Rizzo, Vannacci e il non-luogo ideologico dove sinistra e destra si confondono

«Un piede sulla sponda destra, un piede sulla sponda sinistra e il terzo nel culo degli imbecilli». In questo celebre verso di Jacques Prévert è riassunto lo spirito di un’epoca, quasi tutto il Novecento, dove i movimenti ideologici imperavano e non c’erano vie di mezzo. O a destra o a sinistra, fascisti o comunisti, liberali o socialisti e così via per nette contrapposizioni che si estendevano in ogni ambito della vita sociale e culturale. Ma tutte escludenti posizioni mediane, equidistanti, equilibrate. Chi ci avesse provato sarebbe subito stato bollato: trasformista, cerchiobottista, opportunista, voltagabbana. Per i terzopolisti di oggi, alla Matteo Renzi e Carlo Calenda, non c’era possibilità di agibilità politica.

Vi immaginate Berlinguer intervistato dal Secolo d’Italia? O Prodi sul Giornale?

Ma ancora sino a ieri, per arrivare a un recentissimo fatto di cronaca, era inconcepibile un’interlocuzione fra visioni del mondo opposte, estreme. Riuscite infatti a immaginare Enrico Berlinguer intervistato dal Secolo d’Italia o viceversa Giorgio Almirante sull’Unità? Ma per arrivare a tempi più recenti, Romano Prodi che si concede a il Giornale? Impossibile. E infatti non è mai accaduto. È successo invece il 14 agosto che sul quotidiano di destra La Verità sia comparsa una lunga intervista al comunista Marco Rizzo. Che ha messo assieme Lenin e De Gaulle, dicendo che se fosse americano voterebbe Donald Trump, certo turandosi il naso. Figlio di un operaio della Fiat, all’internazionalismo proletario ha sostituito il nazionalistico «stop agli immigrati». Si è detto d’accordo sull’utero in affitto dichiarato reato universale e ha giudicato Giorgia Meloni poco sovranista. Insomma, ne ha sparate così tante che non è possibile riassumerle.

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Il comunista Marco Rizzo (Imagoeconomica).

Meloni invoca Bertolt Brecht, Rampelli sdogana il poster di Che Guevara

Tuttavia ha avuto il pregio di fare luce e avviare una riflessione non banale sul tempo presente della politica. Un tempo molto confuso in cui i tradizionali punti di riferimento ideali sono stati messi in pausa. Come congelati. Pronti e buoni per ogni uso nel momento in cui possono servire. Ideologie prêt-à-porter che si formano mettendo assieme pezzi pescati un po’ ovunque e ricombinati secondo le logiche del puzzle. Fai-da-te. Ne escono assemblaggi di idee e citazioni che ancora un decennio fa avrebbero fatto inorridire, ma che ora sono pacificamente accettati. In questo Rizzo non è diverso dalla Meloni che per l’insediamento del governo Draghi votando contro invocò Bertolt Brecht, o dal capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli, che mesi fa dichiarò normale per un giovane di destra tenere in camera il poster di Che Guevara.

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Giorgia Meloni e Fabio Rampelli (Imagoeconomica).

“Né di sinistra né di destra”: i cinque stelle e il trasformista Conte

Mimetismo, ibridismo, contaminazione: non è chiaro come definire questo fenomeno di stravolgimento di idee e valori che sino a ieri erano contrapposti irriducibilmente e ora invece si tengono, fondono, intrecciano, dando vita a inedite manifestazioni di pensiero e azione. Questo processo di appropriazione, spesso indebita (qual è l’assunzione di Antonio Gramsci nel pantheon ideale di CasaPound, i fascisti del terzo millennio), è praticato più a destra che a sinistra. Ma ha trovato un terreno di cultura favorevole nel “né di sinistra né di destra” sbandierato dal Movimento 5 stelle. Un “vuoto ideologico” che ha come simbolo il parlamento identificato da Beppe Grillo in una la scatoletta di tonno da aprire senza riguardi, e che ha consentito all’«avvocato del popolo» Giuseppe Conte di fare disinvoltamente politiche di destra (anti immigrazione) e di sinistra (reddito di cittadinanza). Di stare prima con Matteo Salvini, e il giorno dopo con Enrico Letta.

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Matteo Salvini e Giuseppe Conte quando erano al governo insieme (Imagoeconomica).

La Lega senza padri culturali e all’insegna solo del “buon senso”

Ma il partito meno ideologico in assoluto, o a-ideologico, è la Lega, che non ha padri culturali, né teorie e intellettuali di riferimento. Il “buon senso”, del quale come noto sono pieni i fossi, è la stella polare del leghismo, che non casualmente è votato dalla parte meno acculturata del Paese, quella che gli unici libri che legge sono quelli contabili. Ora è vero, visto che si parla di ideologie, che come ha detto Mao Tse-tung «se il disordine è grande, la situazione è eccellente». Non saprei però per chi sia vantaggiosa questa società confusa. E a cosa preluda o prepari. È certo però che l’imporsi di ideologie pret-à-porter o mixed abbia determinato e stia producendo, a dispetto del loro carattere effimero, delle profonde trasformazioni sociali. Caratteristiche peculiari di classe, infatti, sbiadiscono e danno vita a inedite alleanze politiche e sociali, a loro volta foriere di trasformazioni radicali.

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Elettori leghisti a Pontida (Imagoeconomica).

Nelle narrazioni populiste gli elettori del Pd sono i comunisti col Rolex delle Ztl

Accade così pensando alle cronache di questi anni che i centri sociali, di derivazione autonomia operaia, si trovino allineati con Forza Nuova contro i sindacati e in particolare la Cgil. Che a fare molti figli sia il ceto medio ricco e non la classe lavoratrice; e che sia quest’ultima a difendere e auspicare il ritorno a valori tradizionali, anche nei rapporti di genere, schierandosi contro la difesa dei diritti civili e sessuali delle minoranze. Diritti che secondo la destra possono permettersi ed esibire solo progressisti e radical chic. I famosi “comunisti col Rolex”. Nelle narrazioni populiste gli elettori del Partito democratico abitano nei quartieri bene e nelle Ztl. Le periferie degradate sono viceversa l’orizzonte urbano quotidiano dei ceti popolari. Nel contempo i “poteri forti”, una volta definiti tout court capitalisti e borghesi, nella narrazione sovranista sono diventati di sinistra, globalisti, egoisti, nemici del popolo e dei lavoratori.

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Elly Schlein, segretaria del Partito democratico (Imagoeconomica).

I partiti non riescono più a fare sintesi e per un leader dire e disdire è normale

Naturalmente al di là degli aspetti grotteschi, il gran frullato ideologico che il web e i social alimentano alla grande, ha effetti concreti e quasi nessuno di segno positivo o incoraggiante. Anzitutto l’aumento e l’incrudelire dei conflitti. Perché lo scontro di visioni politiche non è più fra due blocchi, ma fra una molteplicità di gruppi d’interesse e di pressione, tutti invariabilmente “armati”: dall’ampia galassia dei no-a-tutto ai sostenitori di qualsiasi causa (vegana, animalista, anti-abortista o pro nucleare) possa fare rumore, ma non essere risolta. Anche perché i partiti non sono più in grado di fare sintesi. E nel vuoto di cultura politica e di ancoraggi teorici è successo che il liberalismo, il socialismo, il popolarismo sono stati surrogati dal renzismo, dal salvinismo, dal melonismo. Col risultato di precipitare in un non-luogo ideologico (per parafrasare la categoria di Marc Augé). Dove tutto e il suo contrario (valori, identità, ideali) si tengono e per un leader dire e disdire, contraddirsi magari rimangiandosi quanto detto qualche mese prima, senza alcuna imbarazzo, è diventato normale. Sparare “balle” attualmente è da very normal leader.

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Il generale Roberto Vannacci.

Rizzo e Vannacci, due personaggi agli antipodi che si trovano d’accordo

È in un simile contesto dove sinistra e destra sono diventate concetti mobili, relativi, polisemici (come la parola libertà) che gli “imbecilli” di Prévert tornano, perlomeno evocativamente, di grande attualità. E che due personaggi agli antipodi, collocati su sponde opposte, come Marco Rizzo e il generale Roberto Vannacci possono trovarsi d’accordo nello sparare contro Soros, le lobby gay, gli immigrati e i diritti delle minoranze.

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