Spazio, scoperte le onde gravitazionali respiro dell’universo

Il cosmo respira. È l’incredibile scoperta di un team internazionale composto da 190 scienziati, tra cui esperti dell’Inaf di Cagliari e dell’Università Milano-Bicocca. Nuova pietra miliare dell’astrofisica, potrebbe gettare nuova luce sullo studio dell’universo finora sconosciuto. Il ronzio di sottofondo che risuona nel vuoto cosmico sarebbe frutto di onde gravitazionali create dalla fusione di due enormi buchi neri, molto più grandi del nostro Sole. La teoria, già proposta nel 1916 da Albert Einstein, non aveva ancora trovato riscontro concreto nonostante decenni di studi. Grazie a essa, sarà ora possibile una maggiore comprensione dello spazio, delle galassie e dei corpi celesti. Lo studio in lingua inglese è disponibile integralmente sulla rivista Astronomy and Astrophysics.

Scoperto il ronzio dell'universo, frutto delle onde gravitazionali scaturite dalla fusione di due buchi neri. Coinvolte Cagliari e Milano.
Una delle prime immagini di un buco nero presentate dalla Nasa (Getty Images).

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Cosa sono le onde gravitazionali che generano il “respiro” dello spazio

Le onde gravitazionali sono increspature nel tessuto dell’universo capaci di muoversi alla velocità della luce. Dapprima solo ipotizzate, furono scoperte per la prima volta nel 2015 quando un team italo-statunitense ne rilevò alcune scaturite dalla collisione di enormi buchi neri. Si trattava in quel caso solto di fenomeni ad alta frequenza, risultato di un violento impatto. La recente scoperta riguarda invece onde gravitazionali a bassa frequenza e ultra-lunghe, costantemente in movimento come un rumore di sottofondo. Per poterle misurare, gli scienziati hanno puntato 13 radiotelescopi su circa 115 pulsar, ossia i nuclei morti di stelle esplose in una supernova.

Si ritiene che le onde provengano stavolta dalla fusione, lenta ma inesorabile, fra due buchi neri miliardi di volte più grandi del nostro Sole. «Ora sappiamo che l’universo è inondato di onde gravitazionali», ha detto ad Afp Michael Keith dell’European Pulsar Timing Array (Epta), collaborazione europea che riunisce 11 istituzioni del Vecchio Continente. «Possono inoltre agire come un orologio molto preciso». Si ritiene che in futuro tali fenomeni potranno aiutare gli scienziati a comprendere ancor meglio il Big Bang e persino fare luce sulla materia oscura. Gli astrofisici le utilizzeranno anche per scavare più a fondo sul funzionamento di buchi neri e galassie. Oltre all’Epta, hanno partecipato alla ricerca l’Inpta indiana, la nordamericana NanoGrav, l’australiana Ppta e la cinese Cpta.

Il ruolo dell’Italia nella scoperta scientifica sull’universo

Fra i 13 radiotelescopi utilizzati per i rilevamenti, situati in Regno Unito, Germania, Francia e Olanda, c’è anche il Sardinia Radio Telescope, gestito dall’Inaf di Cagliari. «È una grande soddisfazione per l’astrofisica italiana», ha dichiarato all’Ansa Andrea Possenti, tra i fondatori dell’Epta. «Un nuovo traguardo che conferma il ruolo centrale dell’Italia». Gli ha fatto eco l’ex presidente dell’Inaf Nichi D’Amico, che ha preannunciato ulteriori studi «per molti decenni a venire». Soddisfatta anche la ricercatrice Caterina Tiburzi, secondo cui la scoperta permetterà magari di «svelare alcuni dei misteri finora irrisolti nell’evoluzione del cosmo».

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