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Jankto al Cagliari e i rischi di un calciatore gay in un Paese omofobo
Egregio Jakub Jankto, ci perdoni l’ardire se le scriviamo queste righe e soprattutto se siamo così diretti: ma lei è davvero sicuro di voler tornare a giocare in Italia? Glielo chiediamo perché i cosiddetti rumors di calciomercato la danno molto vicino al Cagliari. Che, esattamente come lei si accingerebbe a fare, torna in Serie A. Con la differenza che la squadra sarda è stata soltanto in Serie B. E invece lei, nel frattempo, ha deciso di fare coming out dichiarando pubblicamente la sua omosessualità e rivendicando il diritto a sentirsi libero. Gesto bello e liberatorio, di grande impatto per tutti coloro, colleghi calciatori e non, che continuano a vivere il disagio di non poter “uscire dall’armadio” (espressione ispanica di grande efficacia, nel descrivere l’uscita allo scoperto) e perciò si condannano a una vita d’indicibile sofferenza. Ma detto della nobiltà del suo gesto, ribadiamo l’interrogativo: se la sentirebbe davvero di tornare in Italia?
Il vecchio luogo comune: «nel calcio maschile non esistono gay»
Non si tratta di una domanda oziosa, ma di una sincera preoccupazione verso la sua persona. Lei torna in questo Paese circondato da un’aura ben diversa rispetto a quando ne era andato via. Allora, estate del 2021, lei era un qualsiasi calciatore sul cui orientamento sessuale nessuno perdeva il tempo a interrogarsi. Tanto più che, come vuole il luogo comune, «nel calcio maschile non esistono gli omosessuali» e in Italia ancor più che altrove. Pregiudizio di eterosessualità, tendenza machismo. E invece adesso torna da omosessuale dichiarato, in quello che si sta rivelando essere il peggior Paese d’Occidente in materia di rispetto delle diversità e dei diritti civili. Il Paese della ministra Roccella e del senatore Pillon, delle mancate registrazioni per i figli delle coppie omogenitoriali e di un virilismo che sarebbe anche da parodia se non incidesse così pesantemente nell’implementazione delle politiche e nella gestione della vita quotidiana.
Uno sport già intossicato dal razzismo come reagirà all’omofobia?
Soprattutto, lei rimette piede nel calcio nazionale più troglodita dell’universo. Intossicato da un razzismo che non trova argini e se ne infischia di ogni sanzione. E certo ne avrà anche memoria, perché durante gli anni da lei trascorsi a Udine e poi a Genova sponda Sampdoria le sarà capitato di assistere a episodi d’assoluta meschinità. Con interi stadi che prendono di mira un calciatore soltanto a causa del colore della sua pelle, e poi magari trovano difensori d’ufficio che si battono «per il buon nome di una città intera» o sostenendo che «non è mica razzismo, ma soltanto uno fra i tanti modi di offendere». Ecco, tenga presente questo trogloditismo diffuso e pensi a quale reazione – chimica, emotiva, culturale – potrà suscitare la possibilità d’insultare il primo calciatore dichiaratamente gay nel campionato italiano. Praticamente un tiro al bersaglio, e forse senza che si possa nemmeno reprimere direttamente l’omofobia. Perché adesso gli arbitri possono interrompere, e al limite sospendere, una gara in caso di manifestazioni di razzismo. Ma come dovranno comportarsi in caso di comportamenti omofobi? Siamo proprio sicuri che il regolamento dia loro copertura e facoltà di interrompere la gara anche in questa fattispecie?
Il “clima d’opinione” si preannuncia pesante: vero ministro Abodi?
Ma soprattutto, caro Jankto, c’è che il cosiddetto “clima d’opinione” nei suoi confronti si preannuncia già preoccupante. Non si sa ancora se lei tornerà nel nostro campionato e già si sommano le esternazioni da quadrupedi. Come quella del quotidiano Libero, che nei giorni in cui lei fece coming out ironizzò, sostenendo che lei si fosse ricordato di farlo soltanto perché a fine carriera (come se a 27 anni d’età si fosse già sul viale del tramonto). O come quel sedicente opinionista del Foglio che ironizzò sul «prenderlo dove piace a Jankto». Persino il ministro dello Sport Andrea Abodi, che pure è una delle rare persone presentabili in questo impresentabilissimo esecutivo, ha esternato nelle scorse ore sostenendo che la sua pubblica dichiarazione di omosessualità sia stata una «ostentazione» che non lo trova d’accordo.
Aspettiamo al varco le tifoserie avversarie (ma anche la sua)
Insomma, caro Jankto: questo è. Lei torna in Italia soltanto per fare il suo mestiere, cioè giocare a calcio. Ma andrà a finire che a ogni partita le toccherà impersonare un ruolo da eroe dei diritti civili. Nel confronto con le tifoserie avversarie, ma magari anche con la sua qualora il suo rendimento lasciasse a desiderare. È veramente pronto per tutto questo? Se sì, allora in bocca al lupo. Staremo comunque al suo fianco, senza se e senza ma.