Come la guerra in Israele rischia di affossare il Piano Mattei di Meloni

Il Piano Mattei di Giorgia Meloni rischia di rimanere solo un bello slogan. Le tessere del mosaico della premier che vorrebbe trasformare l’Italia nell’hub energetico del Mediterraneo stanno infatti cadendo una dopo l’altra, e questa volta difficilmente l’arte del compromesso e del maquillage in nome della Realpolitik potrebbe essere d’aiuto. L’ultima scossa è arrivata con l’attacco di Hamas a Israele, una guerra che potrebbe stravolgere i delicati equilibri del Medio Oriente. Il governo Meloni, come del resto l’intera Europa, ha espresso la sua totale vicinanza a Tel Aviv. Trovandosi contro, come era prevedibile, due dei pilastri del Piano Mattei: Tunisia e Algeria.

La solidarietà di Algeria e Tunisia per il popolo palestinese

«L’Algeria segue con grande preoccupazione l’evoluzione delle brutali aggressioni israeliane contro la Striscia di Gaza, che sono costate la vita a decine di palestinesi innocenti caduti martiri di fronte al persistere della politica di oppressione e persecuzione imposta dall’occupante israeliano sul valoroso popolo palestinese», si legge in una dichiarazione del ministero degli Esteri algerino, in cui viene ribadita la «richiesta di intervento immediato da parte della comunità internazionale attraverso gli organismi multilaterali competenti per proteggere il popolo palestinese dall’oppressione e dai crimini che caratterizzano il colonialismo israeliano». Di più: «L’occupazione dei coloni è al centro del conflitto arabo-israeliano e che porre fine alle prove e ai guai che comportano questo conflitto significa rispondere ai legittimi diritti del popolo palestinese e consentirgli di stabilire il proprio Stato indipendente sui confini del 1967, con Gerusalemme (al Quds) occupata come capitale». La Tunisia non è stata certo da meno. Sabato, poco dopo l’attacco sferrato da Hamas, ha espresso «piena e incondizionata» solidarietà al popolo palestinese. La presidenza, su Facebook, ha ribadito il diritto dei palestinesi a rivendicare le loro terre occupate e a creare uno Stato indipendente definendo quelli di Israele «barbari attacchi».

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Mark Rutte, Ursula von der Leyen, Kais Saied e Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Il dietrofront di Saied sui migranti e il patto di cooperazione di Tebboune con Mosca

Difficile capire come Meloni riuscirà a rattoppare anche questo strappo. Che si va ad aggiungere al dietrofront sul Patto sui migranti del presidente tunisino Kais Saied. Per non parlare del già complicato rapporto con l’Algeria. Il Paese nordafricano è infatti diventato il nostro principale partner energetico, sostituendo di fatto la Russia. Ma il presidente Abdelmadjid Tebboune ama giocare su più tavoli, tanto che recentemente ha rinnovato con Vladimir Putin un patto di cooperazione non solo energetica ma anche militare. In sostanza l’Algeria esporta verso l’Italia il 35 per cento circa del nostro fabbisogno di gas e contemporaneamente importa armi dalla Russia. Affari che non avevano impedito, il 20 settembre a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a Meloni e Tebboune di avere un «cordiale incontro» nel quale, come recita il sito del governo italiano, era «stata espressa grande soddisfazione per la solidità dei rapporti bilaterali, che spaziano in diversi ambiti economici, non solo energetico ma anche industriale».

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Vladimir Putin il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune (Getty Images).

Tra conflitto israeliano e tensioni tra Armenia e Azerbaigian si rischia una nuova crisi energetica

Tunisia e Algeria non sono gli unici pilastri a traballare. Anche altri Paesi che rientrano nel piano meloniano si sono schierati con i palestinesi: dal Qatar, dal quale l’Europa ha importato una quota consistente di gas naturale liquefatto (Gnl) – nel primo trimestre 2023 l’Italia aveva importato il 39 per cento del suo fabbisogno – all’Egitto che con Israele e Libano si contende i giacimenti di gas del Mediterraneo orientale, sui quali puntano molto anche Eni e governo. Con i missili di Hamas su Israele e l’assedio di Gaza, chiudere un occhio potrebbe non essere più sufficiente. Non a caso il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso intervenendo a Rainews24 ha sottolineato come la guerra in Israele «rischia di creare una situazione di emergenza che rischia di fare esplodere altre problematiche», a partire dall’energia. Così come era accaduto per l’invasione russa dell’Ucraina. Se a questo si aggiunge l’invito dell’Ue a ridurre le importazioni di gas dall’Azerbaigian dopo l’invasione del Nagorno Karabakh e, «in caso di aggressione militare o attacchi ibridi contro l’Armenia» a interrompere completamente le importazioni da parte dell’Ue di gas e petrolio azeri, la situazione potrebbe complicarsi ulteriormente, visto che tra ottobre 2022 e marzo 2023 il 16 per cento del nostro gas è arrivato proprio da Baku.

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