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I Rolling Stones ci insegnano ancora cosa è il rock
Alberto Arbasino, fosse ancora vivo, avrebbe 93 anni. Mick Jagger e soci, oggi fuori con il loro nuovo lavoro Hackney Diamonds, ne hanno 80, chi più chi meno. Arbasino, tra le sue tante invenzioni letterarie – ricordiamo che a lui si deve l’iconica “casalinga di Voghera e quel “signora mia”, così snob da diventare simpatico – ha coniato la massima «si parte come brillanti promesse per diventare soliti stronzi, a pochi il privilegio di diventare venerati maestri». Parola più, parola meno. Ragionamento perfetto, buono per tutte le situazioni. Ma non per i Rolling Stones. Che hanno toccato tutte queste voci, per poi arrivare ben oltre il ruolo di venerati maestri: sono vere e proprie leggende viventi. Fatevi un giro in una qualsiasi città, specie quelle come Milano o Roma, infestate da cantieri, e vedrete come in genere passano le giornate i loro coetanei, a trascinare stancamente carrelli per la spesa, guardare come viene su quel palazzo, parlare stancamente su qualche panchina, se non in casa fissi su un programma qualunquista di Rete4. Questo mentre i, accompagnati dalle schitarrate iconiche di Keith Richards – il quale recentemente ha dichiarato di aver smesso da decenni con le droghe, questo dopo averci raccontato con dovizie di dettagli nella sua bio di essersi fumato anche le ceneri del padre morto – alternandosi tra classici rock’n’roll di matrice nera e ballad sdolcinate, tutte acustiche e archi, i nostri paladini ci dimostrano, oggi più che mai, che non solo il rock non è stato seppellito dalla trap, ma ci sono buone probabilità che le sopravviverà, mostrando sempre e comunque la lunga linguaccia, da poco apparsa anche sulle maglie del Barcellona.
Sarà il genio o una strana congiuntura astrale ma le canzoni girano che è una bellezza
Il disco, chiederà qualcuno? Ha ancora oggi senso tirare fuori un album? E ha senso tirare fuori un album di una band che da sempre, primi Anni 60, lavora su un unico mood? Sì, ha senso. Perché, sarà il genio, quello che li ha fatti assurgere a leggende, appunto, o sarà una strana congiuntura astrale che ciclicamente li vede al posto giusto nel momento giusto, ma questa manciata di nuove canzoni – nuove ma che potrebbero comodamente essere antiche – girano che è una bellezza, e girano anche nei cellulari, volendo, non necessariamente in stereo hi-fi. Partiamo con la decisamente funzionale Angry, funzionale per far discutere ma anche sufficientemente radiofonica per finire un po’ in tutte le airplay. I vecchietti in questione ben sanno che per arrivare al loro pubblico è meglio passare di lì che nelle Playlist di Spotify. Il lavoro si dimostra solido e impeccabile, con tracce sempre a fuoco e qualche picco in alto di quelli che ti fanno sobbalzare sulla sedia, se sei loro coetaneo una di quelle comprate in una televendita di Mastrota in tv, in regalo una bicicletta col cambio Shimano, immagino.
La dolce e smielata Depending on You è di quelle che, è scritto, finirà in una qualche scena strappalacrime di una commedia romantica grazie alla voce di Jagger sempre capace di creare empatia immediata con l’ascoltatore; Whole Wide World è un rockaccio amarissimo sulla brutta china che ha preso la loro città, Londra, e con essa tutto il mondo, con le chitarre di Richards e Ron Wood che si intrecciano come in fondo hanno sempre fatto. Poi arrivano le atmosfere rilassate e quasi caraibiche di Dreamy Skies, impreziosita dalla armonica del cantante e dall’hammond di una garanzia come Benmont Tench, direttamente dagli Heartbreakers del mai abbastanza compianto Tom Petty. Seguono la caciaresca Live by the Sword, con di nuovo tutti i componenti dietro i rispettivi strumenti, Charlie Watts redivivo compreso, miracoli della tecnologia, Bill Wyman figliol prodigo sempre gradito come l’ospite Elton John, e Tell me Straight, il classico momento Keith Richards, col rugoso asso delle sei corde anche al microfono.
Sweet Sounds of Heaven impreziosita dal genio di Lady Gaga e Stevie Wonder
Due due sono i punti che meritano particolare attenzione, e non solo da parte dei sodali della band che rischia di diventare la più longeva del pianeta. Parto dalla fine, e segnalo subito Sweet Sounds of Heaven, il gospel lunghissimo, oltre cinque minuti, praticamente quasi tre canzoni, stando ai diktat e standard imposti da Daniel Ek di Spotify, dove al fianco di Jagger c’è una artista che indubbiamente, destino permettendo, continuerà a lungo a stupirci per la sua geniale versatilità: Lady Gaga. Una canzone che prende il concetto di incedere del tempo e lo fa a pezzi, dimostrando come una bella canzone è in grado di superare le mode, la contemporaneità, puntando dritto dritto verso l’infinito e oltre, per dirla con Buzz. Lady Gaga, per altro, dei nostri vecchietti potrebbe essere più nipote che figlia, l’anagrafe parla chiaro. Una canzone che se fosse uscita negli Anni 60 avrebbe avuto esattamente lo stesso impatto, perché il rock’n’roll è questa cosa qui, signora mia, non certo solo una faccenda di pose e ammiccamenti, di cui comunque sia i Rolling Stones che Lady Gaga sono maestri indiscussi. Per la cronaca, alle tastiere c’è tale Stevie Wonder, perché se sei i Rolling Stones e chiami anche un Dio in terra come l’ex enfant prodige della Motown, il Dio prende e arriva.
Con Sir Paul McCartney in Bite My Head Off
Arriviamo quindi a Bite My Head Off, che vede al basso Sir Paul McCartney, altro ultra 80enne piuttosto in forma, con un tour mondiale lì dietro l’angolo. Una canzone che è un vero pugno in faccia, violento e sardonico, dove i nostri si divertono a fare il verso, attenzione attenzione, vedi come a volte le leggende possono diventare volendo soliti stronzi, a quel punk che ormai quasi 50 anni fa aveva provato a mandarli definitivamente in pensione. Un brano punk rock storto, come il punk era per questioni spesso di incapacità, e come in fondo sono spesso state le canzoni dei Rolling Stones, sporche il giusto per graffiare le anime, capaci di profumare di sudore e umori vari, una certa idea di sesso sempre presente, anche quando apparentemente non sembra.
La carezza ai Maneskin e la certezza che il rock sarà anche da boomer ma è molto divertente
Hackney Diamonds sicuramente non farà mai i numeri di un Bad Bunny, e magari neanche quelli dei Maneskin, indicati proprio da Mick Jagger come la più grande rock band al mondo (nonostante siano italiani), fatto che lo ha lasciato stupito, ha dichiarato ai microfoni di 7 del Corriere della Sera, tanto quanto le sue parole lasciano stupiti noi: chissà se dobbiamo considerare Damiano e soci anche più grandi degli Stones. Il disco però ci regala almeno due canzoni che rimarranno nelle nostre orecchie parecchio, volendo anche tre, e che comunque ci dicono che il rock sarà anche una faccenda da boomer o da nostalgici, ma a volte essere boomer e nostalgici è proprio molto divertente.