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Il regista iraniano Dariush Mehrjui pugnalato a morte assieme alla moglie
Il regista Dariush Mehrjui, considerato tra i fondatori della new wave iraniana degli Anni 70, è stato ucciso a coltellate assieme alla moglie, la scrittrice Vahideh Mohammadifar, nella villa di famiglia a ovest di Teheran. La coppia è stata trovata senza vita dalla figlia che da diverso tempo stava provando invano a contattare i genitori. Sui social media circola voce che siano stati decapitati, ma non ci sono conferme ufficiali. Prima dell’omicidio, Mohammadifar, aveva scritto che lei e il marito erano stati minacciati con un coltello da un individuo straniero, presumibilmente afghano.
L’amore per il cinema italiano e la fama con Gaav
Nato nel 1939 in una famiglia di classe media, Mehrjui si era appassionato cinema fin da piccolo. In particolare, come raccontato da lui stesso, il film che ha avuto il maggiore impatto su di lui da bambino è stato Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. Tra i suoi registi preferiti anche Michelangelo Antonioni: all’età di 12 anni, Mehrjui costruì un proiettore da 35 mm, noleggiò pellicole a due bobine e iniziò a vendere biglietti ai suoi amici di quartiere. Trasferitosi negli Stati Uniti nel 1959 per studiare cinema all’Università della California, divenne allievo di Jean Renoir. Tornato in patria, debuttò al cinema con il poco fortunato Almaas 33, parodia dei film della serie di James Bond. Diventò invece noto al grande pubblico grazie a Gaav (1969), incentrato sull’attaccamento quasi mitico dell’abitante di un villaggio rurale a una mucca: il film viene considerato il capostipite nuova ondata culturale del cinema iraniano degli Anni 70. Quattro anno dopo girò Dayereh-ye Mina, tra i suoi lavori più acclamati.
Nella lunga carriera ha diretto più di 20 lungometraggi
Gaav pare fosse molto apprezzato dall’ayatollah Khomeini, mentre lo scià Re?? Pahlav? non lo aveva gradito. Pur essendo stato tra i rivoluzionari – come la maggior parte degli intellettuali dell’epoca – Mehrjui non trovò però un ambiente post-rivoluzionario favorevole alle sue aspirazioni cinematografiche. E così decise di emigrare in Francia, dove rimase fino al 1985. Negli anni successivi e a più riprese, esplorò l’universo femminile, tra queste: La Signora – Banu; Sara e To stay Alive – Bemani. Questa ultima opera fu presentata nel 2002 a Cannes nella sezione A certain reguard. Nel 1983 portò a Venezia il semi documentario sulla vita del poeta Rimbaud. Nella lunga carriera ha direttoooltre 20 lungometraggi, alcuni vietati dalla Repubblica islamica come Santouri, che racconta la vita di un tossicodipendente, e Laminar, ultima fatica cinematografica, uscita infine con alcune parti censurate.