I Blur con The Ballad of Darren dimostrano che si può invecchiare con stile

Nell’estate fucsia nella quale abbiamo scoperto che la Barbie tutta estetica e niente profondità che per anni ha abitato il nostro immaginario in realtà è una sorta di filosofa del neofemminismo con la faccia di Margot Robbie, anche coloro che erano giovani negli Anni 90 e cioè i Blur – che con il loro nuovo album The Ballad of Darren ci hanno regalato momenti di grande svago e rock’n’roll – si sono scoperti ometti, invecchiati alla grande, a dimostrazione che i 50 sono senza ombra di dubbio i nuovi 30.

I Blur dimostrano che è possibile invecchiare senza cadere nel giovanilismi

Perché, diciamolo apertamente, uno dei grandi problemi che da sempre affligge la cosiddetta musica leggera, si parli di pop come di rock, è che gli artisti, in primis gli uomini, hanno un enorme problema col diventare adulti. Così, provando a invertire l’incedere inesorabile del tempo, più invecchiano, o diremmo oggi, diventano maturi, più la loro musica tende a farsi leggera, effimera, quasi impalpabile. Il tutto accompagnato, in maniera ancora più imbarazzante, da un lessico giovanilistico, impoverito di vocaboli e ovviamente di contenuti, modo piuttosto ingenuo di aggirare l’anagrafe, cui soprattutto gli artisti italiani sembrano piuttosto votati. Poi però arriva il nuovo lavoro dei Blur – dire come d’uso Damon Albarn e soci in questo caso non vale, perché, anche per la poliedricità del cantante della band inglese, che ama accompagnarsi con nomi eterogenei provenienti da mezzo mondo, i Blur sono i Blur proprio per la presenza al suo fianco di Graham Coxon, Alex James e Dave Rowntree – e di colpo essere adulti sembra una faccenda piuttosto interessante. Nulla che ruoti incontrovertibilmente intorno alla prostata o alla caduta dei capelli, ci mancherebbe altro, quanto piuttosto il vivere la vita con una intensità e quindi un passo differente, accettando questo cambiamento e quindi andando ad assaporare i nuovi gusti che il palato ci mette davanti, compresi quelli amari, certo, ma comunque differenti da quelli vissuti in gioventù.

I Blur con The Ballad of Darren dimostrano che si può invecchiare con stile
Damon Albarn (Getty Images).

Nessuna retromania o nostalgia ma un onesto faccia a faccia con la vita

E che i Blur non volessero, come prospettato da alcuni, giocare solo su una certa retromania di simonreynoldsiana memoria, lungi da loro essere mestamente nostalgici (al limite malinconici) è chiarito a grandi lettere già dal secondo brano in tracklist: St. Charles Square. Ricordiamoci che stiamo parlando di una band uscita negli Anni 90, che quindi quando prepara un album prepara un album, non pensa ad andar dietro alle paturnie dell’ad di Spotify Daniel Ek con le sue assurde richieste di fare un singolo a caso ogni 30 giorni. Dopo l’apertura esistenzialista e intensa di The Ballad, che è una sorta di canzone-manifesto di questo lavoro che è una sorta di faccia a faccia con la vita, i Blur sparano infatto quella che è obiettivamente la loro canzone più difficile di sempre, St.Charles Square, per altro con un attacco che lascerebbe pensare a qualcosa di decisamente leggero e che invece è semplicemente e volontariamente ostico, buono per i live ma oscuro su disco, come dire: se vuoi ascoltarci mettiti comodo e smettila di fare altro nel mentre. Un lavoro che non presenta una nuova Song 2 o Boys and Girls, ma che invece mostra i muscoli, nel senso che dimostra una profondità di scrittura e di interpretazione che, se indossata da ragazzotti nati negli Anni 60, impressiona non poco.

Se la maturità incontra il rock

A otto anni dal precedente lavoro, meno a fuoco di questo, i Blur hanno semplicemente deciso di fare i conti con le proprie perdite, le tante perdite, di vite, di affetti, di occasioni, che chiunque abbia modo di vivere abbastanza a lungo non può non incontrare, senza star qui a citare la massima di Ernst Hemingway la logica del più a lungo vivi peggio andrà a finire è abbastanza evidente a tutti. Un lavoro che è quindi maturo, ma anche incredibilmente rock, sempre che il rock possa essere altro da energia erotica e istinto di distruggere tutto, dove la tipica ironia di Albarn, i testi sono farina del suo sacco, è contenuta, a vantaggio di uno sguardo benevolo, certo non rassegnato ma quasi disincantato. Barbaric, The Everglades (for Leonard), dove quel Leonard è Cohen, cui la canzone è dedicata, la già nota The Narcissist, The Heights le tracce migliori, anche se chiunque si approcciasse oggi al rock, termine di per sé labilissimo che comprende tutto quel che si può concepire tra i Maneskin e i Carcass, dovrebbe ascoltare e ascoltare e ascoltare quel prontuario di produzione musicale e arrangiamento che risponde al titolo di Goodbye Albert.

Lasciateci sognare una collaborazione tra Damon Albarn e Margot Robbie-Barbie

Un album decisamente poco estivo, The Ballad of Darren (Darren, per la cronaca, è l’ex bodyguard della band, sorta di spirito guida metaforico) ben si appoggia sulle finte tinte fucsia che questa estate così calda e per certi versi iperenergetica, si pensi alla quantità inutile e tossica di wannabe-tormentoni, sta proponendo grazie al lancio mondiale del film Barbie, di Greta Gerwig. Un film, quello, so che potrebbe sembrare assurdo anche solo pensarlo, che parte dalla bambola che per decenni è stata la quintessenza della superficialità, tutta apparenza e niente contenuto, per provare a sovvertire tutti gli stereotipi, in un mix altrettanto riuscito, seppur decisamente poco rock, di leggera malinconia. L’idea di una prossima collaborazione tra Damon Albarn e Margot Robbie, diciamolo a gran voce, è in grado di rialzarci la pressione come neanche un bicchiere di Polase addizionato al Gatorade. Mai dire mai, perché se è vero come ci ha lasciato detto Monicelli e poi ribadito il Capuano di È stata la mano di Dio di Sorrentino, che la speranza è una trappola, è anche vero che l’imprevedibilità di quel che ci aspetta è tale da obbligarci in qualche modo a vivere tutto con la medesima intensità, a partire dai sogni. The Ballad of Darren, in fondo, ci dice anche questo.

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