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Club Dogo, Marracash, Salmo e Noyz Narcos: il ritorno dei big del rap
Marracash, 44 anni, a settembre ha chiamato all’adunata il pubblico del rap col suo Marragheddon, andando a mettere insieme il più grande numero di spettatori per un evento rap in Italia, 130 mila biglietti strappati per le due date di Milano e Napoli, record destinato a superarsi già il prossimo anno. Guè, Jake la Furia e Don Joe, rispettivamente 43 anni a dicembre, 44 e 48 anni, tornano insieme come Club Dogo, e subito scatta la dogomania, 10 date al Forum di Assago andate sold out nel giro di poche ore, per un evento che con circa 120 mila presenze entrerà a sua volta nella storia della musica leggera italiana. La presenza di Beppe Sala nel video che ne ha annunciato il ritorno a dare al tutto una mano di surreale. Salmo e Noyz Narcos, 39 e 44 anni, danno finalmente alle stampe il loro album insieme, atteso per oltre 10 anni, Cult, spopolando nelle piattaforme di streaming e andando a ridisegnare l’estetica del rap italiano, mai come in questo caso a tinte horror e con testi che vacillano tra il citazionismo cinematografico e il graffio punk. Tre situazioni che però, viste nell’insieme, sembrano volerci dire qualcosa.
Il miracolo del rap, 50 anni di vita e la capacità di apparire sempre the next big thing
Perché se è vero come è vero che mettere d’accordo tutti è impresa difficile in qualsiasi campo – figuriamoci nella musica dove generi, mode, addirittura metodi d’ascolto influiscono in maniera decisiva, andando di volta in volta a cancellare il passato prossimo a beneficio di chi vive il presente da protagonista – è pur vero che il rap, che proprio nei mesi scorsi ha soffiato metaforicamente sulle 50 candeline, sembra si stia proponendo, almeno in Italia, come un luogo dove le vecchie glorie hanno ancora parecchio da dire, anche a un pubblico di giovanissimi. È infatti innegabile come il rap si sia riuscito a mantenere negli anni un genere non solo capace di rinnovarsi costantemente, ma sia riuscito nell’impresa titanica di restare nell’immaginario collettivo come qualcosa di talmente nuovo da risultare quasi ancora da scoprire, come una delle tante next big thing con cui ciclicamente ci si ritrova a fare i conti. Sin dagli Anni 90, infatti, con la generazione precedente a quella dei vari Club Dogo, Marracash e Salmo, abbiamo assistito a una catena quasi destabilizzante di titoli che anno dopo anno gridava all’arrivo di una nuova musica, quel rap degli Articolo 31, per altro anche loro da poco tornati insieme e oggi fuori col singolo Classico, dei Sottotono, dei Frankie Hi Nrg, di Piotta, via via, scavallando il secolo, fino a Mondo Marcio, Fabri Fibra e, appunto, la covata degli artisti milanesi che proprio intorno alle Sacre Scuole ruotava, dai su menzionati Club Dogo a Marracash, sempre introdotti al pubblico come portatori sani di qualcosa di sconosciuto e innovativo, benché il rap esistesse negli Usa sin dagli Anni 70 e anche da noi fosse sbarcato ormai da tempo immemore.
Il gran ritorno dei big della scena italiana: da Marra ai Club Dogo fino a Salmo e Noyz
Oggi, con una capacità di memoria pari allo zero – la vita degli artisti è ridotta a volte al breve lasso di qualche uscita, poi il veloce oblio, nella totale incapacità di sconfinare dall’alveo generazionale da parte di nomi che pur hanno l’attenzione anche del mainstream ufficiale, Amadeus e il suo Festival di Sanremo in testa – stiamo assistendo al ritorno massiccio e anche orgoglioso di chi la storia del rap, in Italia, ha contribuito a scriverla. Marracash, il rapper filosofo, a farsi catalizzatore per vecchi e giovanissimi andando a dar vita a un evento che suona come la prima vera e propria conta di chi quel genere lo ha praticato e lo pratica. Il Marragheddon è un po’ come come la Woodstock di chi ama barre e flow; i Club Dogo sono tornati in maniera spavalda, lanciando le date al forum di tre in tre senza neanche aver tirato fuori uno straccio di canzone nuova, solo contando sulla leggenda che col tempo si è radicata. Salmo e Noyz sbattono sul mercato un disco talmente atteso che ormai sembrava destinato a rimanere a vita nella lista dei desiderata, la presenza benedicente di Dario Argento a dare al tutto un’aura di ulteriore leggenda. Prendi due così e mettili insieme e non potrai che vedere un oggetto di culto, o di Cult.
Un conto è cantare la malavita, un conto è finirci dentro
Anche nel rap, ripetiamo, nato 50 anni fa nel Bronx e ormai divenuto lessico valido per tutte le lingue, dagli stacchetti delle veline di Striscia alle canzoni dello Zecchino d’oro – è possibile guardare al passato con timore reverenziale. Le vecchie glorie, esattamente come sta accadendo nel rock, sono ancora belle arzille, pronte a prendersi tutto quello che in gioventù, a causa dell’allora reale novità del genere in questione, non si sono potute prendere in chiave di riscontri di vendita e di pubblico. Il tutto senza neanche dover ricorrere a quella pubblicità certo molto “affascinante” se si è ragazzini che ancora nulla si sa della vita, discutibile per chi ha già il certificato elettorale dentro un cassetto, che la cronaca nera sta fornendo ai nuovi eroi della scena, da Shiva a Baby Gang, passando per Gallagher, Rondodasosa o Simba la Rue, perché un conto è cantare la strada e la malavita, un conto rimanerci incastrati dentro. Del resto, se si è agli arresti domiciliari, o peggio, a San Vittore, è difficile poter fare concerti mandati velocemente sold out.