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Il Papa, le aperture sospette di Mosca e il negoziato quasi impossibile con l’Ucraina
Il Papa e la sua pattuglia di cardinali ci hanno provato testardamente fin da principio del conflitto in Ucraina ad aprire uno spiraglio per il negoziato, al netto delle parole di troppo dette da Francesco in alcune occasioni – come le ultime improvvide uscite di elogio alla tradizione culturale russa associata, in un curioso cortocircuito, allo zar Pietro il grande e a Caterina II – la volontà di fermare la guerra è stata il Leitmotiv dell’azione di Bergoglio dal febbraio 2022 a oggi. Va anche ricordato che al principio, oltre a prendersela con la Nato, il pontefice assestò un colpo niente male anche al suo omologo Kirill, capo del patriarcato ortodosso di Mosca, spiegandogli in videoconferenza che il compito dei leader religiosi non è certo quello di fare i chierichetti dei capi di governo, Putin compreso. Insomma, il Papa ne ha dette varie, non osservando l’attenzione dovuta a uno scenario estremamente complesso sotto il profilo diplomatico, creando profonde incomprensioni fra gli ucraini cattolici e non e, più in generale, nelle chiese cattoliche dell’Europa orientale.
Gli aiuti umanitari all’Ucraina e la missione riuscita a metà del cardinale polacco Konrad Krajewski
Si vedrà alla fine se il saldo delle scelte compiute da Francesco sarà positivo o negativo, intanto però è possibile scorgere una strategia di fondo. Il Papa ha infatti utilizzato alcuni dei suoi più stretti collaboratori per muoversi nel pantano determinato dalla crisi ucraina. In particolare ha inviato a Kyiv e nelle regioni coinvolte più direttamente nelle operazioni militari, il cardinale di origine polacca Konrad Krajewski, ovvero “l’elemosiniere del Papa”, in termini più istituzionali si tratta del prefetto del dicastero per il Servizio della carità, ovvero l’organismo vaticano che opera interventi di solidarietà ai più bisognosi a nome del pontefice. Krajewski si è recato numerose volte in Ucraina portando aiuti e generi di prima necessità alle popolazioni civili colpite dalla guerra (e almeno in un’occasione, ricevendo qualche colpo d’avvertimento da parte dell’artiglieria russa), poi ha riferito al Papa in merito a ciò che ha visto di persona e ai colloqui che ha avuto. La sua missione aveva fra l’altro lo scopo di mostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, la vicinanza di Francesco alla popolazione civile. L’operazione, però, è riuscita solo in parte; se infatti la Chiesa greco cattolica ucraina ha ringraziato più volte il Papa per il sostegno umanitario (articolatosi anche attraverso l’azione di diverse caritas nazionali europee), probabilmente la Santa Sede ha sottovalutato, almeno in un primo momento, il consenso di cui godeva la linea di Volodymyr Zelensky di resistere a ogni costo all’invasione russa. Gli ucraini non solo non vogliono a nessun costo finire triturati da Mosca, ma non accettano neanche di cedere porzioni delle loro terre al gigantesco e traballante vicino, tanto più da quando ne hanno intravisto la fragilità militare. Solo una logorante situazione di stallo, che non sia però in nessun modo percepibile come una sia pure parziale e incerta vittoria russa, potrebbe indurre Kyiv a interrompere le ostilità. Anche perché data la situazione ormai determinatasi, è ben difficile che qualcuno degli alleati occidentali possa mettere in discussione gli aiuti militari, una vittoria anche solo politica di Putin potrebbe infatti avere conseguenze disastrose per le già deboli democrazie europee.
L’apertura (a parole) di Mosca a Zuppi e i rischi dell’equidistanza vaticana
E tuttavia, dato che nessun conflitto è eterno, le elezioni per la Casa Bianca del novembre 2024 potrebbero influire sul proseguimento della guerra, considerando che Joe Biden non ha alcun interesse a ritrovarsi in campagna elettorale mentre le ostilità sul terreno si intensificano e le spese per sostenerle si moltiplicano. In questo spiraglio può inserirsi anche il tentativo vaticano, partito certamente come ipotesi velleitaria ma, nonostante tutto, ancora in piedi. Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, è infatti stato per conto di Francesco a Kyiv e a Mosca, a Pechino e a Washington. Da ultimo, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha invitato il cardinale a tornare a Mosca – dove in verità nella sua prima visita Zuppi aveva ricevuto un’accoglienza piuttosto fredda – dicendosi pronto a incontrarlo e ad ascoltare le proposte di mediazione della Santa Sede. Si vedrà se è solo propaganda rivolta alle posizioni pacifiste presenti in Europa e in Italia in area cattolica e in ambienti politici di sinistra (come in realtà di estrema destra) o se la Russia intende fare sul serio. Di fatto, tuttavia, il Vaticano dovrà mettere da parte, se intende davvero diventare un partner internazionale per un negoziato di pace capace di coinvolgere anche le autorità ucraine, tutti gli estremismi ideologici di un pacifismo d’antan, come un’improbabile equidistanza fra aggredito e aggressore o la richiesta di un cessate il fuoco immediato che favorirebbe più l’oppressore che l’oppresso, e aprirsi con decisione a una posizione favorevole a una pace costruita nel rispetto del diritto internazionale. In altre parole sostenere che nessuna controversia internazionale può essere risolta con una invasione. Un’impostazione fatta propria più volte in modo accorto e non urlato dal segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ma meno recepita, nella sostanza, da realtà cattoliche importanti come la Comunità di Sant’Egidio dalla quale pure proviene il cardinal Zuppi.