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«Costretta a mangiare la terra»: la giornalista russa Yelena Milashina racconta il pestaggio
La giornalista di Novaya Gazeta Yelena Milashina ha raccontato in dettaglio come lei e l’avvocato Alexander Nemov sono stati picchiati a Grozny, capitale della Cecenia, repubblica della Federazione Russa, dove i due erano arrivati per il processo contro Zarema Musayeva, madre di due attivisti che hanno contestato le autorità locali. La testimonianza della reporter è stata raccolta da Meduza.
«Erano almeno 10, forse 15. Parlavano ceceno tra loro, russo con noi»
Milashina ha raccontato di essere stata intercettata da un commando di uomini mascherati, dall’accento ceceno e a bordo di tre vetture, mentre si trovava in auto insieme con Nemov a circa 500 metri dall’aeroporto. Costretti ad accostare sul ciglio della strada, sono stati portati poco lontano e lì è iniziato il brutale pestaggio. «Erano almeno 10, forse 15, tra i 25 e i 35 anni. Parlavano ceceno tra loro e russo con noi», ha raccontato la giornalista. «Ci hanno picchiato con bastoni di polipropilene, che lasciano tracce molto caratteristiche: un ematoma nero ai bordi e più chiaro all’interno». Non sono solo state utilizzate mazze di materiale plastico, nel corso dell’aggressione: «A un certo punto, mi hanno messo qualcosa di freddo sulla fronte, pensavo fosse una pistola e invece era un rasoio». Dopo averle rasato la testa, gli assalitori le hanno versato addotto l’antisettico di colore verde zelyonka. Poi, urlando «stai zitta, cagna», le hanno schiacciato la faccia a terra, costringendola a mangiarla.
Le minacce di mozzarle l’indice della mano destra
«Mi hanno anche preso a calci e picchiato con la canna di una pistola, con cui hanno minacciato me e Sasha», che è stato pugnalato a una coscia. Gli autori del pestaggio, ha raccontato, hanno detto che le avrebbero mozzato l’indice della mano destra, pur di ottenere l’impronta digitale con cui accedere all’iPhone della reporter. Non funzionando questa modalità di accesso, gli aggressori si sono “limitati” a bastonare le mani della giornalista, che ha riportato diverse fratture. Terminato il pestaggio, il commando ha portato via telefono, computer e tutto il resto dell’attrezzatura della giornalista, che è stata anche colpita alla nuca con il calcio di una pistola. «Non dovete più tornate più qui, smettete di scrivere di noi», hanno urlato gli autori dell’aggressione. E poi: «L’ultima volta che ti hanno picchiato non hai capito, puttana?». Milashina nel 2020 era già stata assalita in Cecenia, nella hall dell’albergo dove alloggiava.
La fine del pestaggio e la corsa in ospedale in taxi
A un certo punto, ai due è stato detto di contare fino a 100, mentre il commando si allontanava. Quando tutto sembrava finito, gli aggressori sono tornati, evidentemente perché avevano avuto l’ordine di ottenere tutto il necessario per accedere allo smartphone di Milashina. E così il pestaggio è ricominciato. Pugni, calci in faccia, ancora bastonate. A Nemov è stata anche puntata la pistola alla nuca. Poi finalmente la fine delle botte e l’arrivo di un tassista «sorpreso ma non troppo», che ha portato la cronista e l’avvocato in ospedale.
«Tutto questo passerà: i capelli ricresceranno, il verde verrà lavato via. Continuerò a viaggiare in Cecenia, che Kadyrov lo voglia o no. Questo non è in discussione. Di episodi del genere non se ne parlava dal 7 ottobre 2006, quando Anna Politkovskaja fu uccisa. Mi dispiace per i ceceni, perché non sono né barbari né animali: non hanno niente a che fare con tutto ciò».