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La difficile russificazione dei territori ucraini annessi
A un anno esatto dalla firma dell’accordo di annessione firmato dal Cremlino e i leader delle regioni ucraine occupate di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson, il 29 settembre Vladimir Putin ha celebrato il Giorno della riunificazione. «Noi siamo un popolo unico e insieme supereremo qualsiasi cosa e troveremo le risposte a ogni sfida», ha dichiarato il presidente russo ringraziando i cittadini delle regioni annesse «che hanno preso insieme questa decisione consapevole, tanto attesa, combattuta e veramente popolare, durante i referendum, nel pieno rispetto degli standard internazionali. Hanno mostrato coraggio e carattere inflessibile».
Il nuovo distretto federale è rimasto lettera morta
Ma quale è veramente la situazione nelle regioni annesse dopo i referendum farsa? Un anno fa, come ricorda Meduza, si pensava che questi territori sarebbero stati unificati in un nuovo distretto federale da affidare al plenipotenziario del Cremlino Dmitry Rogozin, ex capo di Roscosmos. Qualcosa però, o forse più di qualcosa, è andato storto. Nell’autunno del 2022 infatti la controffensiva di Kyiv è riuscita a riguadagnare posizioni e Kherson è stata addirittura abbandonata dall’esercito russo. Così il nuovo distretto federale non ha mai visto la luce. Secondo fonti vicine all’Amministrazione presidenziale, sentite da Meduza, Mosca sta pensando di includere i territori annessi nel già esistente distretto federale meridionale (che comprende anche la Crimea, annessa nel 2014).
Nessun funzionario sgomita per essere promosso nelle regioni occupate
I capi delle nuove “regioni russe” sono rimasti per ora al loro posto, mentre Rogozin ha assunto l’incarico creato ad hoc di senatore della regione di Zaporizhzhia. La verità è che nella nomenklatura di peso nessuno sgomita per essere ‘promosso’ alla guida dei territori annessi dove si continua a combattere e il futuro è pieno di incognite. Anzi, c’è pure chi ha preferito tornare alla casa madre. Sergei Eliseev, che per diversi mesi ha guidato il governo della regione di Kherson, dopo l’avanzata ucraina ha optato per il suo vecchio incarico di vice governatore di Kaliningrad; il leader di Donetsk, Vitaly Khotsenko, ora guida la regione di Omsk, mentre il vice primo ministro di Lugansk Vasily Kuznetsov è diventato governatore della Chukotka. Molti altri farebbero volentieri un passo indietro ma è quasi impossibile: agli occhi di Mosca equivarrebbe a una diserzione. Nemmeno il denaro offerto da Putin è stata una leva sufficiente a spingere funzionari di medio e basso livello a trasferirsi dalla Russia nelle regioni occupate: sebbene la paga sia doppia, il gioco non vale la candela, è il ragionamento. Anche i potenziali funzionari locali scarseggiano perché temono che l’Ucraina da un momento all’altro possa riprendere i territori e di diventare così facili bersagli di azioni terroristiche. Basta ricordare la morte, nel settembre 2022, del vice capo del governo di Kherson Alexei Katerinichev in un bombardamento o quelle, un mese dopo, del procuratore generale di Lugansk Sergei Gorenko e del suo vice nell’esplosione di una bomba in ufficio.
Il concorso per governatori e il sistema dei patrocini
A causa della carenza di personale – il Cremlino non è riuscito a trovare nemmeno funzionari per i parlamenti locali – l’amministrazione presidenziale ha iniziato a indire bandi per il personale delle nuove regioni sul modello del concorso Leader della Russia, considerato uno dei principali trampolini di carriera nella Federazione. Al momento si contano solo due ‘vincitori’ diventati viceministri a Donetsk. Parallelamente prosegue un’altra iniziativa, il cosiddetto patrocinio dei nuovi territori, una specie di gemellaggio economico. Le regioni russe sono cioè obbligate a farsi carico, in tutto o in parte, del ripristino delle infrastrutture delle città e degli oblast occupati (come San Pietroburgo con Mariupol). Il problema però sono i bilanci. Non si sa con certezza a quanto ammontino i costi del “patrocinio” (le autorità russe avevano stimato i costi totali del “ripristino delle infrastrutture” in almeno un trilione e mezzo di rubli, poco meno di 10 miliardi di euro). Senza contare i sentimenti anti-russi e filo-ucraini che serpeggiano tra le popolazioni. A conti fatti la tanto decantata russificazione delle regioni annesse per ora resta lettera morta. Si preferisce parlare di “russificazione light”. Tradotto significa, per esempio, che gli studenti sono costretti a cantare l’inno russo nelle scuole ma che ogni decisione presa sulle loro teste viene imposta da Mosca.