Category Archives: Economia

Decreto flussi, sabato 2 dicembre il primo click day per i lavoratori stranieri

Fra sabato 2, lunedì 4 e martedì 12 dicembre avranno luogo i primi tre click day previsti dal ministero dell’Interno, relativi agli ingressi regolari per lavoratori stranieri. Saranno complessivamente 136mila i lavoratori non comunitari che potranno entrare regolarmente in Italia grazie al decreto flussi 2023, di cui 52.770 per lavoro subordinato non stagionale, 680 ingressi per lavoro autonomo e 82.550 ingressi per lavoro subordinato stagionale.

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Inoltrate già oltre 600 mila domande

Per agevolare le operazioni, dal 30 ottobre al 26 novembre 2023, era stata data la possibilità di precompilare i moduli di domanda, tramite il “Portale servizi Ali”. Al termine della fase di precompilazione, risultano inserite 607.904 istanze, delle quali, in particolare, 253.473 relative al lavoro subordinato non stagionale, 260.953 relative al lavoro stagionale, 86.074 al settore dell’assistenza familiare e socio-sanitaria. Le domande potranno essere trasmesse, in via definitiva, esclusivamente con le consuete modalità telematiche, a decorrere dalle 9 di sabato 2 dicembre per i lavoratori non stagionale, dalle 9 del 4 dicembre per il settore dell’assistenza familiare e socio-sanitaria e dalle 9 del 12 dicembre per lavoro stagionale.

 

 

Fine del mercato tutelato su gas e luce: cosa accade ora, date e regole da sapere

Nel Decreto energia approvato martedì dal consiglio dei Ministri non è prevista la proroga del mercato tutelato di luce e gas, il regime in cui prezzi e condizioni contrattuali erano definite dall’Arera e non dalla concorrenza. Dopo la decisione del governo, che cosa succederà alle 15 milioni di utenze di famiglie e clienti di piccole dimensioni che ancora non hanno scelto di aderire al mercato libero? Vediamo tutte le possibilità, le date e le regole da sapere.

Le opzioni disponibili per famiglie e imprese

Le famiglie e le partite Iva dovranno sottoscrivere un nuovo contratto dal 10 gennaio per il gas, e dal primo aprile per l’elettricità, date in cui i prezzi del mercato tutelato decadranno. I clienti interessati dal passaggio dovrebbero già aver ricevuto dai rispettivi venditori una lettera in cui sono illustrate le possibili offerte e alcuni chiarimenti sulle scadenze. Si dovrà decidere se conservare l’attuale operatore accettando la nuova offerta proposta, oppure rivolgersi ad altri venditori. Anche nel mercato libero sono previste tutele per i consumatori, in quanto i fornitori dovranno indicare nelle bollette una serie di informazioni obbligatorie, e non potranno modificare in modo unilaterale un contratto senza un preavviso di almeno tre mesi. Chi non opta né per la prima né per la seconda scelta, da gennaio 2024 verrà trasferito automaticamente a una fornitura Placet (cioè a prezzo libero a condizioni equiparate di tutela) con lo stesso venditore.do

Le categorie esentate dal passaggio

Sono esentati dall’obbligo di questo passaggio i cosiddetti “vulnerabili“: gli over 75, chi gode di bonus perché in particolari condizioni economiche, chi ha in casa i macchinari salvavita e chi beneficia della legge 104. Il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha comunque fatto sapere che istituirà un tavolo per studiare modalità di passaggio graduale per le famiglie.

Lavoratori introvabili: le figure professionali più cercate in Italia

Nel 2023 le imprese mostrano una propensione all’assunzione più elevata rispetto all’anno precedente, ma riscontrano difficoltà nel reperire lavoratori con le competenze richieste. Il Bollettino annuale 2023 del Sistema Informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, fornisce uno sguardo approfondito sulla situazione. Il report evidenzia che le aziende hanno programmato oltre 5,5 milioni di assunzioni nel 2023, sia con contratti a tempo indeterminato sia determinato, registrando un aumento di 330 mila unità rispetto al 2022 (+6,4 per cento) e quasi 894 mila rispetto al 2019 (+19,4 per cento). Tuttavia, il problema per i datori di lavoro è il cosiddetto mismatch, ovvero il disallineamento tra domanda e offerta.

Tra gli “introvabili” spiccano ingegneri e operatori sanitari

Analizzando i settori, si osserva che la filiera del turismo guida le assunzioni con oltre un milione e 100 mila contratti previsti (+160 mila rispetto al 2022 e +291 mila rispetto al 2019), seguita dal commercio con quasi 749 mila contratti (+77 mila e +59 mila rispettivamente), dalle costruzioni (+40 mila e +177 mila, per un totale di 549 mila assunzioni) e dalle industrie manifatturiere (con 957 mila entrate, +22 mila sul 2022 e +103 mila sul 2019). Si registra, però, una quota di criticità del 60,3 per cento per gli operai specializzati. Tra le figure professionali introvabili spiccano gli ingegneri (con un 80,7 per cento di criticità su quasi 5 mila assunzioni programmate), le professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche (all’80,3 per cento su 42 mila ricerche delle imprese) e i tecnici delle costruzioni civili (con il 79,3 per cento di difficoltà rispetto alle oltre 8 mila assunzioni).

Le difficoltà di reperimento più significative al Nord-Est

La richiesta è elevata, ma la disponibilità di lavoratori è limitata per varie ragioni, dalle dinamiche demografiche ai salari contenuti, dalla formazione inadeguata alle prospettive di carriera più favorevoli (non solo in termini salariali) all’estero. Si legge nel report: «Le difficoltà di reperimento più significative si registrano nell’area del Nord-Est (50,4 per cento). Prossime al valore medio le criticità che emergono nel Nord-Ovest (al 45,9 per cento), mentre i dati sono più contenuti per il Centro (43,2 per cento) e per il Sud e Isole (40,9 per cento). Tutte le aree condividono comunque difficoltà di reperimento in aumento rispetto al 2022».

Enel intende chiudere tutti gli impianti a carbone entro il 2027

Il Gruppo Enel intende proseguire con la riduzione delle proprie emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra, in linea con l’accordo di Parigi e con lo scenario di 1,5 gradi centigradi, come certificato dalla Science based targets initiative. Lo ha fatto sapere il gruppo energetico indicando il proprio piano di riduzione nella strategia 2024-2026, specificando che conferma «l’obiettivo di chiudere tutti i rimanenti impianti a carbone entro il 2027, previa autorizzazione delle autorità competenti».

Per la riconversione Enel valuterà le migliori tecnologie disponibili

I rimanenti impianti a carbone di Enel in Italia sono cinque, e il gruppo energetico aveva precedentemente annunciato l’intenzione di chiuderli entro il 2025, un obiettivo mancato anche a causa della necessità di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico italiano a seguito della guerra in Ucraina. Per quanto riguarda la riconversione degli impianti a carbone, Enel valuterà «le migliori tecnologie disponibili, sulla base delle esigenze indicate dai gestori delle reti di trasmissione. Il gruppo, infine, ha confermato la sua ambizione di raggiungere zero emissioni in tutti gli Scope entro il 2040». Le emissioni vengono suddivise in tre categorie: scope 1, che comprende le emissioni dirette controllate dall’organizzazione; scope 2, che riguarda le emissioni indirette legate alla produzione di elettricità, vapore o calore; scope 3, che include le emissioni indirette provenienti dalla catena del valore dell’azienda.

Bonus occhiali 2023 in scadenza: cos’è, a chi spetta e come richiederlo

Fino al 31 dicembre 2023, coloro che fanno parte di un nucleo familiare con Isee non superiore a 10 mila euro hanno la possibilità di richiedere un bonus di 50 euro destinato all’acquisto di occhiali da vista o lenti a contatto. Nonostante i fondi siano in fase di esaurimento, la piattaforma per la presentazione delle domande rimane operativa.

Bonus occhiali: cos’è e come funziona

Il bonus occhiali, o bonus vista, è stato istituito dalla legge di Bilancio 2021 e successivamente regolamentato attraverso il decreto del ministro della Salute, in accordo con il ministro dell’Economia e delle Finanze, datato 21 ottobre 2022. Si tratta di un contributo sotto forma di voucher una tantum del valore di 50 euro, destinato all’acquisto di occhiali da vista o lenti a contatto correttive. In particolare, l’articolo 6 ha stabilito che per gli acquisti effettuati dal primo gennaio 2021 fino al 4 maggio l’agevolazione potesse essere erogata tramite rimborso diretto di 50 euro sulla spesa sostenuta. L’articolo 7, invece, prevede che i dati relativi ai rimborsi erogati ai richiedenti siano successivamente comunicati all’Agenzia delle entrate per l’elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata.

Bonus occhiali: come richiederlo

Per presentare la richiesta, è sufficiente connettersi al sito www.bonusvista.it e compilare in modalità telematica il modulo utilizzando Spid di livello 2 o superiore, Carta d’identità elettronica 3.0 (Cie) o Carta nazionale dei servizi (Cns). È inoltre necessario allegare la Dichiarazione Sostitutiva Unica (Dsu), il documento comprovante la spesa, specificare la Partita Iva del rivenditore, l’Iban del conto corrente del richiedente o del beneficiario, nonché la data e l’importo della spesa sostenuta (comprensiva di Iva). Il rimborso sarà effettuato dopo la verifica dei dati forniti. È possibile monitorare lo stato di avanzamento accedendo alla piattaforma e visualizzando lo stato della richiesta.

Best global brands 2023, Apple marchio più influente: nella lista anche Gucci, Prada e Ferrari

La classifica Best global brands 2023, stilata da Interbrand, ha incoronato Apple come marchio più influente al mondo per l’undicesimo anno di fila. L’Italia è rappresentata da Gucci (34esimo), Ferrari (70esimo) e Prada (86esimo) che rientrano nella classifica, guidata da Airbnb, dei marchi con il più ampio margine di crescita in un anno.

Il comparto tech domina la classifica

Dal 1988 Interbrand stila la propria classifica dei 100 marchi più influenti analizzando, per ogni azienda, il valore finanziario, la capacità di influenza sulla scelta dei consumatori e la sua competitività. Subito dopo Apple, nella top 10 di quest’anno ci sono Microsoft, Amazon, Google, Samsung, Toyota, Mercedes-Benz, Coca-cola,Nike, Bmw. Rispetto al 2022 Disney non compare più tra i migliori 10, sostituita da Bmw e superata da Nike. Le aziende automobilistiche Mini e Land Rover sono state invece estromesse dalla lista da Oracle (19esimo) e Nespresso (98esimo). Ma a caratterizzare la classifica del 2023 è il comparto tech, che costituisce quasi il 50 per cento del valore complessivo dei marchi analizzati. Sono 11 i colossi tecnologici che compongono la lista: Apple, Microsoft, Amazon, Google, Samsung, Adobe, Intel, Airbnb, Philips, Xiaomi e Huawei.

Best global brands 2023: è Apple il marchio più influente. Nella lista anche Gucci, Prada e Ferrari
Microsoft è il secondo marchio più influente al mondo nella lista di Interbrand (Getty Images).

Il ruolo etico e geopolitico dei marchi

Nonostante la congiuntura economica di generale stagnazione che ha caratterizzato il mercato globale dopo la pandemia di Covid-19, alcuni brand sono riusciti a registrare margini di crescita. Secondo Lidi Grimaldi, la chief operating officer di Interbrand a Milano, questi risultati dipendono dalla capacità delle aziende di fare leva sulle nuove sensibilità sociali. In un’intervista a Wired, ha spiegato: «Oggi i concetti di etica e sostenibilità comunicati dal marchio sono gli elementi di base per conquistare la fiducia dei consumatori». Ma il settore tech sta comunque registrando una crescita contenuta, a causa sia della scarsità della circolazione delle materie prime dopo la pandemia, sia delle tensioni geopolitiche attuali, in primis la guerra in Ucraina e le tensioni tra Stati Uniti e Cina. In particolare, Grimaldi ha ricordato a Wired quando ad agosto del 2023 Pechino ha vietato ai propri funzionali di utilizzare i prodotti di Apple, durante l’apice dello scontro diplomatico tra Cina e Usa. Nelle due giornate successive all’annuncio del divieto, Apple ha perso circa 200 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato.

L’Italia si conferma eccellenza europea nel settore del riciclo dei rifiuti

L’Italia si conferma eccellenza europea nel settore del riciclo dei rifiuti, pienamente in corsa per il raggiungimento degli obiettivi Ue al 2025 e al 2035. Il riciclo dei rifiuti urbani ha raggiunto quota 51,4 per cento (l’obiettivo del 2025 è 55 per cento), quello degli imballaggi il 72,8 per cento (ben oltre il target del 65 per cento al 2025). Maggiore impegno servirà per dimezzare, di qui al 2035 la quota di rifiuti che oggi finiscono in discarica, il 20,1 per cento.

L’Italia è tra i nove stati Ue più virtuosi nel riciclo dei rifiuti

Lo ha rivelato il rapporto annuale L’Italia che ricicla di Assoambiente, l’associazione delle imprese di igiene urbana, riciclo e bonifiche. L’Italia di fatto rientra tra i nove Stati membri dell’Ue virtuosi nella gestione dei rifiuti. Sono ben 18 (tra cui anche Francia, Spagna, Portogallo e Svezia) quelli che risultano ancora lontani dal raggiungimento dei target definiti. Addirittura otto Stati membri collocano ancora in discarica più del 50 per cento dei propri rifiuti urbani. Nel report di quest’anno Assoambiente ha inserito dieci richieste per le istituzioni nazionali ed europee: sostegno ai materiali riciclati, quote di riciclato nei prodotti, Iva agevolata per le materie ottenute dal riciclo, recupero energetico complementare al riciclo, iter autorizzativi più rapidi e certi, ecodesign, nuovi schemi di responsabilità del produttore di beni, decreti End of Waste, regole comuni nella Ue sul trasporto dei rifiuti, e una maggiore chiarezza nell’impianto di regole disegnato da Arera e applicato dalle varie amministrazioni pubbliche.

Istat: «Prospettive incerte, l’economia potrebbe rallentare»

Le prospettive economiche internazionali restano molto incerte, condizionate dall’acuirsi delle tensioni geopolitiche e dalle condizioni finanziarie sfavorevoli per famiglie e imprese. Nel terzo trimestre il Pil italiano è stato stabile rispetto al secondo, registrando un risultato migliore della Germania ma peggiore rispetto a quello di Francia e Spagna. La variazione acquisita della crescita del Pil per il 2023 è pari a 0,7 per cento. A ottobre 2023, la fiducia di famiglie e imprese ha continuato a calare, suggerendo che l’economia italiana potrebbe rallentare nei prossimi mesi. Lo scrive l’Istat nella nota mensile sull’economia.

Nel terzo trimestre, in zona euro, il Pil è andato a -0,1 per cento 

L’Istat sottolinea che le principali economie hanno continuato a mostrare un dinamismo differenziato: a fronte di una forte accelerazione del Pil in Cina e negli Stati Uniti, la crescita in Europa è rimasta stagnante. Nell’area euro, nel terzo trimestre, il Pil ha mostrato una marginale flessione congiunturale (-0,1 per cento dopo il +0,2 per cento dei tre mesi precedenti). E le prospettive per l’area continuano a essere poco favorevoli. In Italia, nel terzo trimestre, il Pil è rimasto, in base alla stima preliminare, invariato rispetto ai tre mesi precedenti, registrando un risultato migliore della media dell’area euro e della Germania (entrambi -0,1 per cento) ma peggiore rispetto a quello di Francia e Spagna (+0,1 per cento e +0,3 per cento). La domanda interna ha fornito un apporto negativo mentre la componente estera netta ha contribuito positivamente. Dal lato dell’offerta, l’indice destagionalizzato della produzione del settore manifatturiero a settembre è rimasto invariato dopo il lieve incremento di agosto.

L’inflazione a ottobre 2023 è stata sotto al 2 per cento

Nella media del terzo trimestre, la produzione ha registrato un aumento dello 0,2% rispetto ai tre mesi precedenti. Il mercato del lavoro continua a mostrare una buona tenuta nonostante la debolezza congiunturale. A settembre, sono aumentati rispetto ad agosto gli occupati e i disoccupati men-tre gli inattivi sono diminuiti. L’inflazione si è collocata ad ottobre al di sotto del 2 per cento, ovvero un punto inferiore alla media dell’area euro per effetto della più forte discesa dei listini dei beni energetici in Italia. A fronte di un quadro debole ma stabile, la fiducia dei consumatori continua a calare per il quarto mese consecutivo, raggiungendo il valore più basso da gennaio, con un generale peggioramento di tutte le componenti dell’indicatore ad eccezione delle aspettative sulla disoccupazione e dei giudizi sulla situazione economica familiare. Anche l’indice del clima di fiducia delle imprese ha evidenziato un calo in tutti i settori economici ad eccezione di quello delle costruzioni.

Stellantis snobba l’Italia: dalla produzione ridotta alla svendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco

Comandano i francesi. Il dato può essere urticante nella nuova stagione del potere sedicente sovranista, ma quando parliamo di Stellantis bisogna fare i conti con l’amara realtà. Il gruppo nato due anni fa dalla fusione di Fca con Peugeot vede la Exor della famiglia Agnelli quale socio di maggioranza con il 14,4 per cento. I transalpini possono vantare il 7,2 per cento in mano alla famiglia Peugeot, ma poi c’è il 6,2 per cento alla banca pubblica BpiFrance, che fa capo al governo di Parigi. Dunque, l’Eliseo può far valere tutto il suo peso in un’azienda che ingloba la vecchia Fiat, ma ha testa e cuore in Francia, mentre il forziere è saldamente in Olanda.

La vendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco, il polo del lusso voluto da Marchionne

La presenza in Italia intanto arretra. Suscita sconforto e mestizia la notizia della vendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco, nel Torinese, ex gioiello di quello che 11 anni fa l’allora ad Fiat, Sergio Marchionne, definiva il polo del lusso. A inizio novembre l’annuncio è apparso su Immobiliare.it, come se lo storico impianto ex Bertone fosse una mansarda o un box qualunque. Addio ai sogni di rilancio basati sul valore dei marchi, sulla qualità, sull’eccellenza delle quattro ruote che hanno fatto sognare gli appassionati di tutto il mondo. Niente da fare, troppo costoso per Carlos Tavares, Ceo di Stellantis voluto dai francesi. Mister Peugeot, evidentemente, non subisce il fascino della casa del Tridente e così le Maserati verranno assemblate a Mirafiori.

Stellantis snobba l'Italia: dalla produzione ridotta alla svendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco
Sciopero dei lavoratori a Grugliasco (Ansa).

La produzione di auto in Italia è ferma a 400 mila vetture e appena sette modelli contro il milione francese

La crisi è globale, si dirà. Intanto però in Francia l’azienda produce un milione di auto l’anno con 15 modelli. In Italia 400 mila e appena sette modelli. Ma soprattutto, in vista della grande transizione che cambierà tutto, la componentistica per l’elettrico e l’ibrido viene realizzata Oltralpe al 90 per cento, in Italia soltanto il 10 per cento nell’unico stabilimento piemontese di Rivalta. Da ciò deriva un rischio di 7.500 esuberi, tutti concentrati sulla Penisola. D’altronde i numeri parlano chiaro: Stellantis in Italia ha oggi il 28 per cento della quota di mercato e Fiat, come marchio, è ridotta all’11. Nel 1989 il solo brand torinese valeva il 41 per cento. Sempre nel 1989 si raggiunse il picco dei 2 milioni di veicoli prodotti nel Bel Paese, 10 anni dopo eravamo a 1,4 milioni, ma già nel 2018 il valore si era ridotto a 670 mila e oggi Stellantis galleggia appunto attorno alle 400 mila unità. Tavares ha preso l’impegno con il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, di tornare a un milione di veicoli l’anno, obiettivo che a oggi sembra una chimera. A Mirafiori si fa la 500 elettrica, ma la produzione arranca intorno alle 80 mila unità contro le 120 mila promesse. A Cassino si è crollati da 135 mila vetture del 2017 a 55 mila nel 2022. In Basilicata, a Melfi, vengono sfornate 142 mila auto, con 59 mila unità perse dal 2019. Mentre Pomigliano si difende ed è oggi il primo stabilimento di assemblaggio in Italia: 165 mila vetture nel 2022, con un +34 per cento sul 2021, ma comunque con un’emorragia del 17 per cento rispetto al periodo pre-Covid. Certo, sono dati su cui pesa la crisi esogena, anzi globale, dei chip. Ma la questione semiconduttori non può trasformarsi nel paravento di un tracollo più profondo e strutturale.

Stellantis snobba l'Italia: dalla produzione ridotta alla svendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco
Catena di montaggio nello stabilimento di Pomigliano (Imagoeconomica).

L’indotto, il caso Magneti Marelli e la battaglia di Calenda

Oggi l’automotive dà occupazione, con l’indotto, a 270 mila persone e fa il 5,2 per cento del Pil italiano. Ma soprattutto, oltre a rappresentare uno dei settori su cui si è fondata la rinascita del Paese nel secondo Dopoguerra, intercetta e amplifica tutti i processi di innovazione e le sfide tecnologiche che cambieranno il nostro futuro: energia, intelligenza artificiale, big data, smart city. Starci dentro è dunque un’esigenza vitale per l’Italia. La crisi delle imprese dell’indotto è, in questo senso, una cartina di tornasole di ciò che sta accadendo: Lear, Martur e soprattutto Magneti Marelli, con il rischio chiusura per la sede di Crevalcore, nel Bolognese. La vicenda va a braccetto con quella di Stellantis, visto che Marelli era tra l’altro una divisione dell’ex Fiat. Tra i leader politici, sul dossier si è mosso subito Carlo Calenda che a fine settembre ha tentato di portare solidarietà ai lavoratori dell’azienda di componentistica, recandosi personalmente nella fabbrica in pericolo. La Fiom gli ha riservato un’accoglienza tutt’altro che festosa e a stretto giro il leader di Azione si è sfogato al Corriere della sera, prendendo di mira il segretario della Cgil ed ex leader dei metalmeccanici del sindacato, Maurizio Landini: «Faceva la guerra totale a Marchionne quando in Italia si produceva un milione di veicoli commerciali e auto, oggi che ne produciamo 650 mila sta zitto perché John Elkann ha fatto la mossa di comprarsi il maggior quotidiano nazionale della sinistra italiana». Il velenoso riferimento è a Repubblica, che fa capo ad Exor, e in particolare a una recente intervista rilasciata al quotidiano dal sindacalista, in cui ne dice di ogni sulla crisi del settore auto senza mai nominare Stellantis.

Stellantis snobba l'Italia: dalla produzione ridotta alla svendita dello stabilimento Maserati di Grugliasco
Maurizio Landini, segretario generale della Cgil (Imagoeconomica).

Ancora l’8 ottobre Calenda twittava: «Gli imprenditori sono le persone più felici del mondo con questo sindacato. Gli stipendi reali negli ultimi 30 anni sono scesi del 2 per cento contro il +30 per cento di Francia e Germania. Il tutto tramite contrattazione collettiva. Direi che sono pronti a fare un monumento a Landini. Se poi quegli stessi imprenditori possiedono un giornale, si possono anche pagare un dividendo a spese dello Stato in Olanda e diminuire la produzione del 30 per cento nel silenzio sindacale. Meglio di così». Calenda si riferisce al prestito a Fca da 6,3 miliardi di euro garantiti da Sace, risalente al 2020, durante la pandemia. Soldi poi rimborsati da Stellantis.

Landini corregge la rotta su Stellantis

Landini, dal canto suo, ha minacciato querela all’ex ministro dello Sviluppo economico. Il leader del primo sindacato italiano, in un certo senso, ha iniziato la propria scalata alla Cgil grazie allo scontro con Marchionne, sin dai tempi del referendum sull’accordo separato di Fiat Mirafiori. Ora non può certo accettare l’accusa di essere “collaterale” o morbido nei confronti dei nuovi padroni franco-italiani. Ma il suo nervosismo è apparso palese, a dimostrazione che comunque Calenda lo aveva punto nel vivo. Proprio l’altro giorno il leader cigiellino ha provato a correggere la rotta: «Stellantis sta discutendo con tutti in giro per il mondo, fuorché in Italia» e così rischiamo di «perdere interi settori manifatturieri su cui siamo capaci di lavorare». Bene, chissà se Elkann ha iniziato a tremare.

Agenzia delle Entrate, per le partite Iva il secondo acconto slitta al 2024

Per le partite Iva con ricavi o compensi fino a 170 mila euro slitta dal 30 novembre 2023 al 16 gennaio 2024 il termine per versare la seconda rata di acconto delle imposte sui redditi, con la possibilità, inoltre, di versare lo stesso importo in cinque mensilità da gennaio a maggio 2024. È quanto chiarisce l‘Agenzia delle Entrate in una circolare sulle novità introdotte dal decreto Anticipi, specificando che la norma riguarda solo le persone fisiche, non le società di capitali o gli enti non commerciali.

Resta immutato il termine per i contributi previdenziali e assistenziali

Il dl collegato alla manovra ha introdotto, solo per il periodo d’imposta 2023 il differimento dal 30 novembre 2023 al 16 gennaio 2024 della scadenza del versamento della seconda rata di acconto dovuto in base alla dichiarazione Redditi Persone fisiche 2023; la possibilità di effettuare il versamento in cinque rate mensili di pari importo, a partire da gennaio 2024, con scadenza il 16 di ogni mese (sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi pari al 4 per cento annuo). Per i contributi previdenziali e assistenziali, invece, resta fermo il termine ordinariamente previsto del 30 novembre 2023. Possono usufruire della proroga le persone fisiche titolari di partita Iva che hanno dichiarato, con riferimento al periodo d’imposta 2022, ricavi o compensi di ammontare non superiore a 170 mila euro. Per verificare il rispetto del «tetto», spiega ancora l’Agenzia, si deve far riferimento ai compensi (nonché ai ricavi di cui all’articolo 57 del Tuir), dichiarati per il 2022. Se il contribuente esercita più attività (con diversi codici Ateco), bisogna sommare i relativi ricavi e compensi; allo stesso modo nel caso della persona fisica che esercita sia un’attività di lavoro autonomo sia un’attività di impresa occorre sommare ricavi e compensi relativi ad entrambe. La circolare chiarisce infine che i contribuenti che non sono tenuti a presentare la dichiarazione Iva devono tenere in considerazione l’ammontare complessivo del fatturato 2022 (fatture e corrispettivi telematici).

Bce: «Spread più alto in Italia per effetto della Manovra»

Tra il 14 settembre e il 25 ottobre 2023 «le variazioni dei differenziali sui titoli di Stato sono state molto contenute, con l’eccezione del differenziale italiano, che si è in qualche misura ampliato, verosimilmente per effetto di fattori idiosincratici collegati, tra le altre cose, alle notizie riguardanti le misure fiscali previste dalla legge di bilancio nazionale». Lo scrive la Banca Centrale Europea nel suo bollettino mensile, analizzando l’andamento dello spread.

L’aumento dei tassi a lungo termine nell’area euro ha seguito dinamiche simili a livello globale

Il 25 ottobre, si legge più in generale nel bollettino di Francoforte, il rendimento medio ponderato per il Pil dei titoli di Stato decennali dell’area dell’euro si è collocato attorno al 3,5 per cento, circa 25 punti base al di sopra del livello registrato all’inizio del periodo in esame. Guardando agli sviluppi dei mercati dei titoli di Stato nel periodo in esame la Bce rileva come «i rendimenti dei titoli a lungo termine hanno mostrato andamenti pressoché analoghi a quelli dei tassi privi di rischio, in un contesto in cui i differenziali sui titoli di Stato si sono mantenuti complessivamente stabili». Il rendimento dei titoli di Stato statunitensi decennali è aumentato di 41 punti base, attestandosi al 4,7 per cento, mentre il rendimento dei titoli di Stato britannici è aumentato di 20 punti base al 4,5 per cento.

Caro voli: l’Ue indaga sull’aumento delle tariffe aeree in Europa

Bruxelles indaga sull’aumento delle tariffe aeree in tutta Europa, salite fino al 30 per cento nel corso dell’estate con profitti eccezionali per le compagnie. Ad annunciarlo è stata la commissaria Ue ai Trasporti, Adina Valean, in un’intervista al Financial Times.

Urso: «L’Ue si muove nella rotta indicata dall’Italia»

«Stiamo indagando» per avere «una spiegazione completa e dettagliata», ha spiegato Valean, precisando che Bruxelles non intende intervenire su un mercato “funzionante”. Il commento del ministro Adolfo Urso: «L’Ue si muove sulla rotta indicata dall’Italia a tutela degli utenti e contro il caro voli. Avanti, insieme, per un servizio migliore, in trasparenza e nel rispetto delle regole».

La vendita della rete Tim non chiude la partita dopo una storia piena di errori

Tim, fu Telecom, atto finale. Giudici permettendo, anche se la decisione di vendere la rete presa dal consiglio di amministrazione senza consultare i soci sembra irreversibile. Troppo squilibrio tra le forze in campo: da un lato i francesi di Vivendi, che ora forse maledicono il giorno in cui sono entrati (da allora hanno perso 3 dei 4 miliardi investiti, protagonisti in negativo di un copione già visto in Mediobanca e Mediaset). Dall’altro il governo, le banche, le fondazioni, gli americani, poteri forti e meno forti, nonostante che in molti capitoli dell’annosa vicenda telefonica si siano mostrati un’armata tutt’altro che invincibile, ma piuttosto brancaleonica. Ma oramai eravamo allo sfinimento.

Dalla sciagurata privatizzazione alle promesse tradite di Meloni

Di nazionalizzazione della rete Giorgia Meloni & C. avevano iniziato a parlare in campagna elettorale. Poi le elezioni le hanno vinte e sembrava che la partita dovesse chiudersi in un atto secondo. È durata più di un anno, con momenti di grottesca confusione dove tanta era la babele di chi voleva mettere becco che non si capiva più nulla. L’unica cosa certa è che la Tim così come l’avevano disegnata i padri fondatori (allora si chiamava Stet) e tale era rimasta prima che una sciagurata privatizzazione -citofonare Romano Prodi e poi Massimo D’Alema – la depredasse del suo valore, non stava più in piedi. Quindi delle due l’una: o si vendeva la rete, ossia il gioiello più redditizio della corona, o si vendeva tutto il resto. Che è poi la configurazione che si è delineata in queste ultime settimane con l’arrivo del fondo Marley (troppo tardi però) a contrastare l’offerta di Kkr. È finita come sappiamo a valle di un biblico cda dove il via libera agli americani ha prevalso con una maggioranza consiliare piuttosto larga.

Vivendi ha svalutato due volte l’investimento, fino a poco più di 0,2 euro ad azione

Tutto finito? Non proprio, per la gioia di quasi tutti i grandi studi legali coinvolti. Ma al di là della comprensibile rabbia per essere stati bellamente bypassati, oltre al fatto che Mef e Palazzo Chigi li hanno trattati a pesci in faccia, conviene ai francesi ragionare a mente fredda. Vogliono salvaguardare la proprietà della rete o più pragmaticamente riportare a casa i soldi spesi? La seconda che ho detto, anche se dovranno mettere in conto di perderne un bel po’. Hanno svalutato due volte il loro investimento, fino a portarlo a poco più di 0,2 euro ad azione. Tutto l’upside del titolo che ci sarà di qui in avanti, figlio di una società meno indebitata, sarà per loro oro colato. Poi, immaginiamo, non vedranno l’ora di levare le tende dall’Italia, terra per loro assai amara, non prima però di aver risolto la partita Mediaset in cui sono tuttora pesantemente invischiati.

La vendita della rete Tim non chiude la partita dopo una storia piena di errori
Vincent Bolloré di Vivendi (Imagoeconomica).

Il Paese perde un altro asset importante del suo sistema industriale

Errori fatti da Vivendi? Molti. In primis quello di aver sbattuto a suo tempo la porta in faccia al cda di Tim ritirando i suoi due rappresentanti. Convinti di poter combattere meglio stando fuori da una battaglia che invece richiedeva stessero dentro. Ma è niente in confronto agli errori fatti in questi anni dai governi che si sono succeduti ai quali, tutti, l’idea di politica industriale doveva suonare come qualcosa di vago e surreale. Ha ragione chi dice che con l’addio alla rete, e la probabile cessione nel tempo anche dei pezzi che restano, il Paese perde un altro asset importante del suo sistema industriale, tra l’altro proprio nei giorni in cui è diventato lampante quel che già si sapeva, ovvero che dal matrimonio tra Fiat e Peugeot a guadagnarci sono i francesi e non gli italiani.

La vendita della rete Tim non chiude la partita dopo una storia piena di errori
Pietro Labriola, amministratore delegato di Tim (Imagoeconomica).

Debito monstre ormai insostenibile dopo una storia di sperperi

Ma Tim era finita in un vicolo cieco e non c’erano santi per salvaguardarne l’integrità, specie da quando la salita dei tassi di interesse ha reso ancora più insostenibile il suo debito monstre. Quella della compagnia telefonica è stata, dalla fine degli Anni 90 in avanti, una saga di errori, furbizie, rapine, omissioni, passaggi di mano dove chi usciva lasciava i cocci a chi entrava. Bisognava, in un modo o nell’altro, staccare le macchine e interrompere la lunga agonia per non rischiare l’accanimento. E altro sperpero di denaro per un’azienda che nella sua storia ha arricchito pochi privilegiati e impoverito troppi malcapitati. Sempre, ovviamente, che sia davvero finita. Ipotesi di fronte a cui la borsa, alla riapertura dei mercati, si è mostrata invero scettica.

Il “re delle criptovalute” Sam Bankman-Fried giudicato colpevole di frode

L’imprenditore delle criptovalute Sam Bankman-Fried è stato giudicato colpevole di sette capi d’imputazione di frode, associazione a delinquere per commettere frode e associazione a delinquere per riciclare il denaro. Il processo, iniziato un mese fa a New York, ha stabilito che l’inaspettata bancarotta della sua piattaforma di scambio Ftx sia stata causata da una gestione illecita dei fondi. La sentenza è stata fissata per il 28 marzo del 2024, Bankman-Fried e rischia svariati decenni di carcere.

Ha rubato miliardi di dollari a Ftx accelerando il collasso del settore

Si è conclusa così una straordinaria caduta in disgrazia per l’ex miliardario 31enne, uno dei volti più riconosciuto del settore delle criptovalute. «Sam Bankman-Fried ha perpetrato una delle più grandi frodi finanziarie della storia americana: uno schema multimiliardario progettato per renderlo il re delle criptovalute», ha dichiarato l’avvocato americano Damian Williams in una dichiarazione dopo il verdetto riportata dal Bbc. I pubblici ministeri avevano accusato Bankman-Fried di aver mentito a investitori e istituti di credito e di aver rubato miliardi di dollari dall’exchange di criptovalute Ftx, contribuendo ad accelerarne il collasso. Il giovane imprenditore si è dichiarato non colpevole di tutte le accuse, sostenendo che, pur avendo commesso degli errori, aveva agito in buona fede. Bankman-Fried avrebbe usato i soldi che i clienti affidavano a Ftx per vivere una vita lussuosa, acquistare proprietà da milioni di dollari alle Bahamas, dove nel 2022 è stato arrestato, e per coprire un gigantesco buco nel bilancio di un fondo di investimento di sua proprietà, Alameda Research. Ma il processo non è stato molto seguito solo per l’entità della frode e la celebrità del personaggio, ma anche perché che tre dei suoi ex amici intimi e colleghi, inclusa la sua ex fidanzata Caroline Ellison, si sono dichiarati colpevoli e hanno accettato di testimoniare contro di lui nella speranza di ridurre la propria pena.

Le implicazioni del caso nell’industria delle criptovalute

Il caso di Bankman-Fried è stato seguito da vicino anche per le sue implicazioni per l’industria delle criptovalute nel suo insieme, che non è riuscita a riprendersi dalle turbolenze del mercato dello scorso anno. Il caso è stato preso ad esempio dai regolarti negli Stati Uniti che sostengono come il mercato delle criptovalute sia pieno di illeciti. Il New York Times ha scritto che Sam Bankman-Fried «è emerso come simbolo dell’arroganza sfrenata e dei giri di affari loschi che hanno trasformato le criptovalute in un’industria multimiliardaria durante la pandemia», che ha attirato milioni di investitori inesperti, molti dei quali hanno perso i propri risparmi quando il mercato è crollato. Tuttavia, è improbabile che il Congresso approvi nuove regole per le criptovalute in tempi brevi, e saranno i tribunali statunitensi a continuare ad essere i principali attori nella regolamentazione del settore.

Il Global Gateway, la nuova via della seta europea verso l’Africa e il Sud del mondo

La risposta europea alla Nuova via della seta cinese, la Belt and Road Initiative, è finalmente in marcia, tra ambiziosi progetti e lati ancora poco chiari. Il Global Gateway dell’Unione europea, un piano di sviluppo infrastrutturale rivolto al Sud del mondo, ha vissuto una tappa importante del suo percorso il 25 e 26 ottobre con un business forum che si è svolto a Bruxelles e durante il quale la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha incontrato 40 alti rappresentanti istituzionali di alcuni Paesi in via di sviluppo per discutere opportunità di investimento. Ma di cosa si tratta?

Al centro infrastrutture, energia, materie prime e vaccini

Il piano europeo al centro del vertice vuole mobilitare globalmente 300 miliardi di euro in investimenti pubblici e privati entro il 2027, di cui la metà andranno all’Africa. Non saranno per la maggior parte investimenti diretti – perché il piano non ha ancora soldi propri, lì avrà forse dal prossimo bilancio -, ma un insieme di fondi e strumenti per sbloccare l’equivalente di questa somma. Nel continente africano 136 miliardi su 150 saranno privati, si stima. Dal suo lancio, al programma europeo afferiscono 89 progetti, di cui molti già avviati in precedenza, in America Latina, Caraibi, Medio Oriente, Asia, Pacifico e Africa subsahariana, per un valore di 66 miliardi di euro. I settori di intervento prioritari del piano saranno le infrastrutture, la connettività, lo sviluppo di nuove fonti di energia, l’approvvigionamento di materie prime e la crescita dei sistemi sanitari, con la produzione locale di vaccini.

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Il Global Gateway, la nuova via della seta europea verso l’Africa e il Sud del mondo
La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen col primo ministro egiziano Mostafa Madbouly (Getty).

Un progetto nato dalla crisi durante la pandemia di Covid-19

Il Global Gateway è stato fortemente voluto da von der Leyen che l’aveva annunciato nel 2021 durante il suo discorso sullo stato dell’unione. Maddalena Procopio, senior policy fellow del Programma Africa dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr), ha detto che il progetto «nasce dalla crisi delle catene di approvvigionamento durante la pandemia di Covid-19 e ha l’obiettivo di soddisfare le esigenze interne europee di resilienza economica». Procopio ha parlato durante l’evento “Global Gateway Africa: Geopolitica, investimenti e prospettive per l’Italia” che il think tank ha organizzato in concomitanza del forum di Bruxelles allo Spazio Europa di Roma insieme alla rivista Africa e Affari. La pandemia, insieme poi con la guerra tra Russia e Ucraina e alla contemporanea forte ascesa sulla scena internazionale di altri attori come la Cina o la Turchia, hanno contribuito a isolare l’Europa in ambito geopolitico ed economico.

Il Global Gateway, la nuova via della seta europea verso l’Africa e il Sud del mondo
Personale sanitario in America Latina durante i mesi più duri del Covid (Getty).

Il piano Ue ha quindi tra i suoi principali obiettivi quello di accorciare le catene del valore, per disporre più facilmente di energia e materie prime, ma è anche «uno strumento per rilanciare l’immagine e le relazioni dell’Ue con una parte di mondo, stabilendo con questa un rapporto paritetico», come ha detto Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio romano dello Ecfr. A livello geopolitico, secondo l’esperto, il piano arriva alla sua implementazione in un momento in cui in particolare l’Africa sta vivendo una nuova ondata anticoloniale della quale stanno risentendo le potenze europee. Per questo, ha spiegato, è un’opportunità per dare nuovo slancio al loro posizionamento.

Cambio di paradigma rispetto a logiche di aiuto ed estrattivismo neocoloniale

Il Global Gateway, nell’idea delle istituzioni europee, oltre a rafforzare l’autonomia strategica dell’Ue in politica ed economia, dovrebbe infatti rappresentare un cambio di paradigma netto nei rapporti con il Sud del mondo rispetto sia alle logiche dell’aiuto che dell’estrattivismo neocoloniale. In quest’ottica, ancora secondo Procopio, il Global Gateway «è un’occasione per inaugurare un nuovo modello di cooperazione che risponda meglio alle necessità africane mantenendo saldi gli interessi europei». Sarà il “volto esterno” dell’Unione per proporre uno sviluppo più sostenibile e reciprocamente conveniente per le parti. Per Antonio Parenti, direttore della Rappresentanza della Commissione Europea in Italia, il piano rappresenterà anche un tentativo di rispondere in modo globale alle sfide di oggi, ma non in ordine sparso come fatto finora in ambito di politiche di sviluppo. Altro passo cruciale sarà poi quello di favorire l’apporto del settore privato con l’apertura di mercati per aziende italiane ed europee soprattutto in Africa.

I partner della Cina pagano un pezzo alto su indebitamento e sostenibilità

Von der Leyen, aprendo il forum di Bruxelles, ha spiegato che «Global Gateway significa dare ai Paesi una scelta, e una scelta migliore, senza condizioni scritte in piccolo», sostenendo che in molti casi, in cambio dello sviluppo infrastrutturale promesso, questi pagano un prezzo alto in termini di indebitamento, diritti dei lavoratori, sostenibilità ambientale e sovranità nazionale. Il riferimento è ovviamente al modus operandi della Cina che ha festeggiato i risultati della sua Belt and Road Initiative da quasi 1 trilione di dollari con un vertice a cui hanno partecipato, tra gli altri, anche il presidente russo Vladimir Putin, il primo ministro ungherese Viktor Orban e diversi leader africani. Nonostante la scala minore degli investimenti promessi e il ritardo ormai di 10 anni con l’iniziativa di Pechino, il forum di Bruxelles ha assistito alla firma di ulteriori accordi per 3,2 miliardi di euro tra Africa, Asia e vicinato europeo. Tra questi, l’Ue ha siglato partnership su materie prime con la Repubblica Democratica del Congo e lo Zambia. Inoltre, secondo Josep Borrell, il capo della politica estera europea intervenuto durante il secondo giorno del vertice, altri 100 progetti saranno annunciati entro la fine del 2023.

Il Global Gateway, la nuova via della seta europea verso l’Africa e il Sud del mondo
Josep Borrell (Getty).

Perplessità e critiche: rischio di un colonialismo 2.0

L’ambizioso piano, come si vede da questi sviluppi, è in divenire, ma non sono mancate in questi mesi perplessità e critiche. Alcuni Paesi si sono per esempio lamentati del fatto che le offerte dell’Ue non vengono decise in coordinamento con le autorità statali e non tengono conto delle reali esigenze locali. D’altra parte nel Global Gateway Business Advisory Group, il gruppo che comprende 60 delle più grandi aziende europee, tra cui Total Energies, Volvo, Bayer e Sparkle come unica italiana, non compare però alcuna impresa pubblica o privata dei Paesi del Sud del mondo. Jean Saldanha, direttrice della Rete europea sul debito e lo sviluppo (Eurodad), citata da EuObserver, ha criticato a questo proposito la mancanza di impegni chiari a investire nella creazione di valore nei Paesi ricchi di risorse, paventando un colonialismo 2.0. Molto meno netta l’analista Procopio che, collegata da Bruxelles con Roma, ha sottolineato però il bisogno di «maggiore coordinamento, dialogo e collaborazione tra istituzioni e privati».

Cgil: tagli fino a 11 mila euro sulle pensioni dei dipendenti pubblici

Cgil, Fp e Flc, hanno diffuso i dati di un’analisi sul taglio alle future pensioni di migliaia di dipendenti pubblici. «L’Esecutivo con la prossima legge di bilancio riuscirà a peggiorare la Legge Monti-Fornero e a sottrarre dalle tasche dei dipendenti pubblici – futuri pensionati, migliaia di euro», hanno denunciato. Prendendo a riferimento una pensione di vecchiaia con decorrenza nel 2024 con 67 anni di età e 35 anni di contribuzione, in questo caso il taglio può raggiungere, rispettivamente per retribuzioni da 30.000, 40.000 o 50.000, un taglio di 4.432 euro, 5.910 euro o 7.387 euro.

Le categorie interessate 

Secondo quanto riferito dalle sigle «un articolo delle tante bozze della legge di bilancio che fin qui si sono rincorse prevede la revisione delle aliquote di rendimento previdenziali per le pensioni liquidate dal 2024, delle quote di pensione retributive in alcune gestioni previdenziali del comparto pubblico e più precisamente degli iscritti alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali (CPDEL), alla Cassa per le pensioni dei sanitari (CPS) e alla Cassa per le pensioni degli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (CPI) e a favore degli iscritti alla cassa per le pensioni degli ufficiali giudiziari, degli aiutanti ufficiali giudiziari e dei coadiutori (CPUG)».

L’impatto dei tagli

Ciò significherebbe, riporta l’analisi, calcolando tale impatto sull’attesa di vita media, un taglio cumulato che potrà raggiungere per i casi con retribuzione pari a 30.000 euro, un minor guadagno pari a 70.912 euro; con 40.000 euro di retribuzione, un minor guadagno pari a 94.560 euro, e con una retribuzione da 50.000 euro, un minor guadagno pari a 118.192 euro.

Cgil: «Governo fa cassa sulle pensioni statali»

«Non solo sulle pensioni il governo non darà risposte a giovani, donne e pensionati ma sta decidendo di fare cassa sulle pensioni dei pubblici», proseguono Cgil, Fp e Flc. «Anche per questo motivo» – hanno aggiunto le sigle – «le ragioni della nostra mobilitazione si rafforzano a partire dagli scioperi già proclamati nelle prossime settimane, che vedono al centro il tema delle pensioni».

La Grecia promossa da Standard and Poor’s per la prima volta dal 2013

La Grecia ha compiuto un passo importante per la prima volta dal 2013. Standard and Poor’s (S&P), fra le prime tre agenzie di rating al mondo assieme a Moody’s e Fitch, ha alzato la valutazione del Paese portandolo fuori dalla zona “spazzatura“.

La Grecia avanza mentre l’Italia rischia

L’agenzia ha spiegato che, grazie al netto miglioramento della condizione dei conti pubblici di Atene, la Grecia è ufficialmente uscita dalla zona d’ombra e fatto un enorme passo in avanti. Dalla crisi del debito del 2009-2015, il Paese ha registrato dei progressi significativi nell’affrontare gli squilibri economici e fiscali. S&P ha aggiunto che «il significativo consolidamento di bilancio ha posto la traiettoria fiscale della Grecia su un percorso di deciso miglioramento. Sostenuto da una ripresa economica molto rapida, il governo greco è stato in grado di superare regolarmente i propri obiettivi di bilancio nonostante il graduale aumento dei trasferimenti sociali. Ci aspettiamo che quest’anno il governo raggiunga un avanzo primario pari ad almeno l’1,2 per cento del Pil, superando l’obiettivo dello 0,7 per cento, anche considerando i costi di bilancio associati ai recenti incendi e inondazioni. Prevediamo un avanzo primario medio del 2,3 per cento del Pil nel periodo 2024-2026». L’Italia, invece, ha schivato un possibile declassamento con S&P che ha confermato il proprio giudizio. Le previsioni di crescita rallentano, dunque, ma questo non cambia il voto sulla capacità del Paese di gestire il debito nei confronti del mercato.

Codacons: «La guerra spinge il gas, in arrivo gli aumenti»

Dallo scoppio del conflitto in Israele «le quotazioni del gas sui mercati internazionali sono salite del +34 per cento, passando dai 38 euro al megawattora del 6 ottobre ai 51 euro di venerdì scorso», un incremento che, «se traslato sulla voce ‘approvvigionamento materia prima energia’ nelle prossime bollette di luce e gas, determinerebbe sul mercato tutelato una spesa aggiuntiva pari a +355 euro su base annua a famiglia». Lo ha affermato il Codacons in una nota, plaudendo alla proroga del mercato tutelato che lunedì 23 ottobre verrà varata dal Cdm.

Gli aumenti della bolletta media

«Con il nuovo fronte di guerra», spiega l’associazione, «la bolletta media del gas potrebbe salire di 210 euro, attestandosi a 1.537 euro annui a nucleo, mentre quella dell’elettricità aumenterebbe, nell’ipotesi di prezzi costanti, di 145 euro, portandosi a quota 909 euro annui, con una spesa complessiva per le forniture energetiche di 2.446 euro e un incremento complessivo del +17 per cento rispetto alle tariffe attualmente in vigore.

Per risollevare Confindustria serve il contrario di un Bonomi

Sorpresa, ma non tanto. Confindustria non conta più nulla. I quattro anni della presidenza Bonomi (quasi all’unanimità una delle più incolori di quelle passate ai piani alti di viale dell’Astronomia) stanno finendo e il sindacato degli imprenditori si trova per l’ennesima volta al bivio: scegliere un leader forte e carismatico che ridia lustro a un’organizzazione arrivata ai minimi, o pescare un altro «professionista di Confindustria», come li chiamava con un certo sprezzo Gianni Agnelli, un imprenditore senza impresa che ne perpetui l’ineluttabile declino.

Il progressivo distacco del governo e della politica da Confindustria

D’accordo, in questi tempi liquidi bisogna fare i conti con la crisi della rappresentanza, l’evanescenza dei corpi intermedi che ne mette in discussione ruolo e identità. Però mentre la triplice sindacale si agita, vuol dare segni di viat e far vedere che, indipendentemente da quale sia il suo peso reale, l’antagonismo al governo è sempre un buon collante, Confindustria resta avvolta nel suo esiziale torpore. Qualche intervista, qualche dimenticabile convegno, qualche uscita spesso relegatasolo  tra le pagine rosa del giornale di casa. Ma al dunque, quando il gioco si fa duro, resta ai margini del campo. Sarà forse perché, eravamo agli inizi della sua presidenza, Bonomi si lanciò incautamente a dire che la politica era peggio del Covid, ma da allora il distacco con i suoi palazzi che gliel’hanno giurata  è stata una costante. Basta, dialogo ai minimi, non ci confrontiamo con chi ci considera più deleteri di un’ epidemia. Al punto che, quando lo scorso febbraio Giorgia Meloni decise di passare un colpo di spugna sul Superbonus edilizio, che pur coinvolgeva migliaia di aziende del settore, in viale dell’Astronomia non arrivò nemmeno una telefonata di cortesia. Si dirà che quando l’organizzazione celebra la sua assemblea generale, leader di partito e cariche istituzionali sono sempre lì a far passerella. Ma  è diventata seempre più una partecipazione di circostanza, un rito cui sembra troppo non presenziare (lo fece una volta Matteo Renzi, quando da premier ancora infervorato nel suo afflato rottamatore, disertò l’assise al Parco della Musica). Vuoi mettere la corrispondenza di amorosi sensi con Coldiretti, il caldo abbraccio degli iscritti, la confort zone dove Meloni si rifugia quando ha bisogno di sentirsi coccolata e acclamata?

Per risollevare Confindustria serve il contrario di un Bonomi
Carlo Bonomi (Imagoeconomica).

L’identikit del successore ideale di Bonomi

Ma Confindustria, oltre che essere in crisi col mondo esterno, ha problemi anche con se stessa. L’ultimo episodio di cui questo giornale ha dato notizia, ossia il furibondo scazzo tra Bonomi e Francesca Mariotti, la direttrice generale, una testa finissima in fatto di fiscalità, culminata con il siluramento della manager, è la spia che la struttura sta cadendo a pezzi. Ma se dai un’immagine di profonda spaccatura al tuo interno come puoi pensare che la tua rappresentatività non ne esca intaccata? Quello di Mariotti è solo l’ultimo di una sequela di scontri dove a far da teatro è stata anche la Luiss, ovvero la Bocconi di Confindustria, l’università da sempre suo fiore all’occhiello. Così, alla vigilia della campagna elettorale da cui uscirà il nuovo presidente, viale dell’Astronomia è dilaniata da un tutti contro tutti che ne intacca gravemente l’immagine. Per colui che succederà a Bonomi, sarà un compito ingrato e faticoso. Ma serve un requisito imprescindibile da cui partire. Dovrà essere un imprenditore che vive del suo lavoro, che può per la durata del mandato distaccarsene senza averne nocumento. Dovrà essere qualcuno che si dedica anima e corpo a recuperare l’identità e il prestigio perduti, e che non veda Confindustria solo come un trampolino di lancio a uso e consumo della sua carriera.

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Cos’è il bonus colonnine e come richiederlo

Il governo, per incentivare il passaggio alla mobilità elettrica di cittadini e imprese, ha previsto il bonus colonnine che permette la copertura del 40 per cento delle spese sostenute per l’acquisto e l’installazione dei dispositivi di ricarica.

Il bonus copre le spese effettuate dopo il 4 novembre 2021

A poter beneficiare del bonus colonnine, come detto, sono le imprese nazionali di qualsivoglia dimensione e i singoli professionisti che, accedendo alla misura, possono ottenere il rimborso del 40 per cento delle spese sostenute per le colonnine di ricarica elettrica acquistate dal 4 novembre 2021 e oggetto di fatturazione elettronica. Le spese coperte dal bonus riguardano l’installazione:

  • delle colonnine;
  • degli impianti elettrici;
  • delle opere edili strettamente necessarie;
  • degli impianti;
  • dei dispositivi per il monitoraggio.

Inoltre, il contributo governativo copre fino al massimo del 10 per cento delle spese sostenute per l’acquisto e la messa in opera degli impianti, così come quelle relative alla connessione della rete elettrica e alla progettazione, direzione lavori, sicurezza e collaudi.

Le domande entro il 30 novembre

I cittadini e le imprese interessati al bonus colonnine devono farne espressa richiesta ed inviare la domanda nel periodo compreso tra il 10 e il 30 novembre 2023. Già dalle ore 10 del 26 ottobre 2023, tuttavia, sarà possibile compilare la richiesta sulla piattaforma digitale di Invitalia. La stessa agenzia governativa mette a disposizione dei cittadini un numero verde gratuito, 800 77 53 97, e una scheda contatto online nell’area riservata sul sito www.invitalia.it.

Bonus colonnine
Colonnine elettriche per la ricarica delle auto (Pixabay).

87,5 milioni di euro a sostegno del bonus colonnine

A sostegno della misura sono stati stanziati dal governo 87,5 milioni di euro, 70 dei quali volti a sostenere le imprese che acquistano colonnine elettriche di ricarica per un valore complessivo inferiore ai 375 mila euro. Altri 8,75 milioni di euro sono riservati alle imprese che superano nel costo complessivo la suddetta soglia, mentre ulteriori 8,75 milioni sono rivolti ai professionisti.

Il ministro Pichetto Fratin: «Vogliamo accompagnare la crescita della mobilità elettrica»

Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, si è così espresso sul bonus colonnine: «Vogliamo accompagnare la crescita della mobilità elettrica nel Paese, già fortemente sostenuta dal Pnrr». A tal proposito si ricorda che il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede un investimento di 700 milioni di euro che, entro il 2026, consentiranno lo sviluppo di oltre 20 mila infrastrutture fra aree urbane e superstrade.

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