quei super direttori che furono scelti da Dario Franceschini dopo la riforma che apriva agli stranieri quei posti prestigiosi. «Schmidt», lo impallinò Nardella, «si vorrebbe candidare lasciando alla città le due gru del cantiere degli Uffizi, i ritardi sul Corridoio Vasariano e un bel giardinetto di quartiere all’uscita del Museo». Perché, diciamolo, Schmidt non è uomo da infrastrutture come il gruista Salvini: è più che altro affascinato dalla comunicazione. Si prese per esempio il merito di aver invitato Chiara Ferragni – Open to meraviglia anche lei davanti alla Venere del Botticelli con relativo selfie da 17 milioni di visualizzazioni – ma si è scoperto dopo che la celebre influencer era agli Uffizi per conto di Vogue Hong Kong. Sempre meglio delle infrastrutture sono poi gli interventi sugli arredi: il decor è più facile e più comunicativo rispetto al rifacimento dell’Uscita dalla Galleria, ideato dall’archistar Arata Isozaki, bocciato dal Consiglio superiore dei Beni Culturali che, con assist tempestivo, ha sollevato Schmidt da una rogna non da poco. Via allora, con l’aiuto dell’architetto Antonio Godoli, al restyling delle sale. Il primo intervento è sul famosissimo Tondo Doni di Michelangelo che, nel nuovo allestimento, è stato inserito in una struttura aggettante che ne riprende la forma circolare. La luccicante cornice bianca del Tondo è stata paragonata a una lavatrice, a un oblò, a un bersaglio da tiro con l’arco, al woofer di una cassa acustica, al logo dei Looney Tunes ed è stata oggetto di altre centinaia di parodie. Il direttore l’ha presa bene e, per via di quella fascinazione per la comunicazione di cui si diceva, aprì con un tweet sull’account ufficiale del Museo una sorta di gara a creare il layout più fantasioso della sala 41: «Invito i nostri follower a proporre creative rivisitazioni», scrisse incauto. Perché «quando un’opera d’arte, soprattutto se un tesoro dei secoli passati, diventa protagonista del dibattito popolare, è sempre cosa buona».

Firenze, Schmidt con Salvini e la tentazione di candidarsi a sindaco
Eike Schmidt, direttore degli Uffizi (Imagoeconomica).

Il profilo TikTok e la deriva giovanilista degli Uffizi

Sarà per questo che gli Uffizi hanno lanciato ora un profilo TikTok demenziale. Increduli, siamo andati a vedere i TikTok del Metropolitan e del Louvre per vedere se anche quelle istituzioni autorevoli si erano lasciate influenzare dalla deriva giovanilista che ha contagiato gli Uffizi. Ma no, è solo @uffizigalleries che ha arruolato tale “principino” Massimiliano Pedone che dice di visitare il museo «da solo, senza plebe», oppure tale Ray Sciutto, in calzoni corti e bandana, per il quale Michelangelo è «uà, proprio bravo questo guagliò», mentre alla povera Venere del Botticelli, assunta a cottimo, fanno dire: «Lo so di essere odiata dagli altri quadri, perché sono la più fotografata di tutta la Galleria». Potevano mancare il metaverso e gli NFT tra i luoghi comuni che sembrano ispirare la comunicazione di questo luogo d’arte non comune? No, naturalmente. Prudenza avrebbe voluto prendersi un attimo di riflessione, invece di inseguire, per paura di restare indietro, la moda del momento che, purtroppo per gli Uffizi, sembra già tramontata, sostituita da altre più aggiornate: «Dall’America si attendeva la notizia arrivata grazie alla tecnologia dell’azienda Cinello», scriveva con lo stesso stile con cui tratta le piccole medie imprese, Il Sole 24 ore del 18 maggio 2021. «Il Tondo Doni è ora in versione digitale ed è un pezzo unico (chissà cos’era prima ndr). Realizzato attraverso un brevetto esclusivo, il DAW (Digital Art Work) l’opera di Michelangelo è la prima al mondo resa unica (sic) grazie a un sistema crittografato brevettato che impedisce la manomissione e la copia e tramite NFT ne certifica la proprietà». Bene, attendiamo il comunicatore Eike Schmidt alla prova, un po’ più difficile, di sindaco di destra della città di Firenze: è, probabilmente, l’ultima chance che gli resta. Doveva andare a dirigere il Kunsthistorisches Museum ma non se ne è fatto nulla: a Vienna, devono essersi impauriti.

Il Venezuela ha approvato con un referendum l’annessione di una regione della Guyana

Tramite un discusso referendum i cittadini del Venezuela hanno votato in favore dell’annessione al territorio nazionale della Guayana Esequiba, parte della Guyana ma rivendicato da oltre due secoli dal Paese oggi guidato da Nicolás Maduro, dove è conosciuta come Zona en Reclamación. Per decenni il contenzioso era stato quasi dimenticato, ma nel 2015 è riemerso quando la statunitense ExxonMobil ha rilevato nell’area importanti riserve di petrolio. Oltre il 95,93 per cento degli elettori che ha partecipato al voto (affluenza superiore al 50 per cento) ha scelto di sostenere la creazione di una provincia venezuelana nella regione e di estendere la cittadinanza venezuelana agli abitanti dell’area (scarsamente popolata). Il tutto senza il permesso della Guyana.

Il Venezuela di Maduro ha approvato con un referendum l'annessione dell'Esequibo, che fa parte della Guyana.
Nicolás Maduro festeggia la vittoria del “sì”(Getty Images).

Storia di un territorio conteso tra Venezuela e Guyana da oltre due secoli

La Guayana Esequiba è un’area del massiccio della Guyana a est del Venezuela, compresa entro i fiumi Cuyuni e Essequibo. Ha un’estensione di 160 mila chilometri quadrati e, come detto, è ricca di petrolio, così come di oro e gas. Colonizzata inizialmente dagli spagnoli, nel 1811 entrò a far parte della neonata República Bolivariana de Venezuela. Ma dopo soli tre anni Regno Unito e Paesi Bassi stipularono un accordo con cui la Guyana entrò a far parte dell’impero britannico, senza però definire in modo netto i suoi confini occidentali. La Guyana, appunto, sostiene i suoi diritti sull’Esequibo in base a un lodo arbitrale del 1899, che le assegnò la sovranità sul territorio quando era ancora sotto il dominio del Regno Unito, mentre Caracas difende quale meccanismo per risolvere la controversia l’accordo bilaterale raggiunto a Ginevra nel 1966, anno in cui l’ex colonia britannica diventò indipendente.

Il Venezuela di Maduro ha approvato con un referendum l'annessione dell'Esequibo, che fa parte della Guyana.
Un murale per l’annessione dell’Esequibo (Getty Images).

Maduro esulta: «Il vero vincitore è stato il popolo venezuelano»

«Con la schiacciante vittoria nel referendum sull’Esequibo abbiamo dato i primi passi per una nuova tappa storica», ha dichiarato Maduro. Il vero vincitore, ha aggiunto in un discorso sulla Plaza Bolivar di Caracas, «è stato il popolo venezuelano con l’esercizio pieno della sovranità che gli conferisce la Costituzione bolivariana». Il primo dicembre, su iniziativa della Guyana, la Corte internazionale di giustizia dell’Aia aveva chiesto al Venezuela di «astenersi da iniziative che dovessero modificare la situazione prevalente nel territorio in litigio», ma non ha posto limitazioni al referendum. Da parte sua, Georgetown ha parlato di «livelli di tensioni senza precedenti» tra i due Paesi, sottolineando che non avrebbe riconosciuto i risultati del referendum, dall’esito scontato.

La questione della Guyana Esequiba sta alimentando forti tensioni in Sud America

Tutt’altro che scontato invece cosa riserverà il futuro. La creazione di una provincia venezuelana nell’Esequibo, sulla falsariga di quanto accaduto con Crimea e Russia, è una possibilità remota. Servirebbe infatti modificare la Costituzione del Venezuela e probabilmente, anche un intervento militare. Il Brasile, che confina con la Guyana, guarda con interesse e un po’ di preoccupazione. Il referendum sembrava più un tentativo da parte Maduro di aumentare la propria popolarità in vista delle elezioni del 2024, ma sta alimentando forti tensioni in Sud America.

La mina impazzita Salvini, il caso Vannacci e la continua destabilizzazione di Meloni

A pranzo l’annuncio messianico dei partecipanti al Festival di Sanremo 2024, nel pomeriggio quello di Roberto Vannacci reintegrato con tanto di promozione checché se ne dica nel club dei generali, a cena la strabordante vittoria dell’Inter sul Napoli. Domenica la cronaca si è messa d’impegno per oscurare Matteo Salvini e il suo raduno sovranista di Firenze. Ma il leader della Lega, lesto come un gatto (nero, il colore che ha scelto di indossare forse per essere più in sintonia con le idee dei suoi ospiti) ha in parte parato il colpo mettendo subito il cappello sulla nomina dell’autore de Il mondo al contrario di cui è toccato al povero Guido Crosetto, ossia colui che all’uscita del libro gli aveva dato dell’eversore, difendere le ragioni.

 

Del resto Giorgia Meloni era in missione in Serbia. Forza Italia alle prese con le sue beghe pre-congressuali, e quindi il Capitano restava assoluto padrone della scena a giocare pesantemente contro la maggioranza che lo vede parte in causa, visto che la sua variopinta compagina di sovranisti raggruppati sotto le insegne di Identità e democrazia si muove su posizioni diametralmente opposte.

Giorgetti in prima fila a Firenze senza fare un plissé: ma come fa?

Come rilevato in più occasioni, l’ultima delle preoccupazioni della premier dev’essere il sorgere alla sua destra di un partito che raggruppi quei camerati e rossobruni che fanno coincidere il suo ingresso a Palazzo Chigi con la clamorosa e sacrilega abiura delle sue idee littorie. Quel partito ce l’ha già in casa, ed è il Carroccio. Come abbiano fatto i suoi esponenti governisti a stare in prima fila a Firenze senza fare un plissé, compreso Giancarlo Giorgetti, è difficile da spiegare. Il titolare del Mef tra l’altro aveva fresca in testa la convinta apologia europeista fatta dal suo mentore Mario Draghi, esattamente il contrario di quanto si è sentito dal palco fiorentino. Un tripudio di finiamola con l’Europa del pluto giudaico massonico Soros, dei banchieri centrali che rovinano la gente, di Von der Leyen e co. che hanno usurpato il posto dove sono seduti, di muri da costruire.

Salvini spinge sulle Europee 2024 a costo di destabilizzare il governo

Bel problema per Meloni, che non può certo cavarsela gettando di continuo acqua sul fuoco delle intemperanze del suo vice. Il quale di qui alle elezioni europee di giugno 2024 caricherà sempre più a testa bassa, convinto che un successo della Lega, quindi suo, valga il rischio di destabilizzare la maggioranza di governo. Prossimo passo, c’è da scommetterci, l’offerta a Vannacci della candidatura a Bruxelles. Nonostante la promozione a capo di stato maggiore del comando delle forze terrestri (non male per uno accusato dal suo ministro di riferimento di aver screditato esercito, difesa e Costituzione) con cui si è provato a scongiurarla.

Brescia, operazione antiterrorismo jihadista: due arresti

A Brescia un’operazione antiterrorismo della polizia di Stato, coordinata dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione, ha portato a due arresti eseguiti nei confronti di un cittadino pakistano e di un naturalizzato italiano di origine pakistana. L’operazione della Digos di Brescia è avvenuta all’alba del 4 dicembre.

Sono accusati di diffusione di contenuti legati alla Jihad islamica palestinese, Isis e Al-Qaeda

L’operazione investigativa ha avuto inizio nell’ottobre del 2022, e i due arrestati, che hanno 20 e 22 anni, sono accusati di diffusione di contenuti jihadisti con finalità di proselitismo, riconducibili alle organizzazioni terroristiche Jihad islamica palestinese, Stato Islamico e Al-Qaeda. Gli investigatori sono riusciti a individuare i due soggetti sulla base di evidenze d’intelligence e di elementi acquisiti nel corso del monitoraggio del web.

Qualità della vita, Udine la città in cui si vive meglio, maglia nera a Foggia

È Udine la città in cui si vive meglio in Italia. A incoronare la provincia friulana è la 34esima edizione dell’indagine del Sole 24 Ore sulla qualità della vita, i cui risultati sono stati pubblicati sul quotidiano in edicola lunedì 4 dicembre. È la prima volta che la provincia di Udine sale sul gradino più alto, entrando così nella storia della classifica ch4e misura il benessere della popolazione, dopo essersi piazzata tra le prime dieci solamente tre volte dal 1990 a oggi. Suonano più come delle conferme, invece, il secondo e il terzo posto di Bologna, vincitrice dell’edizione 2022, e Trento. Bergamo (quest’anno capitale della cultura insieme a Brescia) sale al quinto posto. Tra le prime dieci anche Milano. Mentre Roma si ferma al trentacinquesimo posto, perdendo quattro posizioni.

Foggia chiude la classifica

Anche questa edizione fotografa nella seconda metà della graduatoria una concentrazione di città del Mezzogiorno, con l’unica eccezione di Cagliari al 23esimo posto. A chiudere la classifica è Foggia che torna a vestire la maglia nera dopo dodici anni. A precederla Caltanissetta e poi Napoli al terz’ultimo posto che nonostante «l’effetto scudetto» sul turismo (non rilevato nei dati presi in esame) è penalizzata – secondo l’indagine – dalla densità abitativa, dalla criminalità predatoria in ripresa, dagli scarsi dati occupazionali e da un saldo migratorio sfavorevole.

La battaglia nel sud di Gaza «sarà devastante». Blinken tratta il cessate il fuoco con la mediazione del Qatar

È il 59esimo giorno di guerra. Ancora una notte di combattimenti in Palestina, con Israele che ha allargato le sue operazioni di terra a tutta la Striscia di Gaza. Lo hanno annunciato domenica 3 dicembre le Forze di Difesa Israeliane: «L’IDF sta riprendendo ed espandendo le operazioni di terra contro le roccaforti di Hamas in tutta la Striscia di Gaza», ha dichiarato il portavoce dell’IDF Daniel Hagari in una conferenza stampa. Hagari ha anche sottolineato «l’importanza dell’assistenza aerea fornita dall’Aeronautica alle forze di terra», affermando che gli attacchi aerei contro i quartieri generali del terrorismo, gli impianti di produzione di armi, i tunnel del terrorismo e i siti di lancio dei razzi limitano le minacce poste all’operazione di terra». Israele ha dunque accelerato le operazioni militari di terra in ogni parte di Gaza e ordinato evacuazioni anche a sud, dove si sono spostati sono molti dei 2,3 milioni degli abitanti della Striscia dopo i pesanti bombardamenti al nord. Intanto, è’ morto a Gaza Yonatan Samerano, 21 anni di Tel Aviv, preso in ostaggio da Hamas dopo essere stato ferito durante il massacro del festival Nova a Reim il 7 ottobre.

La battaglia nel sud di Gaza «sarà devastante». Blinken tratta il cessate il fuoco con la mediazione del Qatar
Bombardamenti su Gaza (Getty Images)

Ucciso un comandante di Hamas, coordinò attacco del 7 ottobre

L’Idf e lo Shin Bet hanno guidato un attacco aereo e ucciso il comandante del battaglione Shati di Hamas, Haitham Khuwajari. Lo ha dichiarato il portavoce dell’Idf Daniel Hagari. Khuwajari, oltre ad essere il comandante delle forze di Hamas nell’area di Shati, è stato uno degli ideatori dell’incursione nel sud di Israele, il 7 ottobre.

Telefonata Al-Thani-Blinken: discusse modalità per cessate fuoco

Il premier e ministro degli Esteri del Qatar Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al-Thani ha ricevuto una telefonata dal segretario di Stato americano Antony Blinken in cui hanno discusso «delle modalità per la de-escalation e il cessate il fuoco» nella guerra in corso tra Israele e Hamas. Lo ha riferito il ministero degli Esteri di Doha in una nota. «Durante la telefonata si è discusso degli ultimi sviluppi nella Striscia di Gaza e nei territori palestinesi occupati, delle modalità per la de-escalation e il cessate il fuoco», si legge nella nota. Il Qatar «è impegnato, con i suoi partner di mediazione, a proseguire gli sforzi per il ritorno della calma, sottolineando che i continui bombardamenti sulla Striscia di Gaza dopo la fine della pausa complicano gli sforzi di mediazione ed esacerbano la catastrofe umanitaria in atto la striscia», sottolinea il comunicato.

Le quotazioni di borsa italiana e spread oggi 4 dicembre 2023

Dopo l’ottima chiusura di settimana fatta registrare dalle Borse europee, c’è grande attesa per l’apertura della nuova sessione. Milano venerdì scorso, 1 dicembre, ha sfiorato i 30 mila punti chiudendo a 29.928 punti e aggiornando i massimi dal 2008 grazie a un incremento dello 0,6%. Lo spread tra Btp e Bund tedeschi riparte da 174 punti base.

Le quotazioni delle Borse e l’andamento dello spread in tempo reale

3.28 – Hong Kong apre a +0,53%, focus su udienza Evergrande

La Borsa di Hong Kong apre la seduta in rialzo in scia con l’andamento positivo segnato venerdì da Wall Street e in attesa della ripresa odierna delle udienze che nell’ex colonia britannica dovrà decidere sul futuro di Evergrande, a partire dall’ipotesi di liquidazione: l’indice Hang Seng sale dello 0,53%, a 16.919,08 punti. Il Composite di Shanghai aumenta nelle prime battute dello 0,05% a 3.033,30, mentre quello di Shenzhen segna una frenata dello 0,28% a quota 1.882,65.

1.19 – Tokyo, apertura in lieve calo (-0,35%)

La Borsa di Tokyo inizia la prima seduta della settimana col segno meno, appesantita dalla rivalutazione dello yen e malgrado l’avanzata degli indici azionari statunitensi. In apertura il listino di riferimento Nikkei cede lo 0,35% a quota 33.314,31, con una perdita di 117 punti. Sul mercato valutario la divisa nipponica prosegue la fase di rafforzamento, al cambio con il dollaro a 146,30 e sull’euro a 159,20.

L’Austria sempre più a destra: a un anno dal voto la Fpö di Herbert Kickl vola nei sondaggi

Se in Austria si votasse domani l’estrema destra della Fpö vincerebbe facile, con i sondaggi che la danno oggi intorno al 30 per cento, oltre 12 punti in più rispetto alle elezioni del 2019. I conservatori moderati della Övp guidati dall’attuale cancelliere Karl Nehammer dimezzerebbero quasi i voti, passando da quasi il 38 per cento al 20, mentre i socialdemocratici della Spö guadagnerebbero qualcosina, attestandosi al 25 per cento. A seguire i partiti minori: i Verdi – che al momento governano con la Övp – perderebbero circa la metà dei consensi, dal 9 al 4,5 per cento, e i liberali del Neos si attesterebbero intorno al 10 per cento. Infine i comunisti, che aspirano a entrare al Nationalrat, ma che rimangono sotto la soglia d’ingresso al 4 per cento.

L'Austria sempre più a destra: a un anno dal voto la Fpö di Herbert Kickl vola nei sondaggi
Il cancelliere austriaco Karl Nehammer (Getty Images).

Herbert Kickl potrebbe formare un nuovo governo con i conservatori della Övp

Fin i qui i numeri, soggetti a variazioni che saranno probabilmente minime sino al voto, previsto fra meno di 12 mesi. Resta dunque alta la probabilità che la Fpö trainata da Herbert Kickl abbia la possibilità di formare il prossimo governo austriaco, scegliendosi il partner, e cioè la Övp, in una riedizione della coalizione che dall’inizio degli Anni Duemila ha retto le sorti del Paese varie volte: dal 2000 al 2007 con il cancelliere popolare Wolfgang Schüssel e dal 2017 al 2019 sempre con un leader della Övp alla guida, ossia Sebastian Kurz. Solo che questa volta sulla poltrona alla cancelleria siederebbe il capo della Fpö. L’ipotesi non è solo di scuola, ma la più realistica, anche se alle elezioni manca comunque molto tempo, i sondaggi possono cambiare, a seconda della cornice nazionale e internazionale in movimento, senza considerare altre varianti, come quella, meno probabile, che la destra abbracci la socialdemocrazia, cosa che in realtà non sarebbe nemmeno nuova, visto che Spö e Fpö governarono a braccetto a metà degli Anni 80.

L'Austria sempre più a destra: a un anno dal voto la Fpö di Herbert Kickl vola nei sondaggi
Herbert Kickl, leader della Fpö (Getty Images).

Così l’erede di Haider ha conquistato gli austriaci

È un dato di fatto che il partito di Kickl è in gran spolvero e l’elettorato austriaco sembra essere stufo dell’alleanza tra popolari e verdi, che penalizza entrambi e soprattutto la formazione del cancelliere. La Spö non ha la forza di un tempo e i partiti più piccoli sono comunque ininfluenti. L’Austria già a destra, sta scivolando verso l’estrema destra, tirata proprio da Kickl. Il leader della Fpö, erede di Jörg Haider, il governatore populista della Carinzia che portò il partito al governo con Schüssel, e anche di Heinz Christian Strache, il vice cancelliere di Kurz poi sprofondato a causa dell’Ibizagate, è il politico più popolare nel Paese. Secondo un recente sondaggio pubblicato dal quotidiano progressista Standard Herbert Kickl è il cancelliere preferito dagli austriaci, davanti al socialdemocratico Andreas Babler e all’attuale capo del governo Nehammer. I motivi dell’ascesa della Fpö e del suo capo sono presto detti: si va dagli strascichi della pandemia – l’estrema destra è scesa in piazza contro le restrizioni e i vaccini – agli effetti della guerra in Ucraina che hanno messo in crisi il governo sia dal punto di vista politico che economico, mettendo le ali al partito nazionalpopulista che ha assunto una linea polarizzante raccogliendo il consenso di ormai un terzo degli elettori.

L’onda sovranista europea: dall’Italia all’Olanda fino al boom dell’AfD in Germania

Un discorso che vale per gli altri movimenti sovranisti in Europa, che viaggiano col vento in poppa verso il governo come accaduto in Italia e più recentemente in Olanda, o che macinano consensi come l’Afd in Germania. Proprio l’Austria insegna però che gli sbarramenti ideologici cadono, magari facendo gran rumore, come quando a Vienna nel 2000 l’Unione Europea inviò una missione diplomatica a sincerarsi che Haider non fosse un nipotino di Hitler. Passato questo, la Fpö ha acquisito piena legittimità. La possibilità di Herbert Kickl cancelliere a Vienna è ora reale: primo appuntamento per verificare il vero potenziale sarà quello delle elezioni europee di giugno 2024, poi in autunno il voto decisivo.

Israele allarga la manovra terrestre al settore sud di Gaza

Israele ha allargato la manovra terrestre al settore sud di Gaza, poco a nord di Khan Yunis: «In quell’area ci sono mezzi blindati che hanno iniziato ad attaccare obiettivi di Hamas», spiega la radio militare. Secondo l’emittente, l’esercito intende estendere le proprie attività di terra, dopo che nei giorni scorsi ha fatto ricorso ripetutamente a bombardamenti dell’artiglieria, della aviazione e della marina. E per questo ha ordinato l’evacuazione di Khan Yunis. Intanto, il nuovo bilancio delle vittime a Gaza dal 7 ottobre fornito da Hamas è di 15.523 morti. E si contano anche 41.316 feriti. Lo ha comunicato il portavoce del ministero della salute della Striscia, Ashraf Al-Qidreh.

Israele allarga la manovra terrestre al settore sud della Striscia di Gaza. Gli aggiornamenti sul conflitto con Hamas in Medio Oriente.
Civili in fuga da Khan Yunis (Getty Images).

Hamas attacca, sirene di allarme in tutto Israele

Le sirene di allarme che avvertono di lanci di razzi in arrivo hanno risuonato a ripetizione nella città israeliana di Sderot e nei kibbutz che si trovano al confine con la Striscia di Gaza, come quelli di Kissufim, Ibim e Nir Am. Gli abitanti hanno avuto ordine di raggiungere i rifugi: le comunità vicine al confine, comunque, sono state in gran parte evacuate dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Sirene di allarme anche nella città di Zar’it, al confine con il Libano.

Razzo dal Libano, soldati israeliani feriti in Alta Galilea

Nel corso della giornata presso il villaggio di Beit Hillel, a breve distanza dal confine con il Libano, c’è stata un’esplosione in seguito al lancio di colpi di mortaio o di un razzo anticarro: 11 persone ferite, tra cui quattro soldati israeliani. In precedenza altre esplosioni erano state segnalate sulle alture del Golan, per il lancio di un razzo dalla Siria. L’artiglieria israeliana aveva poi sparato verso la località da dove era partito l’attacco.

Israele allarga la manovra terrestre al settore sud della Striscia di Gaza. Gli aggiornamenti sul conflitto con Hamas in Medio Oriente.
Un tunnel di Hamas (Ansa).

L’Idf: «Scoperti più di 800 tunnel di Hamas nella Striscia»

Le forze di difesa israeliane hanno reso noto di aver scoperto più di 800 tunnel nella Striscia di Gaza dall’inizio dell’offensiva di terra. Circa 500 sarebbero già stati distrutti, facendoli esplodere o sigillandoli. Secondo l’Idf, molti tunnel collegano le «risorse strategiche» di Hamas.

L’Onu: «Sfollata il 75 per cento della popolazione di Gaza»

Circa 1,8 milioni di persone, pari al 75 per cento della popolazione della Striscia di Gaza, sono sfollati interni: lo dichiara l’agenzia dell’Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha).

Feste di Natale, i voli per le isole sfondano i 500 euro

Tornare a casa in Sicilia e Sardegna oppure andarci da turisti nel periodo di Natale e Capodanno rappresenterà un vero salasso. Assoutenti ha monitorato l’andamento dei prezzi, rilevando che i biglietti andata e ritorno hanno ampiamente superato i 500 euro. Alcuni esempi? Un classe economy Bologna-Palermo con partenza il 23 dicembre e ritorno 7 gennaio costa 521 euro. Da Torino a Catania, nelle stesse date, servono almeno 446 euro. Sono 441 euro quelli necessari per volare da Pisa a Catania e 439 il prezzo di un andata/ritorno da Verona per Palermo. Sopra quota 400 euro anche il volo Genova-Catania. Prezzi che non considerano i costi aggiuntivi per il bagaglio a mano o la scelta del posto a sedere: tutti balzelli che fanno salire ulteriormente il costo di un volo. «Spostarsi in Italia durante le festività è sempre più un salasso che svuota le tasche dei cittadini. Un’emergenza che si ripresenta ogni anno e che sembra senza soluzione», ha dichiarato Furio Truzzi, presidente di Assoutenti.

Il generale Vannacci è stato nominato capo di stato maggiore delle forze operative terrestri

Il generale Roberto Vannacci sarà trasferito a Roma, dove assumerà l’incarico di capo di Stato maggiore del Comando delle forze operative terrestri (Comfoter). A dare la notizia La Gazzetta di Lucca, città dove vive il militare finito in estate sulle prime pagine dei giornali per le posizioni espresse nel libro (autopubblicato) Il mondo al contrario, che gli sono costate – di fatto – l’incarico al comando dell’Istituto geografico militare.

Il generale Roberto Vannacci è stato nominato capo di stato maggiore delle forze operative terrestri. La Difesa: nessuna promozione.
Il generale Roberto Vannacci (Imagoeconomico).

La soddisfazione del generale: «Una nomina in linea con il mio grado»

«Una nomina in linea con il mio grado, con la mia funzione e con la mia esperienza», ha dichiarato Vannacci all’Adnkronos. «Un incarico prestigioso che assumerò con grande determinazione e passione e che mi vedrà nella Capitale dove presterò servizio. Un comando che si occupa della validazione delle unità che devono partire con ruoli operativi all’estero, della loro preparazione, del loro addestramento». Parlando de Il mondo al contrario, Vannacci ha detto di essere «assolutamente convinto di non aver violato alcuna norma né legale né disciplinare» e di non aver temuto per la carriera «nonostante le polemiche». Infatti, se potesse tornare indietro, lo riscriverebbe di nuovo: «Farei la prima chiamata a Matteo Pucciarelli e Aldo Cazzullo per ripetere l’operazione di marketing che ha portato tanto successo al mio libro in Italia e con quattro contratti firmati con case editrici all’estero che lo pubblicheranno in Germania, Romania, Spagna e Slovenia», ha ironizzato.

Il generale Roberto Vannacci è stato nominato capo di stato maggiore delle forze operative terrestri. La Difesa: nessuna promozione.
Vannacci durante una presentazione de ‘Il mondo al contrario’ (Imagoeconomica).

Vannacci: «Avrò alle mie dipendenze tre generali di brigata e una serie di colonnelli»

Il Comfoter è responsabile delle problematiche per la generazione delle forze per le operazioni, l’addestramento, l’approntamento, la simulazione, la validazione, certificazione, standardizzazione delle unità operative e per le informazioni tattiche. «Sarò il capo di tutto lo staff e coadiuverò il comandante in capo che è attualmente il generale di corpo d’armata Salvatore Camporeale. Io sono un grado inferiore rispetto a lui in quanto generale di divisione. Io avrò alle mie dipendenze tre generali di brigata e tutta una serie di colonnelli», ha detto Vannacci al Corriere della Sera.

Il ministero della Difesa precisa: non si tratta di una promozione

Fonti del ministero della Difesa, raggiunte sempre da Adnkronos, hanno però precisato che Vannacci assumerà il nuovo ruolo dopo un lungo periodo di affiancamento e che, in ogni caso, non si tratta di una promozione ma solo di un incarico adeguato al suo ruolo, senza alcuna relazione di comando sulle forze operative terrestri, che dipendono dal comandante o dal vice comandante da cui a sua volta dipende anche Vannacci.

Salvini: «Tajani non vuole allearsi con Afd e Le Pen? Sbaglia»

«Tajani sbaglia» a dire che «non si alleerà mai con Afd e con Marine Le Pen». Così il leader della Lega, Matteo Salvini, a margine della convention Free Europe organizzata dal gruppo Identità e Democrazia alla Fortezza da Basso di Firenze. «Mi spiacerebbe che qualcuno di centrodestra preferisse la sinistra ad alleati di centrodestra. Io posso dire che chi sceglierà la Lega in Europa sceglie l’alternativa a sinistra. Quindi rinnovo l’invito al centrodestra in Italia a essere unito in Europa, poi non posso imporre niente controvoglia a nessuno», ha aggiunto il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Che poi attacca il commissari Ue Paolo Gentiloni, «che già prepara il rinnovo dell’inciucio popolari-socialisti».

Salvini: «Tajani non vuole allearsi con Afd e Le Pen? Sbaglia». A Firenze la convention Free Europe del gruppo Identità e Democrazia.
La convention Free Europe di Firenze (Getty Images).

«Oggi presentiamo l’Europa dei diritti contro l’Europa dei tagli e dei Soros»

«Oggi presentiamo agli italiani e a tutti gli europei un’idea di Europa diversa. L’Europa dei diritti contro l’Europa dei tagli, dei Soros. La Lega offre questa possibilità agli italiani e agli europei. Se qualcuno preferisce continuare a inciuciare con i socialisti lo faccia. Non posso mica impedirglielo», ha affermato il leader del Carroccio. «Oggi c’è il primo partito di Francia, di Olanda, di Austria, del Belgio, il secondo partito di Germania e un partito di governo italiano. Non siamo un cantiere nero, anzi c’è un’onda blu. I dati ci dicono che oggi siamo la quarta forza politica al Parlamento europeo. L’obiettivo è di arrivare ad essere la terza, ed essere determinanti. Offriamo il nostro contributo», ha aggiunto il vicepremier.

Salvini: «Tajani non vuole allearsi con Afd e Le Pen? Sbaglia». A Firenze la convention Free Europe del gruppo Identità e Democrazia.
Matteo Salvini (Getty Images).

La frecciata alla sinistra: «C’è chi ancora non è riuscito a condannare le stragi di Hamas»

Salvini ha inoltre detto la sua sul conflitto in corso in Medio Oriente lanciando una frecciata alla sinistra: «C’è qualcuno che ancora non è riuscito a condannare le stragi di Hamas. Oggi qui a Firenze, da questo incontro, uscirà una condanna chiara di ogni tipo di estremismo, di fanatismo, di terrorismo e di violenza, e per quello che riguarda me personalmente il pieno sostegno al popolo di Israele che ha diritto di esistere ed è una democrazia solidale, sviluppata, avanzata, per molti punti di vista un modello. Mi stupisce che a sinistra questo diritto di Israele non riesca proprio semanticamente ad articolarlo come un discorso».

I big in gara al Festival di Sanremo 2024

Il conduttore e direttore artistico Amadeus ha svelato al Tg1 delle 13.30 l’elenco dei big in gara al prossimo Festival di Sanremo. Saranno 27, a cui si aggiungeranno poi gli artisti che saliranno sul podio nella finale di Sanremo Giovani. «Sono realmente i miei super ospiti, i reali protagonisti del Festival. Non vedo l’ora che sia il 6 febbraio per farli ascoltare a tutti», ha detto Amadeus prima dell’annuncio, mostrando in anteprima la scenografia del teatro Ariston.

Amadeus ha modificato all’ultimo il regolamento, portando a 30 gli artisti in gara

Ecco l’elenco dei 27 big in gara a Sanremo 2024: Fiorella Mannoia, Geolier, Dargen D’Amico, Emma, Fred De Palma, Angelina Mango, La Sad, Diodato, Il Tre, Renga & Nek, Sangiovanni, Alfa, Il Volo, Alessandra Amoroso, Gazzelle, Negramaro, Irama, Rose Villain, Mahmood, Loredana Bertè, The Kolors, Big Mama, Ghali, Annalisa, Mr Rain, Maninni, Ricchi & Poveri. Modificando all’ultim’ora il regolamento, Amadeus ha portato a 30 (dovevano essere 26 in tutto) il totale degli artisti che saranno in gara al Festival.

I big in gara al Festival di Sanremo 2024. Tra i nomi Fiorella Mannoia, Mahmood, Annalisa, Negramaro, Loredana Bertè e Il Volo.
Sangiovanni e Fiorella Mannoia (Getty Images ).

Amadeus: «Scelta difficile, mi auguro di ripetere i risultati delle ultime edizioni»

Amadeus aveva spiegato che il numero delle candidature per l’edizione 2024 è stata da record, con oltre 400 proposte ricevute, di cui 50 ritenute papabili dal direttore artistico. «La scelta è sempre difficile, ma mi auguro di ripetere i risultati delle ultime edizioni che hanno visto per mesi i brani di Sanremo in testa alle classifiche di ascolto e di vendita», ha commentato in una nota. Nel 2023 i big in gara erano stati 22.

La Cina, il progetto di sinizzazione delle minoranze musulmane e i problemi col mondo arabo

La denuncia arriva direttamente Human Rights Watch, una delle principali organizzazioni che si occupano della tutela dei diritti umani nel mondo. E non è nemmeno una novità. Il governo della Repubblica popolare cinese sta proseguendo nel proprio progetto di cosiddetta “sinizzazione” delle minoranze etniche, in particolare di religione musulmana, iniziato all’incirca nel 2014 con l’era Xi Jinping e la persecuzione degli uiguri, una popolazione di circa 11 milioni di persone che abita la regione autonoma dello Xinjiang, nel Nord-Ovest del Paese, e che oggi si riverbera in una sistematica distruzione, chiusura o riconversione architettonica e strutturale di almeno un migliaio di moschee presenti in altre due regioni autonome del Nord, cioè Ningxia e Gansu. L’azione delle autorità locali, che secondo Hrw va avanti almeno dal 2018, è incentrata sulla limitazione radicale della pratica e dell’espressione della religione islamica tramite una sorta di adeguamento alla attuale società cinese. All’interno del suo rapporto, Hrw ha pubblicato anche una serie di fotografie che mostrano come l’intervento delle autorità abbia rimosso alcune peculiarità tradizionalmente appartenenti alle moschee, come minareti e cupole, o ne abbia distrutto direttamente le sale da preghiera.

La religione musulmana è considerata minacciosa

Secondo le parole di Elaine Pearson, direttrice della sezione asiatica di Hrw, la pratica di sinizzazione portata avanti su volontà del Partito comunista cinese mira a una «repressione della pratica religiosa musulmana, poiché considerata un’entità minacciosa che necessita di essere controllata». In un documento datato aprile 2016, nell’ambito della Conferenza nazionale sul lavoro religioso, il segretario generale del Pcc Xi Jinping ha espressamente presentato quelli che sarebbero stati i nuovi scopi e le direttive del partito in materia di minoranze religiose, secolarizzazione e salvaguardia della coesione nazionale.

La Cina, il progetto di sinizzazione delle minoranze musulmane e i problemi col mondo arabo
Un musulmano in una moschea in Cina (Getty).

L’obiettivo è un adattamento alla società socialista

Nel corso del suo intervento, ha sottolineato la necessità di «sviluppare una teoria religiosa di tipo socialista con caratteristiche cinesi» che sia in grado di «guidare la religione verso un adattamento alla società socialista». Per compiere questo obiettivo sarebbe poi stato fondamentale «unire le grandi masse religiose del Paese a quelle non religiose», con il fine ultimo del bene più importante «dell’unità sociale» per la realizzazione del socialismo con caratteristiche cinesi. Un concetto fondamentale in Cina, che corrisponde a uno stato di pace, armonia e stabilità interno alla nazione.

Su 1,5 miliardi di persone ci sono 55 gruppi etnici minoritari

La tendenza a “cinesizzare” o adattare tutto ciò che può essere motivo di contrasto a questa armonia è stato un concetto spesso ripreso da molti sinologhi nello studiare la politica di centralizzazione e rigido controllo portata avanti dal Pcc. La Repubblica popolare vanta infatti una composizione etnica invidiabile per uno Stato intento a edificare un grande profilo di potenza capaci di affermarsi nel sistema internazionale. Circa il 92 per cento della popolazione cinese infatti è di etnia han e abita la parte orientale del Paese, più prossima alle coste e alle megalopoli. A fronte di una popolazione complessiva di circa 1,5 miliardi di persone però, la presenza di 55 gruppi etnici minoritari non è di certo un numero irrisorio e insignificante. Uno studio condotto da Pew Research Center nel 2009 ha infatti quantificato il numero di musulmani in Cina in circa 21 milioni, di cui 11 presenti solo nello Xinjiang, dove costituiscono la componente etnica maggioritaria.

La Cina, il progetto di sinizzazione delle minoranze musulmane e i problemi col mondo arabo
Comunità musulmane cinesi (Getty).

Pechino vuole però intensificare i rapporti col mondo arabo

In virtù di queste politiche persecutorie messe in atto da Pechino, è utile capire come la Cina sarà in grado di conciliare queste violazioni dei diritti umani dei musulmani con il tentativo di avvicinamento e intensificazione dei rapporti col mondo arabo-musulmano. Gli apparati diplomatici cinesi si sono infatti impegnati molto negli ultimi mesi per aumentare la propria influenza nel mondo arabo non solo da un punto di vista economico e per quanto riguarda il progetto della Nuova via della seta, ma anche e soprattutto per proporsi come potenza conciliatrice alternativa alla guida statunitense, arrivando a favorire il difficile riavvicinamento diplomatico fra Iran e Arabia Saudita nel marzo del 2023 ed elaborando un piano in tre punti per risolvere la questione palestinese quando nel giugno del 2023 il presidente dell’Anp Mahmoud Abbas è stato ricevuto a Pechino da Xi Jinping.

Xi da subito critico con la reazione di Israele

Nell’ambito della guerra fra Israele e Hamas, nonostante una breve parentesi di ambiguità iniziale, Pechino si è infatti schierata apertamente con i Paesi arabi criticando l’eccesso di autodifesa messo in pratica da Israele nella striscia di Gaza. Lo stesso conflitto ha mostrato però l’importanza del credo religioso per i Paesi arabi come collante, in grado di influenzarne l’unità e l’orientamento diplomatico e delle alleanze internazionali. Un elemento che la Cina non potrà sicuramente permettersi di ignorare.

Perché le inesattezze del film Napoleon di Ridley Scott stanno facendo infuriare i francesi

Se non fosse per la concorrenza del sorprendente esordio alla regia di Paola Cortellesi con C’è ancora domani, Napoleon avrebbe forse esordito al primo posto del box office italiano. Uscito il 23 novembre perché potesse riempire le sale cinematografiche nelle settimane che solitamente decisive per gli incassi dell’intera annata, il film di Ridley Scott con le superstar Joaquin Phoenix e Vanessa Kirby non sta però convincendo pienamente la critica, in particolare in Francia, dove ha un certo peso l’inaccuratezza con cui la sceneggiatura di David Scarpa restituisce diversi passaggi storici e dove non mancano nemmeno le accuse di sentimenti anti-francesi nei confronti del cineasta britannico. Per il quale, del resto, la fedeltà storica non è mai dovuta, come era già accaduto con Il Gladiatore e altri suoi blockbuster. A chi ha mosso questa osservazione, lui ha risposto lapidario: «Fatti una vita».

Un colpo di cannone in direzione delle Piramidi: poco credibile

Lo ha fatto quando gli è stato chiesto se avesse visto un video che circola da luglio su TikTok, pubblicato da Dan Snow, autore di un volume sulla battaglia di Waterloo, che ha fatto notare diverse inesattezze storiche contenute nel trailer: innanzitutto non è vero che Bonaparte arrivava dal nulla («suo padre era un aristocratico») e che ha conquistato «tutto» (per esempio non la Gran Bretagna, sottolinea Snow). In più, nel film Napoleone è presente quando la regina Maria Antonietta viene decapitata, cosa che non corrisponde al vero (nemmeno la lunghezza dei capelli di lei è realistica), come non è realistica la scena in cui il celebre condottiero spara un colpo di cannone in direzione delle Piramidi nel corso di una delle sue più celebri battaglie. Dan Snow, tutto sommato, l’ha presa bene: «Non l’ha mai fatto! Ma sembra figo».

Perche? le inesattezze del film Napoleon di Ridley Scott stanno facendo infuriare i francesi
La scena del colpo di cannone sparato.

Ricatti emotivi e dichiarazioni d’amore troppo minacciose

Altri ancora hanno osservato le scelte di casting: nella vita reale, Vanessa Kirby ha 14 anni meno di Joaquin Phoenix, mentre sappiamo che Giuseppina aveva sei anni più di Napoleone. Inoltre i due attori mantengono il proprio accento, ossia Phoenix quello statunitense e Kirby quello inglese. Snow non è l’unico esperto ad aver commentato il film: su The Conversation Katherine Astbury dell’Università di Warwick ha parlato delle lettere dell’imperatore alla sua amata definendole cariche di ricatti emotivi e di ripetute dichiarazioni d’amore che «sembrano minacciose piuttosto che sdolcinate».

Perche? le inesattezze del film Napoleon di Ridley Scott stanno facendo infuriare i francesi
Joaquin Phoenix e Vanessa Kirby nel film Napoleon.

«Colpisce è la totale omissione della schiavitù»

Perciò, se nel film lui dà uno schiaffo a lei, non è solo perché in Giuseppina il regista vede – lo ha dichiarato – un’adultera che portò Bonaparte a voler distruggere se stesso e lei insieme, ma anche perché sul set i due attori hanno lavorato così bene insieme da decidere di autorizzarsi vicendevolmente (lo ha riferito la stessa Kirby) ad aggiungere degli elementi non previsti nella sceneggiatura di Scarpa, ma funzionali all’idea che Scott si è fatto di Bonaparte. Altri ancora, come la testata Mediapart, hanno scritto di come «al di là delle inesattezze e delle invenzioni storiche, ciò che colpisce è la totale omissione della schiavitù».

Perche? le inesattezze del film Napoleon di Ridley Scott stanno facendo infuriare i francesi
Una scena del film Napoleon.

Scott ha preferito raccontare gli amori piuttosto che la politica

«Finitela! Non è un documentario, è un film», hanno replicato puntualmente molti fan del cineasta, dimostrando di non sapere che anche i documentari sono film (la distinzione andrebbe fatta semmai tra finzione e cinema del reale). Ma perché il Napoleon di Scott è in grado di far inalberare così tante persone? Per Liberation il problema è che «non offre alcun punto di vista, né sull’uomo, né sul mito», mentre per Le Monde Ridley Scott ha preferito raccontare gli amori di Napoleone piuttosto che la sua vita politica (e dunque il lavoro di fantasia si può giustificare più facilmente).

Perche? le inesattezze del film Napoleon di Ridley Scott stanno facendo infuriare i francesi
Joaquin Phoenix nei panni di Napoleone.

«Uno storico deve rimanere fuori dalla porta quando parla un regista»

A Fahrenheit, la trasmissione di Radio3, è intervenuto Luigi Mascilli Migliorini, uno dei maggiori studiosi dell’età napoleonica e della Restaurazione in Europa, docente di Storia moderna all’Orientale di Napoli. Ha raccontato come al termine di una proiezione del film diverse persone gli abbiano chiesto se quella dello schiaffo e altre sequenze siano da ritenere credibili: difficile stabilirlo, specialmente quando si tratta di episodi della sfera privata, ma «tutti abbiamo diritto a costruirci il nostro Napoleone», ha concluso il professore, che ha detto anche: «Uno storico deve rimanere fuori dalla porta quando parla un regista».

Cosa può darci nel 2023 l’ennesimo ritratto soggettivo di Napoleone?

La domanda che dovremmo porci è piuttosto: cosa cerchiamo in un film come Napoleon? E ancora: cosa può darci nel 2023 un ritratto soggettivo di una figura storica che ha già avuto oltre mille rappresentazioni tra cinema e televisione? Forse dovremmo essere disposti ad accoglierne i limiti, a contenere le aspettative. Tra tanti film su questa figura amata e controversa non sarà quello di Scott a rimanere nella storia. Di certo non quella del cinema.

Torino, attivisti di Extinction Rebellion interrompono la messa in Duomo

Alcuni attivisti ambientalisti di Extinction Rebellion hanno interrotto la messa in Duomo a Torino, negli attimi precedenti l’omelia, per leggere passi dell’enciclica Laudato sì’ e dell’esortazione apostolica Laudate Deum di papa Francesco, con cui il pontefice «invita apertamente la popolazione a pretendere il cambiamento necessario» e che Bergoglio «ha inviato a Dubai, alla Cop28, per esortare i governi a smettere di finanziare guerre e devastazioni ambientali e prendere invece accordi “efficienti, vincolanti e facilmente monitorabili”».

Torino, attivisti di Extinction Rebellion interrompono la messa in Duomo leggendo i messaggi del papa sulla crisi climatica.
Una delle attiviste di Extinction Rebellion nel Duomo di Torino (Facebook).

«Trent’anni di inadempienze politiche ed eccoci qui, a contare i danni»

Gli attivisti si sono alzati in piedi uno alla volta e hanno letto a voce alta i due scritti con i quali papa Francesco si è espresso con forza sulla gravità della crisi ecologica e climatica. «Sono passati trent’anni di Conferenze internazionali sul Clima, di negazionisti al governo e accordi non vincolanti. Trent’anni di inadempienze politiche ed eccoci qui, a contare i danni. L’alluvione in Emilia, le ondate di calore e gli incendi della scorsa estate, le devastanti grandinate in Veneto e Lombardia. E l’ultimo tragico episodio: l’alluvione in Toscana», scrivono gli attivisti su Facebook. «Raccogliendo l’invito di Papa Francesco, Extinction Rebellion porta oggi il messaggio sull’altare di una delle principali chiese di Torino. Per rompere anche questo silenzio. Per il futuro di ognuna di noi e per quello di chi verrà».

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