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Osservatorio Birra: con l’aumento delle accise, a rischio la filiera

I dati diffusi dall’Osservatorio Birra contestualmente alla presentazione del 7/mo rapporto realizzato da Althesys non lasciano dubbi: «Un aumento di pochi centesimi di euro dell’accisa sulla birra finirebbe per far male a tutti. Anche al consumatore». In particolare viene sottolineato come l’incremento colpisce i produttori, già alle prese con costi sempre più insostenibili, riduce i margini degli esercenti e ricade anche sul consumatore, perché viene gravata d’Iva.

Quanto incidono le accise

Nel rapporto si evidenzia come «in una birra al bar circa 80 centesimi sono imputabili all’accisa mentre su una bottiglia da 0,66 in offerta al supermercato questa tassa incide per circa il 40 per cento sul prezzo di vendita». L’Osservatorio Birra inoltre ricorda che si tratta dell’unica bevanda da pasto gravata da accise, e in passato – fa presente – «lo Stato, quando ha abbassato l’accisa sulla birra, ha incassato di più: +27 per cento di entrate erariali nel 2017-2019 rispetto al triennio precedente, che aveva visto gli aumenti di questa tassa».

Ridurre la pressione fiscale

Con una minor pressione fiscale, evidenziano gli analisti, i produttori sono stati in grado di «fare investimenti, lanciare nuovi prodotti, generando crescita e quindi gettito». Una riduzione delle accise, segnala l’Osservatorio, «potrebbe alleggerire la pressione inflattiva per i consumatori e aumentare il gettito Iva grazie all’aumento delle vendite. L’alleggerimento della pressione fiscale» si apprende in conclusione «potrà fornire al mercato lo stimolo per riprendere la sua parabola di crescita».

Cos’è la minimum tax e cosa prevede il progetto Ocse

Mercoledì 11 ottobre l’Ocse ha pubblicato una bozza di accordo che punta a ripartire in modo più equo tra gli Stati gli introiti fiscali provenienti dalle grandi multinazionali, in particolare, dai colossi del web. La cosiddetta “convenzione multilaterale” non è ancora aperta alla firma degli Stati. Alcuni Paesi come l’India, il Brasile e la Colombia nutrono ancora delle riserve su alcuni punti. «C’è un ampio consenso sull’architettura generale» del testo, dichiara alla stampa Manal Corwin, direttrice Ocse per la politica fiscale e l’amministrazione. L’obiettivo è che l’accordo venga firmato entro fine 2023, e include: l’attribuzione di una parte dei profitti delle multinazionali alle giurisdizioni in cui si trovano i consumatori, una minimum tax del 15 per cento sulle imprese multinazionali, il rafforzamento della trasparenza fiscale.

La minimum tax mira a contrastare lo spostamento dei profitti delle multinazionali nei paradisi fiscali

Dal 2017, l’Ocse coordina su richiesta del G20 i negoziati internazionali per limitare le pratiche di evasione fiscale delle multinazionali e introdurre un sistema di ripartizione più equo degli introiti fiscali tra Stati membri. La minimum tax che si vuole introdurre è un’imposta minima che si applica alle grandi multinazionali, indipendentemente dal luogo in cui queste hanno la propria sede legale o dove generano i propri profitti. L’obiettivo è quello di garantire che queste imprese paghino un’aliquota d’imposta minima, indipendentemente dal Paese in cui operano. La bozza di accordo pubblicata dall’Ocse prevede che l’aliquota minima sia del 15 per cento. Questa aliquota si applicherà alle grandi multinazionali che hanno un fatturato annuo di almeno 750 milioni di euro. La minimum tax è una misura importante per contrastare l’evasione fiscale e la concorrenza fiscale tra i Paesi. In particolare, questa misura dovrebbe aiutare a ridurre la pratica delle multinazionali di spostare i propri profitti in Paesi con aliquote d’imposta più basse. Inoltre, aiuterebbe ad aumentare le entrate fiscali per gli Stati, che potranno utilizzare queste risorse per finanziare servizi pubblici e infrastrutture. In Italia, la bozza di accordo dell’Ocse è stata approvata dal parlamento con la legge di bilancio 2023, e l’aliquota del 15 per cento si applicherà a partire dal 2024. Secondo una stima realizzata dal Centro Studi Confindustria, l’Italia potrebbe recuperare circa 3,5 miliardi di euro all’anno grazie alla minimum tax. Questa cifra si basa sull’ipotesi che l’aliquota minima si applichi a 3.000 imprese multinazionali che operano in Italia.

L’Fmi taglia le stime sulla crescita del Pil in Italia

Il Fondo monetario internazionale ha tagliato le stime del Pil dell’Italia per il 2023 e il 2024 nell’ambito della generale frenata dell’economia globale e in particolare di quella europea. La previsione è stata presentata martedì 1o ottobre al World Economic Outlook a Marrakech.

Nella media del periodo giugno-agosto +0,4 della produzione rispetto al trimestre precedente

Per il 2023 l’Fmi ha delineato una crescita dello 0,7 per cento, con un taglio dello 0,4 per cento rispetto alle previsioni di luglio, quando le stime erano state invece corrette al rialzo. Anche per il 2024 per il nostro Paese è prevista una crescita dello 0,7 percento, con una limatura di 0,2 rispetto alle precedenti stime. Ad agosto 2023 l’indice destagionalizzato della produzione industriale è aumentato dello 0,2 per cento rispetto a luglio, mentre nella media del periodo giugno-agosto il livello della produzione è cresciuta dello 0,4 per cento rispetto ai tre mesi precedenti.

L’economia globale è in frenata, tra le cause la guerra in Ucraina e la crisi climatica

La crescita dell’economia mondiale sta frenando nel 2023 e si ridurrà ulteriormente il prossimo anno, con un rallentamento che investe maggiormente i paesi sviluppati e meno gli emergenti. L’Fmi ha previsto che il Pil globale segnerà un +3 per cento dal 3,5 del 2022 per limarsi a +2,9 per cento nel 2024 (la precedente stima era di +3 per cento). Tra le cause del rallentamento il rapporto ha indicato la guerra in Ucraina, la crescente frammentazione dell’economia e alcune più cicliche come la stretta monetaria anti inflazione, il ritiro degli aiuti pubblici e gli eventi climatici estremi.

Finanze vaticane: l’Apsa ha un nuovo presidente

Don Giordano Piccinotti è il nuovo presidente dell’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica. Il salesiano prende il posto del vescovo Nunzio Galantino, che ha terminato lo scorso giugno il quinquennio come presidente. Piccinotti è il primo presidente Apsa, considerata la banca centrale del Vaticano, che non sia stato vescovo o cardinale.

Chi è don Giordano Piccinotti

Classe 75, il nuovo presidente Apsa è nato a Manerbio, in provincia di Brescia. Nel 2004 ha emesso la professione perpetua nella società salesiana di San Giovanni Bosco e il 17 giugno 2006 ha ricevuto l’ordinazione presbiterale. Nel suo percorso di studi, ha conseguito la licenza in Teologia spirituale presso l’università pontificia salesiana a Roma. È stato inoltre economo delle case salesiane di Lugano, dal 2007 al 2011 e dal 2016 al 2017; e ha ricoperto il ruolo di economo anche a livello ispettoriale, nel sessennio 2011-2017.

È inoltre direttore della fondazione Opera don Bosco nel Mondo a Lugano, Svizzera; procuratore della fondazione Istituto Elvetico Opera don Bosco, sempre a Lugano; direttore esecutivo della fondazione Opera Don Bosco onlus a Milano; membro del Consiglio della Stiftung Don Bosco in Der Welt a Schaan, Liechtenstein; tesoriere del consiglio di amministrazione della ONG Volontariato Internazionale per lo sviluppo (VIS).

 

Arera: a settembre aumento del 4,8 per cento della bolletta del gas

Rispetto al mese di agosto, la bolletta del gas a settembre ha subito un aumento del 4,8 per cento sul mercato tutelato. A renderlo noto con un comunicato è l’Arera, l’autorità pubblica che fissa le tariffe di luce e gas sul mercato di maggior tutela, che riguarda 10 milioni di utenti, un terzo del totale.

A cosa è dovuto il rincaro

Le ragioni del rincaro sono legate all’aumento rispetto ad agosto del prezzo medio del metano. Sul mercato italiano all’ingrosso, il Psv, la quotazione media di settembre è stata di 37,05 euro al megawattora. Sono rimasti invariati gli oneri generali e la tariffa legata alla spesa per il trasporto e la misura.

La spesa gas per le famiglie

L’aumento, nella spesa gas per la famiglia tipo nell’anno scorrevole (ottobre 2022 – settembre 2023), è pari dunque a 1.459 euro circa, al lordo delle imposte, e risulta in calo del 13,9 per cento rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente (ottobre 2021 – settembre 2022). Confermati per settembre e per tutto il 2023, l’azzeramento degli oneri generali e la riduzione Iva al 5 per cento, come anche per la gestione calore e teleriscaldamento. Lo scorso 28 settembre, l’Arera aveva comunicato l’aggiornamento della tariffa dell’elettricità sul mercato tutelato, che è salita del 18,6 per cento nel quarto trimestre del 2023 rispetto al trimestre precedente.

Codacons: aumenti di 181 euro a famiglia

«L’aumento delle tariffe del gas del 4,8 per cento disposto da Arera porta la bolletta media di una famiglia del mercato tutelato a quota 1.327 euro annui che, sommati ai 764 euro della luce dopo i rincari scattati nell’ultimo trimestre, fanno salire la spesa per luce e gas a un totale di 2.091 euro annui a nucleo, +181 euro all’anno rispetto le precedenti tariffe». Ad affermarlo è il Codacons che, attraverso le parole del presidente Carlo Rienzi, spiega: «Al di là dell’entità degli aumenti di settembre, ciò che più preoccupa è il rischio di una nuova escalation dei prezzi dell’energia nei mesi invernali, quando cioè si concentra l’80 per cento dei consumi di gas delle famiglie».

Porto di Gioia Tauro: manifesto unitario contro la chiusura

La Piana di Gioia Tauro e l’intera Calabria si mobilitano contro il rischio di una possibile chiusura del grande porto transhipment, a causa delle restrizioni in materia ambientale disposte con una recente direttiva dell’Unione europea. Per il prossimo 16 ottobre è stato organizzato un flash mob al quale prenderanno parte lavoratori portuali, imprese che svolgono la loro attività nello scalo, istituzioni, sindaci, sindacati e associazioni di categoria.

Il manifesto: «Chiuderà Gioia Tauro?»

È stato intanto elaborato un manifesto per la difesa del porto di Gioia Tauro dove si legge: «Chiuderà Gioia Tauro? Riusciranno le istituzioni e la politica italiana a far cambiare tempistica all’Unione europea che con una direttiva, nell’ambito del pacchetto Fit For 55, ha imposto la riduzione delle emissioni in atmosfera anche in ambito marittimo, disponendo che gli armatori compensino annualmente le emissioni inquinanti prodotte. L’interrogativo attanaglia coloro che ritengono che Gioia Tauro possa, nel volgere di qualche mese, essere a rischio chiusura. O, quanto meno, a rischio di una drastica riduzione di occupazione e investimenti, causa il nuovo sistema di tassazione che potrebbe verosimilmente indurre le linee di navigazione a spostare i traffici in scali extra-europei. Il pericolo è veramente imminente. E la mancanza di concreta sensibilità su questo tema ci preoccupa».

Rischio «navi verso scali competitors»

«Il porto di Gioia Tauro» – si legge ancora nel manifesto – «il più grande d’Italia per transhipment e che quest’anno si appresta a segnare il record della movimentazione dei container nella sua storia breve ma intensa, potrebbe ritornare a essere un deserto, con le gru smontate e le navi dirette verso scali competitors che si trovano nei Paesi del Nord Africa, dove la direttiva UE non verrebbe applicata o si applicherebbe solo in parte. Difendere l’ambiente dai cambiamenti climatici in corso» – si afferma ancora nel documento – «è un dovere delle Nazioni e degli uomini, ma occorre farlo tutti insieme riavviando il nastro delle azioni da intraprendere con la massima responsabilità. Perché non si può accettare che vengano adottati drastici provvedimenti in Europa per inquinare meno e non si faccia altrettanto negli scali direttamente concorrenti a quelli europei”.

Marelli, stabilimento di Crevalcore: sospesa la procedura di chiusura

Secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica, Marelli ha fornito la disponibilità a sospendere a tempo indeterminato la procedura di chiusura della fabbrica di Crevalcore. Il segretario nazionale Uilm Gianluca Ficco, responsabile del settore automotive, e Stefano Lombardi, segretario generale della Uilm di Bologna, hanno così dichiarato: «Un primo, seppur piccolo, risultato conseguito grazie alle mobilitazioni dei lavoratori di tutti gli stabilimenti italiani e grazie alla solidarietà dimostrata dalle istituzioni pubbliche».

Per l’azienda «difficoltà oggettive»

Dopo l’incontro tenutosi martedì 3 ottobre al ministero delle Imprese e del made in Italy con i sindacati, l’azienda «ha condiviso la proposta del ministro Urso al fine di lavorare a un tavolo congiunto con il governo, la regione Emilia-Romagna e le parti sociali, per l’identificazione di una soluzione che preservi la continuità industriale del sito di Crevalcore». Inoltre, avrebbe parlato di «difficoltà oggettive legate alla transizione, alla mancanza di commesse e alla scelta di Stellantis di lavorare su piattaforme ex Peugeot e non ex Fiat». La proposta di sospendere la procedura di chisura dello stabilimento di Crevalcore servirebbe dunque ad avere il tempo di «cercare un investitore per una reindustrializzazione del sito».

Per la Fiom «impegno insufficiente»

«La sospensione a tempo indeterminato della procedura di chiusura dello stabilimento è un primo importante risultato, frutto anche della mobilitazione dei lavoratori di tutto il gruppo, ma non è sufficiente. La vertenza è tutt’altro che risolta» ha spiegato la Fiom con una nota congiunta a firma di Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile settore mobilità e Simone Selmi, segretario generale Fiom-Cgil di Bologna. La mobilitazione prosegue. Decideremo insieme ai lavoratori le iniziative da mettere in campo fino a quando sarà scongiurata la chiusura del sito e non verrà garantita l’occupazione».

Pagamenti digitali, Crif: in 10 anni pos raddoppiati e 33 milioni di carte in più

«Dal 2012 al 2022 le carte sono cresciute da 74 a 107 milioni, i pos sono raddoppiati e i prelievi fisici in filiale sono scesi dal 20 per cento al 9 per cento delle transazioni». È quanto afferma Marco Colombo, managing director finance Italy di Crif, commentando lo sviluppo del mercato dei pagamenti digitali in Italia. Secondo Colombo le società fintech, che forniscono servizi finanziari attraverso la tecnologia, «hanno contribuito a questa payment revolution. Altro ambito importante è stato il profondo rafforzamento dell’industria finanziaria, che si è trasformata e consolidata: è calato il numero di player bancari, finanziari e assicurativi, sono scesi i crediti deteriorati dal 13 per cento al 3 per cento degli impieghi bancari e sono aumentati sia il Cet 1 che il Solvency Ratio del Settore Danni. Questa evoluzione ha permesso ai player finanziari di assumere posizioni resilienti di fronte a shock esogeni come la pandemia e la guerra».

Gli obiettivi del Crif Tomorrow Speaks

Sui cambiamenti del settore finanziario nell’attuale scenario di innovazione digitale e delle tendenze future si concentrerà l’evento annuale di Crif Tomorrow Speaks il 12 a Milano e in streaming e ancora il 13 in streaming. Giunto alla tredicesima edizione, l’appuntamento prevede un programma di due giorni, nei quali più 50 top manager di banche, compagnie di assicurazioni, associazioni di categoria, istituzioni ed esponenti del mondo accademico si confronteranno sul passato e sul futuro dell’innovazione nel settore in Italia, dialogando su temi di strategia, business, tecnologia, ESG e sostenibilità, cambiamento e innovazione digitale. Il 12 ottobre si approfondiranno, con tavole rotonde e interviste, le tendenze dell’innovazione finanziaria in Italia sia nel comparto delle imprese corporate che nel credito alle famiglie: dove si concentreranno gli investimenti, quali saranno i maggiori cambiamenti e quali saranno le priorità strategiche del mercato e le nuove frontiere dei servizi finanziari. Il giorno successivo l’evento proseguirà in modalità totalmente digitale, con la presentazione di alcuni casi di applicazione concreta dell’innovazione al settore finanziario.

Enel cede il 50 per cento di Enel green power Australia a Inpex

È stato perfezionato l’accordo di joint venture tra Enel e Inpex corporation con la cessione del 50 per cento di Enel green power Australia (Egpa) per un corrispettivo totale di circa 142 milioni di euro, pari a un enterprise value di 426 milioni di euro.

La cessione di Enel green power Australia

A rendere pubblica la joint venture è stata Enel green power attraverso un comunicato in cui viene specificato che l’operazione ha generato complessivamente un impatto positivo pari a circa 95 milioni di euro sull’Ebitda del Gruppo Enel. L’iniziativa ha anche generato un effetto positivo sull’indebitamento netto consolidato del Gruppo di circa 142 milioni di euro nel 2023, che non include circa 203 milioni di euro di indebitamento netto deconsolidati nel 2022, in quanto Egpa era già stata classificata come held for sale.

La strategia Enel

Il nuovo accordo raggiunto da Enel è in linea con il Piano Strategico che prevede «la realizzazione di partnership in alcuni business e aree geografiche per incrementare la creazione di valore» e porta alla gestione congiunta di Egpa da parte di Egp e Inpex. Le due realtà, entrando più nello specifico «supervisionando l’attuale portafoglio di generazione da fonti rinnovabili di quest’ultima (Egpa, ndr) e continuando a sviluppare la sua pipeline di progetti, allo scopo di ottenere un incremento della capacità installata di Egpa. In questo modo, Egpa continuerà a guidare la transizione energetica in corso in Australia, accelerando il suo contributo al raggiungimento dell’obiettivo Net Zero del Paese».

Cassa depositi e prestiti approva nuove operazioni per 1 miliardo di euro

Il consiglio di amministrazione di Cassa depositi e prestiti ha approvato nuove operazioni in favore di imprese, territori, infrastrutture e cooperazione internazionale per un valore complessivo di 1 miliardo di euro. Nella stessa sede, inoltre, è stato dato il via libera alla Politica Generale sul Responsible Procurement, che stabilisce i principi cardine e le modalità operative per promuovere la sostenibilità ambientale, sociale e di buona governance presso le l’intera catena dei fornitori di Cdp.

Operazioni in sostegno delle imprese

Le attività decise da Cdp in sostegno di imprese, territori e infrastrutture fanno nello specifico riferimento a fondi di investimento alternativo e finanziamenti, anche in pool con altre istituzioni finanziarie, che mirano ad agevolare le imprese italiane nell’accesso al credito, nell’internazionalizzazione e nei piani di crescita delle imprese. I destinatari della misura possono essere le realtà economiche di ogni dimensione che rappresentano un’eccellenza del Made in Italy e che mirano allo sviluppo di nuovi programmi di investimento che abbiano impatti positivi sulle filiere strategiche del Paese.

La Politica Generale sul Responsible Procurement

Nello stesso consiglio di amministrazione, e in linea con gli obiettivi ESG del Piano Strategico 2022-2024, Cassa depositi e prestiti ha approvato anche la Politica Generale sul Responsible Procurement. Si tratta di un insieme di standard etici, economici, sociali e ambientali che diventano le linee guida dell’istituzione nella scelta dei propri fornitori. Si segue, dunque, l’ottica della premialità, che include anche la verifica del fatto che i fornitori stessi applichino i principi di sostenibilità in tutta la loro catena di approvvigionamento.

Faib, in Italia un pieno di benzina costa 11 euro più che in Europa

Nel mese di agosto 2023, i prezzi dei carburanti in Italia sono aumentati del +9,5 per cento (benzina) e +2,7 per cento (gasolio), rispetto allo stesso mese del 2022. Il Gpl è sceso del -11,5 per cento. Sono i dati forniti a Roma dalla Faib Confesercenti, associazione di categoria dei benzinai, in occasione della sua assemblea per il 60/o di fondazione, in corso mercoledì 27 settembre. Nei primi sette mesi del 2023 sono cresciuti i consumi dei carburanti sulla rete ordinaria, sia per la benzina (+431 milioni di litri rispetto allo stesso periodo del 2022), sia per gasolio e Gpl (rispettivamente +140 milioni e +21 milioni). Da gennaio a luglio si è registrata una diminuzione sull’extra rete, (-8 milioni di litri per la benzina, -374 milioni per il gasolio).

Le differenze con la media europea

Tradotto dunque, per un pieno di 50 litri di benzina gli italiani hanno pagato 11 euro in più della media europea, aggravio quasi totalmente dovuto alla componente fiscale. Ipotizzando una media di 4 pieni nel mese, i consumatori italiani hanno speso 388,2 euro, oltre 45 euro in più della media europea, di cui più di 44 euro di imposte. Da gennaio a luglio del 2023, secondo i dati Faib, il costo dei carburanti in Italia è stato superiore rispetto alla media europea di 22,4 centesimi di euro al litro per la benzina e di 18,3 centesimi al litro per il gasolio, il più alto dal 2018.

Quanto pesa il carico fiscale

Nel prezzo al consumo della benzina e del gasolio, sempre nei primi sette mesi dell’anno, nel nostro Paese la quotazione internazionale pesa per il 32 per cento per la benzina e per il 35 per cento per il gasolio (nel 2021 il peso era del 26,6 per cento e del 28 per cento). Il ricavo industriale (margine lordo della compagnia) e il ricavo lordo del gestore (pari a 3,5 centesimi di euro, l’1,9 per cento del prezzo della benzina e il 2 per cento di quello del gasolio) insieme costituiscono tra il 10 e l’11 per cento del prezzo finale. Il carico fiscale (Iva e accisa) pesa per il 57 per cento del prezzo della benzina e il 53 per cento del prezzo del gasolio (erano il 48 per cento e il 42 per cento nel 2022).

Cina, il presidente di Evergrande posto sotto sorveglianza domiciliare dalla polizia

Il miliardario Hui Ka Yan, presidente del gruppo immobiliare cinese Evergrande, è stato posto sotto il controllo della polizia agli inizi di settembre e, adesso, «è monitorato in un luogo designato» in uno stato di «sorveglianza domiciliare», che non comporta l’arresto o l’imputazione specifica di reati. Lo scrive Bloomberg, citando in forma anonima persone a conoscenza della situazione. Diventato nel 2021 il simbolo della crisi dell’industria del mattone in Cina, Evergrande è lo sviluppatore immobiliare più indebitato al mondo, a causa di oneri per oltre 300 miliardi di dollari tra onshore e offshore: con oltre il 60 per cento delle quote, Hui oltre che fondatore e presidente ne è il maggior azionista. La situazione solleva nuove domande sul destino di Evergrande, dopo che recenti ostacoli al piano di ristrutturazione hanno scosso i mercati finanziari, aumentando il rischio di liquidazione.

Cina, il presidente di Evergrande in "sorveglianza domiciliare": Hui Ka Yan viene «monitorato in un luogo designato» dai primi di settembre.
China Evergrande Centre, Hong Kong (Getty Images)

Il crollo in Borsa dopo le difficoltà della controllata domestica Hengda

Evergrande ha scosso i mercati quando ha dichiarato di non poter emettere nuove obbligazioni come parte dei suoi piani di ristrutturazione del debito offshore, a causa di un’indagine normativa sulla sua principale controllata domestica, Hengda Real Estate. Poi il titolo è crollato alla Borsa di Hong Kong (-25,45 per cento) dopo che Hengda non ha potuto onorare una tranche di bond sul mercato interno per un valore di 4 miliardi di yuan (547 milioni di dollari), sempre a causa dell’inchiesta governativa sulle attività della controllata di Evergrande, indagata dall’autorità cinese di regolamentazione dei titoli per sospetta violazione della divulgazione di informazioni. Oltre a Hong Kong avevano chiuso in negativo anche le altre due piazze cinesi, Shanghai e Shenzhen. Poi, il giorno successivo, il default di Hengda ha fatto perdere a Evergrande un altro 7 per cento in Borsa.

Cina, il presidente di Evergrande in "sorveglianza domiciliare": Hui Ka Yan viene «monitorato in un luogo designato» dai primi di settembre.
Borsa di Hong Kong (Getty Images).

Due ex dirigenti di Evergrande sono stati invece formalmente arrestati 

Alla fine di luglio, i debiti non pagati di Hengda Real Estate ammontavano a circa 277,5 miliardi di yuan (38 miliardi di dollari), con 1.931 le cause legali pendenti. Il default di Hengda si riflette su Evergrande, colosso che a lungo ha trainato l’economia del Dragone: il mattone, ora in crisi, era arrivato a rappresentare oltre il 20 cento del Pil. La notizia di Hui segue quella degli arresti dell’ex amministratore delegato di Evergrande, Xia Haijun, e dell’ex direttore finanziario Pan Darong, comunicata dall’agenzia di Stato Caixin senza aggiungere dettagli.

Gas ai massimi da fine agosto, previsti ulteriori aumenti

A seguito della decisione della Russia azzerare le esportazioni di gasolio e di benzina, il gas naturale al Ttf di Amsterdam si è portato sui massimi dal 28 agosto, quando i future su settembre chiusero a 41,5 euro, poco sotto i 41,7 euro registrati cinque giorni prima. I contratti future sul mese di ottobre hanno chiuso la seduta del 22 settembre a 39,79 euro al megawattora.

Attesi altri aumenti nonostante il livello elevato di scorte in Europa

In una settimana i future di Amsterdam hanno guadagnato l’1,8 per cento, ma il prezzo il 22 settembre è salito fino al 7,3 per cento a 41,9 euro, considerando il massimo di giornata. La corsa non è finita però: sono infatti previsti ulteriori aumenti nel corso dell’autunno, nonostante il livello elevato di scorte in Europa, che ha raggiunto il 94,48 per cento a 1.075,88 TWh. Prima è la Germania con 240,22 TWh, pari al 94,61 per cento della capacità di riempimento, seguita dall’Italia, con 185,94 TWh, pari al 95,21 per cento dello stock disponibile. Seguono i Paesi Bassi con il 95,86 per cento a 136,5 TWh e la Francia, con l’89,48 per cento di riempimento a 122 TWh.

La mossa della Russia sui carburanti ha ripercussioni su altre materie prime

Nonostante ciò, la mossa di Mosca di fermare temporaneamente le esportazioni dei carburanti, spiegano gli analisti, ha ripercussioni anche su altre materie prime, come appunto il gas. Attualmente Il 60 per cento di quello consumato in Europa giunge via gasdotto e il 40 per cento è Gnl trasportato su nave, su cui incide il maggior costo dei carburanti. Proprio sul fronte del gas liquido sembrano ormai alle spalle i problemi degli scioperi in Australia, da dove proviene circa il 10 per cento del Gnl mondiale, mentre proseguono le manutenzioni di una piattaforma in Norvegia, principale fornitore del Nord Europa, che incidono sulle estrazioni.

Sardegna, i pastori scarseggiano: in arrivo un centinaio dal Kirghizistan

A rischio gli allevamenti della Sardegna e con essi la tradizione agroalimentare. La causa? Una carenza di pastori, professione chiave per garantire la stabilità del tessuto produttivo. Ecco perché, rende noto la Coldiretti, al fine di «salvare gli allevamenti, ma anche per ripopolare città e campagne a rischio desertificazione, sono in arrivo nell’Isola giovani pastori kirghisi competenti nei lavori agricoli insieme alle loro famiglie». Si tratta del risultato dell’accordo raggiunto dalla Coldiretti in Kirghizistan, la repubblica ex sovietica più a est che si trova a seimila chilometri dall’Isola.

L’accordo e il progetto pilota

L’accordo alla firma del Ministero del lavoro del Kirghizistan, riporta la nota della Coldiretti, prevede di avviare un progetto pilota, professionale e sociale, con l’arrivo di «un primo gruppo di un centinaio di kirghisi in Sardegna (di età tra i 18 e i 45 anni) con capacità professionali specifiche nel settore primario che seguiranno un percorso di formazione e integrazione nel tessuto economico e sociale della Regione con opportunità anche per le mogli nell’attività dell’assistenza familiare».

I distretti rurali interessati

L’iniziativa, prosegue la federazione, serve anche a «contrastare l’abbandono delle campagne e dei piccoli centri dove a pesare è anche il calo delle nascite e l’invecchiamento della popolazione». Un progetto di medio – lungo periodo  dunque, che porterà all’inserimento di migliaia stranieri, a seconda della domanda, con interventi in tre distretti rurali: Sassari, Barbagie e Sarrabus, con l’aiuto di mediatori culturali. Lo sviluppo del progetto di integrazione sociale dei lavoratori del Kirghizistan in Sardegna è stato possibile grazie alla collaborazione con l’ambasciatore del Kirghizistan in Italia, Taalay Bazarbaev. «L’immigrazione legale è un valore per un Paese come l’Italia dove» – ha sottolineato la Coldiretti – un prodotto agricolo su quattro viene raccolto da mani straniere con 358mila lavoratori regolari provenienti da ben 164 Paesi diversi che sono impegnati regolarmente nei campi e nelle stalle».

La reazione dei pastori sardi

«Perdonateci se non siamo mossi da entusiasmo» scrive il Movimento dei pastori sardi su Facebook «perdonateci se a tratti ci mancano le parole, anche solo per commentare, perdonateci se non urliamo al miracolo. Ci viene davvero difficile considerare la cosa come la panacea di tutti i mali legati all’allevamento ovino in Sardegna, ci pare, piuttosto, un accordo grottesco tra la Sardegna ed un posto del mondo dove il costo del lavoro oscilla tra i 100 e i 200 dollari al mese. Ci sembra anche un po’ rètro come idea: stiamo portando manodopera a basso costo? Commercializziamo il lavoro di uomini? Ci ispiriamo a patti antichi tra Stati padroni? E in che modo tutto questo salverà le nostre campagne? Dando il lavoro a poveri Cristi che si accontentano di trasferirsi qui, lontano dalla propria casa, inseriti in nuovi contesti “perché loro sono bravi in campagna”?». E ancora: «Magari, un giorno qualcuno ci dimostrerà che abbiamo torto, che questa è davvero la soluzione, ma per ora e per i prossimi tempi, rimaniamo scettici e – a dirla tutta – un po’ sconcertati».

 

Pil, Istat conferma le stime di crescita: 3,7 per cento nel 2022

L’Istat ha confermato il tasso di crescita del Pil nel 2022, pari al 3,7 per cento, mentre ha rivisto al rialzo di 1,3 punti percentuali la crescita del 2021, in salita all’8,3 per cento. Lo comunica l’Istituto nazionale di statistica nel corso della conferenza stampa che si tiene in occasione della presentazione dei conti economici nazionali 2020-2022.

Pil a prezzi di mercato, revisione al rialzo di 37,3 miliardi di euro 

Nel 2022 il pil a prezzi di mercato risulta pari a 1.946,5 miliardi di euro, con una revisione al rialzo di 37,3 miliardi di euro rispetto alla stime di aprile. Il tasso di variazione del pil in volume è pari al 3,7 per cento, «invariato rispetto alla stima di aprile». Di conseguenza anche l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche resta invariato, rispetto alla stima pubblicata in aprile, all’8 per cento, scrive l’Istat nei conti economici nazionali 2020-2022. «Nel 2021 il pil in volume è aumentato dell’8,3 per cento in rialzo di 1,3 per cento rispetto alla stima di aprile», sottolinea l’Istat. Nel 2021, per effetto di tale revisione al rialzo del prodotto interno lordo, l’indebitamento passa da 9 per cento all’8,8 per cento del pil, in miglioramento per effetto dell’incremento del livello del denominatore. «Il rapporto debito/pil, per lo stesso principio, registra un miglioramento di 2,8 punti, da 149,8 per cento a 147 per cento».

Rupert Murdoch lascia la presidenza di Fox e News Corp

Rupert Murdoch ha lasciato il ruolo di presidente di Fox e News Corp. Ad assumere l’incarico sarà il figlio Lachlan Murdoch. La notizia è stata diffusa dai media americani. Il 92enne lascerà la presidenza di Fox e News Corp in novembre e sarà nominato presidente emerito delle due società.

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«Per la mia intera vita professionale sono stato impegnato ogni giorno con le news e le idee e questo non cambierà. Ma questo è il momento giusto per me per assumere ruoli diversi», ha detto Murdoch in una nota allo staff di Fox e News Corp riportata dal Wall Street Journal.

Murdoch ha poi rassicurato sul futuro del suo impero: «Le nostre aziende sono in salute. Le nostre opportunità superano le nostre sfide commerciali. Abbiamo tutti i motivi per essere ottimisti per i prossimi anni».

Il blasone spento di Confindustria tra candidati per il rilancio e lauree inesistenti

La corsa alla presidenza di Confindustria è iniziata di fatto con l’assemblea nazionale del 15 settembre, dove non a caso i candidati Giovanni Brugnoli, Alberto Marenghi ed Emanuele Orsini (qui in rigoroso ordine alfabetico) sono stati gli ultimi ad andare via, dopo aver parlato con quanti più colleghi possibile. Anzi, a ben vedere ci sono stati anche altri due imprenditori che si sono attardati nel “paddock” dell’Auditorium del Parco della Musica a Roma, cioè nello spazio tra il palco e la prima fila: Aurelio Regina alla ricerca di consenso, consapevole di aver il nemico in casa Maurizio Stirpe, da parte sua insolitamente allegro e meno riservato del solito. L’attuale vicepresidente con delega alle relazioni sindacali infatti, titolare di Prima Industrie e del Frosinone Calcio, potrebbe scendere in campo più avanti e intestarsi i voti di Brugnoli e Marenghi, ritenuti troppo deboli per arrivare in fondo.

Il blasone spento di Confindustria tra candidati per il rilancio e lauree inesistenti
Alberto Marenghi (Imagoeconomica).

Marcegaglia teme di bruciarsi e di vedersi contrapposto D’Amato

Emma Marcegaglia, sinora accreditata come prima supporter di Marenghi, con lei all’epoca della sua presidenza dei Giovani industriali e mantovano pure lui (anche se ora ha spostato la residenza a Verona a casa della moglie, la meloniana Maddalena Morgante, perché così figura come veneto, visto che non passerebbe un altro lombardo dopo Bonomi), starebbe invece pensando a Marco Bonometti (peraltro lombardo anche lui), dopo aver fatto fuoco di sbarramento sulla candidatura di Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e suo forte concorrente nella siderurgia. In realtà, all’unica presidente donna della storia di Confindustria piacerebbe tanto tornare in sella direttamente anche per poter lasciare più spesso fabbrica e villa a Gazoldo degli Ippoliti, ma teme di bruciarsi e (soprattutto) di vedersi contrapposto Antonio D’Amato, il quale è il past president che raccoglie sempre i consensi più diffusi nei suoi interventi in Consiglio generale.

Il blasone spento di Confindustria tra candidati per il rilancio e lauree inesistenti
Marco Bonometti (Imagoeconomica).

Improvvisamente si sono accorti tutti della debolezza di Bonomi

La fotografia attuale della corsa tra Brugnoli, Marenghi e Orsini vede quest’ultimo in testa poiché si dice che con sé abbia la sua regione, l’Emilia-Romagna (che qualche settimana fa ha rivendicato ufficialmente la presidenza nazionale per un proprio esponente con una dichiarazione di Walter Caiumi, presidente della Confindustria regionale), ma deve fare ancora molta strada e trovare altri alleati per arrivare in fondo. Marenghi, sinora il candidato ufficiale e in continuità con Carlo Bonomi (non foss’altro perché il più pubblicizzato, anzi l’unico, sulle news interne di Confindustria per le sue foto opportunity nelle aziende) risente della scoperta improvvisa da parte degli imprenditori della debolezza dell’attuale presidente pro tempore, al quale vengono solo ora rimproverati gli insuccessi con il governo, la gestione autocratica interna, la mancanza di iniziative all’estero, a parte una costosa trasferta culturale negli Usa e un come minimo intempestivo viaggio a Kyiv per offrirsi come ricostruttore dell’Ucraina, nonché l’inesistenza della lobby confindustriale a Bruxelles.

Il blasone spento di Confindustria tra candidati per il rilancio e lauree inesistenti
Emanuele Orsini (Imagoeconomica).

Il bluff sulla laurea rischia di far finire il mandato nel ridicolo

La bugia conclamata, e denunciata dal Fatto quotidiano, sulla laurea che non ha gli ha complicato le cose perché ha rivelato comunque tutto il bluff di una presidenza che ha portato Confindustria al minimo storico di rilevanza nella politica economica del Paese, e rischia di finire nel ridicolo se lui si ostina, come scrive il quotidiano di Marco Travaglio, a chiedere una deroga personale al ministero dell’Università, deroga pressoché impossibile.

Il blasone spento di Confindustria tra candidati per il rilancio e lauree inesistenti
Carlo Bonomi, presidente uscente di Confindustria (Imagoeconomica).

Brugnoli sta saldando l’alleanza con il cosiddetto “Partito Luiss”

Brugnoli, forte per ora pressoché soltanto del sostegno della sua associazione territoriale, quella di Varese, e di amici personali sparsi qua e là, sta saldando l’alleanza con il cosiddetto “Partito Luiss”, cioè con il sempreverde Luigi Abete, che sverna da decenni pressi l’università di Confindustria. Anche Brugnoli infatti fa parte del cda dell’università in quanto vicepresidente di Confindustria per il Capitale umano. Qui è proprio la mancanza di laurea di Bonomi ad aver rimesso in moto un assetto che stava per smobilitare: se infatti l’attuale presidente di Viale dell’Astronomia a norma di legge non può traslocare in Luiss, allora Vincenzo Boccia potrebbe restare presidente dell’ateneo e Abete continuare a occuparsi della Luiss Business School.

Il blasone spento di Confindustria tra candidati per il rilancio e lauree inesistenti
Giovanni Brugnoli (Imagoeconomica).

Brugnoli intanto fa il candidato e un po’ ci crede, visto che si sarebbe accontentato di soffiare a Boccia la poltrona di presidente Luiss al posto di Bonomi. Quindi corre per la presidenza, così da mettere insieme qualche decina di voti e trattare con il candidato che si rivelerà più forte il mantenimento nelle posizioni di potere dell’Ateneo. Il bello è che altre voci assegnano invece la Luiss a Marenghi, come risarcimento per l’ormai impossibile corsa alla poltrona di Viale dell’Astronomia.

E Carraro? Nessuno lo vuole davvero candidare a Roma

Fin qui gli schieramenti di partenza, con il solito Veneto dove si agita Enrico Carraro: nessuno delle sue territoriali in verità lo vuole candidare a Roma, ma non sanno come dirglielo, anche perché tarperebbe le ali a desideri di alcuni suoi colleghi che puntano a correre nel 2028. Carraro vanta un fatturato di 122 milioni, dicono sempre dalle sue parti, e ha appena negoziato un bond di 120 milioni per rimettersi in carreggiata, sistemare i debiti verso banche di 57 milioni e 118 milioni verso una finanziaria che è parte correlata.

Il blasone spento di Confindustria tra candidati per il rilancio e lauree inesistenti
Enrico Carraro (Imagoeconomica).

Bonomi parla di tutto tranne che degli interessi delle imprese

Il bello è che la lotta per il vertice di Confindustria è senza esclusione di colpi nonostante ci si batta per un blasone che è tutto da rilanciare. All’assemblea del 15 settembre a Roma invece si è verificato il fenomeno opposto: c’erano il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la premier Giorgia Meloni e gran parte dei ministri, ma paradossalmente erano presenti proprio grazie all’irrilevanza attuale dell’associazione. Infatti premier e ministri erano molto sollevati dal fatto che Bonomi all’inizio della sua relazione avesse subito precisato che lui non si sarebbe occupato di questioni contingenti come la manovra di bilancio, il cuneo fiscale o l’inflazione ma solo di Costituzione e democrazia. Insomma di tutto, meno che della rappresentanza e degli interessi delle imprese, e dunque l’assemblea è stata molto partecipata dalle istituzioni proprio perché si sapeva che Bonomi avrebbe volato alto per non disturbare nessuno, tantomeno il governo.

Il blasone spento di Confindustria tra candidati per il rilancio e lauree inesistenti
Carlo Bonomi con Lorenzo Fontana, Giorgia Meloni e Sergio Mattarella (Imagoeconomica).

D’altra parte, è oggi il commento acido di colleghi imprenditori che pure l’avevano votato quattro anni fa sperando nel pragmatismo lombardo, uno che è costretto a chiedere al governo una deroga per la laurea che non ha non è ovviamente in grado di battersi per le ragioni delle imprese e della crescita del Paese.

La Fed lascia i tassi fermi ai massimi da 22 anni

La Fed ha lasciato i tassi di interesse invariati ai massimi da 22 anni. Wall Street ha reagito negativamente all’annuncio della banca centrale americana, rallentando. Le piazze finanziarie europee non hanno invece risentito della decisione in quanto già chiuse. Milano ha guadagnato l’1,64 per cento, affermandosi come la migliore d’Europa. La Fed «è impegnata a far scendere l’inflazione al 2 per cento. Senza la stabilità dei prezzi l’economia non funziona per nessuno e non avremo un mercato del lavoro forte», ha detto il presidente, ribadendo che ogni decisione è assunta sulla base dei dati economici.

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I tassi attesi 

Alla fine del prossimo anno i tassi sono attesi al 5,1 per cento, oltre quindi il 4,6 per cento di giugno. Nel 2025 e nel 2026 sono previsti calare rispettivamente al 3,9 per cento e al 2,6 per cento. «Abbiamo deciso di mantenere il costo del denaro fra il 5,25 per cento e il 5,5 per cento», si legge nella nota diffusa al termine della due giorni di riunione. La banca centrale parla di una crescita degli Stati Uniti «solida» e raddoppia le sue stime per il pil 2023 al 2,1 per cento dall’1 per cento previsto in giugno.

Pensioni, ipotesi Ape Donna nella prossima manovra

L’Ape sociale agevolata per le donne, con la possibilità di ricevere l’indennità di accompagnamento verso la pensione a partire dai 61/62 anni, invece dei 63 previsti attualmente, potrebbe essere tra le ipotesi di modifica del sistema previdenziale, da attuarsi con la legge di Bilancio. Secondo quanto riportato dall’Ansa, si valuta l’introduzione di un ulteriore vantaggio nella contribuzione per accedere alla misura in favore delle donne con una situazione di disagio: licenziate, con invalidità almeno al 74 per cento, care giver o impegnate in lavori gravosi, andando ad aggiungersi allo sconto già in vigore di un anno per ogni figlio, possibile fino a un massimo di due anni.

I requisiti per accedere 

Per accedere alla misura bisogna aver maturato 30 anni di contributi nel caso di persone licenziate, con invalidità pari almeno al 74 per cento e care givers che scendono a 28 per le donne con due figli. Nel caso di lavoratori impegnati in lavori gravosi (per almeno sei anni negli ultimi sette o sette anni negli ultimi 10 di lavoro) gli anni di contributi necessari sono 36 e scendono a 34 per le lavoratrici con due figli. L’indennità erogata dall’Inps per 12 mesi l’anno (non 13 come la pensione) è pari all’importo della rata mensile della pensione calcolata al momento dell’accesso alla misura.

Il limite di 1.500 euro

Il sussidio che viene erogato fino all’accesso alla pensione di vecchiaia, riporta l’Agenzia, non può comunque superare i 1.500 euro lordi al mese non rivalutabili. La misura potrebbe essere alternativa a Opzione donna o essere introdotta in aggiunta a questa. Al momento la platea sarebbe sostanzialmente la stessa (licenziate, care givers ecc) ma nel caso di Ape Donna non si sarebbe costrette ad optare per il metodo di calcolo completamente contributivo. Si andrebbe in pensione più tardi (adesso con Opzione donna avendo due figli si può uscire con 58 anni oltre a un anno di finestra mobile se dipendenti) e si avrebbe un’indennità che può raggiungere al massimo i 1.500 euro lordi. Sarebbe richiesto un numero di anni di contributi nettamente inferiore (tra 28 e 30 invece di 35) ma non si andrebbe in pensione, si avrebbe solo una misura di accompagnamento alla pensione.

 

Istat, a luglio import -4,7 per cento, export -1,8 per cento sul mese

A luglio 2023 si è stimata una flessione congiunturale per entrambi i flussi commerciali con l’estero, più intensa per le importazioni (-4,7 per cento) che per le esportazioni (-1,8 per cento). Lo rileva l’Istat spiegando che nel mese di luglio l’export diminuisce su base annua del 7,7 per cento in termini monetari (era +1,0 per cento nei due mesi precedenti) e dell’11,6 per cento in volume.

Flessione tendenziale del 19,4 per cento in valore, calo più contenuto in volume

L’import registra una flessione tendenziale del 19,4 per cento in valore – molto più ampia per l’area extra Ue (-31,8 per cento) rispetto all’area Ue (-5,7 per cento) – mentre in volume mostra un calo del -3.7 per cento, più contenuto.

Istat, a luglio import -4,7%, export -1,8% sul mese
Francesco Maria Chelli, presidente Istat (Imagoeconomica).

La stima del saldo commerciale, +6.375 milioni di euro

La stima del saldo commerciale a luglio 2023 è pari a +6.375 milioni di euro (a luglio 2022 era -460 milioni ). Il deficit energetico (-4.821 milioni) è in forte riduzione rispetto all’anno precedente (-11.412 milioni). Nei primi sette mesi dell’anno, invece, il saldo commerciale è positivo per 16,2 miliardi (era -15,4 miliardi nello stesso periodo del 2022). Nel mese di luglio 2023 i prezzi all’importazione diminuiscono dello 0,4% su base mensile e dell’11,4 per cento su base annua (da -9,9 per cento di giugno).

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